Dolci risvegli o peccaminose merende. Tutto dipende da che ora punterete le lancette del vostro orologio. In Via del Corso 63, qualche civico più avanti di quello in cui soggiornò Goethe, che a Roma “immaginò e scrisse cose immortali”, c’è un palazzo dal gusto neoclassico progettato dal noto architetto romano del tempo Giuseppe Valadier, un luogo dove l’hotellerie più sofisticata si lascia sedurre dal bon ton dell’alta pasticceria. Dietro le stesse vetrate dalle quali una volta ci si sporgeva per assistere alle sfilate delle carrozze, viene conservato ancora quell’allure signorile già annunciato dall’elegante drappo rosso che scende giù tra il secondo e il primo registro della facciata, perpendicolare alla soglia dell’ingresso. Si chiama Velo il nuovo tempio gourmand al primo piano di un 5 stelle lusso che svetta tra una serie di edifici gentilizi e chiese che nei secoli si sono affiancati gli uni alle altre e oggi sono rifugio e ispirazione da signore con la pelliccia, accogliendo gli ospiti con discrezione, attesa e sorpresa. Proprio in quest’ordine.
La prima pasticceria italiana dentro un albergo profuma di novità e si inserisce nel solco di quella poetica narrativa che per secoli ha sublimato dolci creazioni nate per sbaglio nelle cucine di hotel, dessert che hanno scritto la storia della gastronomia, facendo esultare primi ministri così come comuni mortali golosi che hanno chiesto il bis di “errori” perfettamente riusciti. Come quella volta in cui la prima sacher torte venne esposta nelle vetrine dell’omonimo hotel viennese o di quella torta di mele capovolta che fece la fortuna delle sorelle Tatin nel loro hotel-restaurant a Lamotte-Beuvron. Dalla recente inaugurazione di Velo, preceduta da un soft opening il cui incantesimo è stato spezzato dalla pandemia, non è stato depositato ancora nessun brevetto.
Ma confidiamo nelle mirabolanti doti del suo pastry chef, Ciro Chiummo, che nel 2020 ha vinto la Coppa del Mondo di Pasticceria e Gelateria, competizione che ogni anno si svolge a Rimini durante il Sigep, nella categoria Scultura di Ghiaccio senza mai aver scolpito prima di allora un blocco sotto lo zero. Il Michelangelo della Pasticceria viene da Scampia, quella periferia napoletana “fragile” di cui Gomorra negli ultimi anni ha amplificato la conoscenza, e si è poi trasferito a Secondigliano, un’altra Napoli cagionevole che non è stata un alibi, come Recanati non lo è stato per Leopardi. Quella siepe che offuscava l’orizzonte di Chiummo fu progressivamente spostata in avanti fin dall’età della fanciullezza, quando poi è partito in cerca di fortuna. “Ho iniziato come aiuto cuoco ma ho capito presto che mi piaceva di più lavorare con il freddo, l’estetica gentile e il rigore tecnico. La scultura è arrivata dopo, è nata per caso. Ci vuole precisione infinita e una manualità innata”.
Contemporanea ed essenziale, Velo è l’emblema di una pasticceria moderna nel gusto della presentazione e tradizionale nel ripieno dell’anima. Il suo menu è un dolce ménage a trois che alterna stagionalità, sempreverdi ed edizioni speciali, linee fait maison confezionate al piatto come fossero collezioni d’alta moda. Così, per l’autunno/inverno in carta c’è una Cheesecake ai Frutti Rossi o una Tarte Profiteroles mentre voltando pagina c’è l’elogio del freddo, special edition come Lapponia, Neve o Montblanc, una semantica fredda tradita solo dal cuore avvolgente: dalla Mousse al cioccolato bianco, vaniglia del Madagascar e gelatina di lampone del primo al Ripieno ciliegia, mousse all’arachide e glassa al caramello del secondo fino a scalare con il cucchiaino quella Tartelletta al cacao, crema di marroni, mousse ai marroni e marrone candito.
Simbolico è quel Babà sospeso che, a differenza dell’abitudine filantropica e solidale a cui il nome rimanda, si chiama in questo modo perché in equilibrio su una croccante trama di cioccolato che lascia intravedere sul fondo una crema di limoncello di Capri, il tutto sofisticato da una forma tonda e un equilibrato ripieno alla vaniglia. Il vero spettacolo va in scena durante il servizio dell’Afternoon Tea anglo-italiano, tra il servizio in porcellana firmato Richard Ginori di una collezione che tratteggia dettagli di catene scarlatte, un’approfondita carta dei tè e il fulcro dell’high tea, l’alzatina dal tipico mix dolce/salato che procede per piani: Scones con clotted cream e marmellate, Monoporzioni dolci, mignon e biscotti, infine Finger sandwiches con salmone, cetriolo, uovo e mayo.
Tra grandi classici e signature creati ad hoc, preparazioni italiane e altre d’ispirazione internazionale, lo show room d’alta pasticceria capitolina vestirà un abito diverso per ogni stagione, a partire da questo inverno durante il quale è diventata un’ambasciata del panettone artigianale. Dulcis in fundo, si apre il sipario di Velo Pastry Season che fino al 7 gennaio ospiterà prodotti d’autore alveolati e filanti, eccellenze made in Italy esposte nella boutique al piano terra del The First Dolce come fossero pezzi da collezione firmati dai maestri dei grandi lievitati del calibro di Salvatore De Riso, Paolo Sacchetti, Denis Dianin, Luca Montersino, Da Vittorio e dal resident pastry chef Chiummo che, in maniera eroica rispetto ai sartoriali spazi del suo laboratorio, riesce a sfornare circa 7 grandi lievitati al giorno.