Grandi eruzioni vulcaniche come quella del vulcano Hunga Tonga-Hunga Ha’apai dello scorso 15 gennaio succedono un pugno di volte ogni millennio. Proprio perché sono così rare sappiamo poco del loro funzionamento. E così gli studiosi si sono fiondati a studiare dati e misurazioni utili a capire le conseguenze dell’evento, studi che con tutta probabilità andranno avanti ancora per anni.
L’eruzione avvenuta nell’arcipelago delle Tonga ha dimensioni difficili da immaginare. Un dato che può aiutare a farci un’idea è che il suono dell’esplosione è arrivato a oltre 170 chilometri di distanza. Lo tsunami si è abbattuto sulle coste più vicine, ma le onde anomale sono arrivate addirittura sulle coste americane, a migliaia di chilometri di distanza.
Sappiamo così poco di come funzionano eventi simili che quando il vulcano in questione, a metà dicembre del 2021, quindi circa un mese prima dell’eruzione, aveva rilasciato in atmosfera una colonna di fumo e polveri alta oltre 15 chilometri, non si è riusciti a capire che di lì a poco sarebbe avvenuta l’eruzione. Semmai si è sottovalutato il segnale.
Fare previsioni, in questo campo, è difficilissimo, anche perché i tempi geologici sono enormemente più lunghi delle nostre vite e, quindi, di ciò che consideriamo accettabile come margine di errore delle previsioni stesse. In altre parole: sarebbe già ottimo poter prevedere in quale secolo avverrà un’eruzione, perché si tratterebbe di una previsione molto precisa rispetto ai tempi geologici. Eppure per noi umani, che dal nostro punto di vista consideriamo 100 anni come un’eternità, sarebbe sostanzialmente inutile.
Ad ogni modo le conseguenze di eventi come le eruzioni vulcaniche sono degne di nota non soltanto per la loro pericolosità e spettacolarità. Ma anche per l’impatto sul clima. Se questo aspetto troppo spesso ci sfugge è per via del nostro rimanere un po’ troppo ancorati al nostro punto di vista, proprio come per la questione temporale che citavamo poco sopra.
Vi ricordate l’eruzione del 2010 del vulcano islandese dal nome impronunciabile? Se la risposta è sì è perché mandò in tilt il traffico aereo di una grande parte del continente europeo (ah, si chiama Eyjafjallajökull). E la recente eruzione del vulcano Cumbre Vieja sull’Isola di La Palma, alle Canarie? Anche qui: ne abbiamo parlato solo in relazione alla sicurezza di abitanti e turisti. Quasi mai, invece, da un punto di vista più generale, cioè quello ambientale. E lo stesso discorso si può dire per le centinaia di piccole e grandi eruzioni che avvengono nelle zone più diverse del nostro pianeta ogni anno: le uniche che notiamo e degniamo di attenzioni sono quelle che mettono in pericolo la nostra vita. O che ne compromettono la comodità.
Le onde anomale provocate a metà gennaio dall’eruzione dello Hunga Tonga-Hunga Ha’apai hanno raggiunto anche le coste del Perù, e qui hanno causato enormi danni ambientali. Abbattendosi sulla costa hanno danneggiato una porzione della raffineria La Pampilla di Callao, a pochi chilometri dalla capitale Lima, nel distretto di Ventanilla. Per via del danno il corrispettivo di seimila barili di petrolio si è riversato in mare, con conseguenze su fauna e flora ancora difficili da stimare. Si parla, in casi come questo, di «disastro ambientale».
Ruben Ramirez, che è il ministro dell’Ambiente del governo peruviano, e diversi enti non governativi presenti nel paese sudamericano hanno dichiarato che le spiagge coinvolte sarebbero ventuno, per un totale di oltre 18mila chilometri quadrati di aree protette contaminate. È ancora presto per capire se davvero si è trattato di un evento inevitabile, considerata la poca prevedibilità dell’eruzione a Tonga, o se invece ci siano delle responsabilità tra le autorità statali o tra i dirigenti di Repsol, la multinazionale che gestisce l’impianto. Al momento le indagini sono in corso e, come ha deciso una corte peruviana, a diversi manager dell’azienda spagnola al momento è proibito lasciare il Paese.
Gli tsunami, peraltro, non sono certo l’unico modo in cui le eruzioni possono avere un impatto sul clima e l’ambiente. Un ministro del governo della Nuova Zelanda (stato piuttosto vicino alle Tonga) ha dichiarato che a causa dell’eruzione dello scorso gennaio nell’acqua e nell’aria sono stati rilevati “alti livelli di zolfo”. Lo zolfo, a seconda della quantità e della forma con cui si presenta, può avvelenare e compromettere la salute di interi ecosistemi. Ed evidentemente non è una buona notizia né per la fauna e la flora né per pescatori e gli agricoltori, che ne dipendono.
E poi c’è la cenere. L’eruzione recente avvenuta alle Canarie ha lasciato intere parti dell’isola de La Palma ricoperte di una spessa coltre di cenere scura. Non basta una spolverata, a tratti lo strato è spesso diversi metri, tanto da ricoprire case a due piani. Sono decine di milioni di tonnellate di materiale di cui, semplicemente, non si sa che fare. Trasportarle è difficile e molto costoso, e in ogni caso non si saprebbe dove. Eventi del genere producono detriti ma in quantità così rilevanti che, più che di materiali in eccesso, bisognerebbe parlare di nuove conformazioni dei territori. È così che, nei millenni, ha preso forma un’isola vulcanica come la Palma: con la spinta dei vulcani e con la sovrapposizione di strati di detriti provenienti dalle eruzioni che si sono susseguite.