Fine primo tempoLa prima rocambolesca metà della Serie A

Il dominio dell’Inter, Napoli e Milan che inseguono, la Juventus in cerca d’autore e una middle class bella e concreta. Il massimo campionato di calcio italiano chiude il girone d’andata con qualche dubbio e molte note liete. In attesa di risposte più concrete sul caso Salernitana

Lapresse

Il campionato di Serie A è arrivato a metà strada, portandosi un carico di certezze e incertezze. Il valore di essere campione d’inverno conta poco, e più del gioco, delle tattiche, della forma, la parola chiave è una sola: assenza. Anzi assenze. Sono loro che hanno determinato i risultati, loro che influiscono sulle partite. Che stabiliscono l’emivita di una squadra, cioè il tempo in cui decade metà della massa iniziale dell’elemento stesso.

Se all’inizio la squadra che partiva con l’handicap di non avere un giocatore fondamentale che in nazionale aveva fatto faville, Spinazzola, lesionato durante gli Europei, era la Roma, piano piano il virus covid e il virus lesioni muscolari e dei legamenti è dilagato dappertutto.

Come se fossimo un po’ tutti più fragili, compresi i calciatori. L’esempio più eclatante è stato il Napoli. Partenza da sogno, la città tutta ridestata dal condottiero Spalletti, bel gioco spumeggiante e primato in classifica.

Ma vengono meno per rotture importanti il migliore centrale in circolazione e la punta che prometteva i gol necessari al protagonismo della squadra partenopea. E non per poche settimane in cui l’allenatore può ovviare con sostituti vari ma per periodi molto prolungati. E il Napoli cede in match in cui era favorita e perde il primo posto.

Anche il Milan ha pagato buchi di formazione sostanziosi, in attacco, a centrocampo e in difesa, praticamente dappertutto. E il danese Kjaer, pilastro umano e pilastro difensivo, si è fatto così male da aver chiuso la stagione. Anche l’Atalanta ha avuto i suoi guai fisici, diciamo che molte delle squadre della serie A, ogni domenica, non devono solo prepararsi per l’avversario ma escogitare modi per sopperire alle assenze.

La capacità di reinventare la formazione è diventata una nuova variabile che gli allenatori devono prendere in considerazione. Ovvio che chi ha riserve all’altezza matura un vantaggio in più.

La capolista Inter ha una rosa sostanziosa, eclettica, solida in ogni reparto. Eppure non si tratta solo di quello, perché chi è stato chiamato a sostituire un infortunato, sì, anche l’Inter ne ha avuti, lo fa egregiamente. Merito di Simone Inzaghi che sta assemblando e tenendo insieme prime e seconde linee, mitigando le proteste di chi sta fuori, bilanciando con cura i titolari. E giocando meglio di tutti.

Il filotto di vittorie che la proclama campione d’inverno è stato ottenuto con squadre di bassa classifica, così come è accaduto alla Juventus che sta sfruttando, pragmatica come il suo pragmaticissimo allenatore, partite con le ultime del plotone per rosicchiare con costanza un punto dopo l’altro e riuscire a rientrare nelle prime quattro, perché le Coppe valgono, eccome se valgono, economicamente e nel prestigio.

Nel mezzo, un po’ nella colonna a sinistra e un po’ a destra del tabellone resta un bel gruppetto di squadre altalenanti che di domenica in domenica si scambiano posizioni ma restano lì, ognuna con caratteristiche proprie.

Le due romane che ancora forse non hanno capito bene cosa esigono i loro nuovi allenatori, Mourinho e Sacchi, la Fiorentina incarnata in Vlahovic, unico vero campione, e poi un manipolo di provinciali che giocano un bel calcio. Penso all’Empoli, al Sassuolo, al Verona, al coriaceo Torino. La Sampdoria, e stupisce un bel po’, Venezia e Udinese sono ai margini dello sprofondo.

E qui il campionato ha decretato, a metà annata, un de profundis ben più grave di ciò che accadeva nelle stagioni precedenti. Genoa, Cagliari e Salernitana sono disarmanti nella loro arrendevolezza. L’organico debole, i cambi di allenatori e i problemi societari le stanno affondando.

Il caso Salernitana, poi, è appunto diventato un caso clamoroso, frutto dell’insipienza furba del presidente della Lazio Lotito che , incurante di regole ben precise, possiede anche la squadra di Salerno. Non si capisce mai, quando si parla di lui, se ci è o ci fa. Tra una citazione in latino e lo straccio dei pavimenti in mano (Lotito deve la sua fortuna alla sua impresa di pulizie), l’uomo è Giano bifronte. Prono alla Lega e nel contempo sgusciante contro.

Per legge Lotito non può essere il proprietario di due società di calcio che militano nella stessa serie. Formalmente la vendita della Salernitana era iniziata da mesi, ma siamo a dicembre e si è continuato tra conniventi proroghe.

Ora siamo al punto che la squadra amaranto potrebbe finire il suo campionato qui, niente girone di ritorno e addio. Per conseguenza i punti, tanti o pochi, che gli avversari hanno fatto contro la Salernitana vengono azzerati, cambiando anche la classifica. Un pasticcio colossale dove tutti sono colpevoli meno la squadra stessa. Da Castori, allenatore primigenio, e Colantuono, allenatore subentrante a ottobre, nessuno ha demeriti.

Come può un gruppo che partecipa al campionato maggiore lavorare con un minimo di concentrazione e tranquillità? Come possono i giocatori scendere in campo con un’idea in testa che non sia il fallimento? È penoso vedere un grande campione come Ribery finire in questa bolgia di delusioni e desolazione, è penoso anche per tutti gli altri professionisti e per i tifosi che hanno ragione da vendere nel non svendere l’amore per quei colori e che sostengono con passione e proteste la squadra del cuore.

Non c’è solo un fattore economico in questa triste faccenda gestita oltre la legalità da un capitalismo spinto all’eccesso ma anche quello emotivo legato a sostenitori, stipendiati, giocatori che ci mettono la faccia in un’umiliazione senza precedenti. Torneremo a gennaio con venti compagini o ne mancherà una? E in futuro si ritornerà a una Serie A con diciotto squadre in modo che il campionato non si frammenti in più mini-competizioni in cui le ultime rimarranno per sempre ultime senza possibilità di redenzione?

Intanto, alla prima del girone di ritorno ne vedremo delle belle. In un mese molto si deciderà. L’Inter in testa, al contrario dei rossoneri senza altri impegni, avrà settimane infernali con un calendario fittissimo. Giocherà scontri decisivi contro la Juve in Supercoppa, Milan e Napoli in serie A con in mezzo la Coppa Italia e soprattutto il confronto con la più forte squadra d’Europa, il Liverpool di Klopp.

Qualcosa lascerà per strada, propendo per l’arrivo ai quarti di finale in Champions League. Perché nessuna squadra italiana è attrezzata per quel traguardo. Ma se l’Inter uscirà indenne o vittoriosa dal memento, potrebbe veramente bissare lo scudetto e mettersi sulla maglia la seconda stella, segno dei venti scudetti.

Le altre sono lì affamate, anche se il Napoli, in caso di disputa della Coppa d’Africa perderebbe per un mese i suoi migliori giocatori, compresi gli infortunati che al contrario sarebbero recuperati per il campionato. E non sarebbe il solo. I giocatori africani in Italia sono parecchi e anche all’estero. Il Liverpool dovrebbe fare a meno per colpa della coppa africana del suo fuoriclasse Salah. Tutto in divenire quindi, e le assenze sarebbero ancora l’elemento preponderante. Come scrive Roland Barthes in Frammenti di un discorso amoroso, «nell’assenza… io sono, tristemente, un’immagine staccata, che si secca, ingiallisce, s’accartoccia». Staremo a vedere.

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