Questo è il momento in cui il populismo e il sovranismo italiano scolorano, perdono intensità polemica, si stringono attorno al presidente del Consiglio Mario Draghi intervenuto in Parlamento per condannare l’aggressione miliare in Ucraina da parte della Russia.
Giorgia Meloni si schiera con l’Occidente senza ambiguità: ne fa una questione di patriottismo ma intanto vola in Florida al summit annuale dei Repubblicani americani dove è previsto l’intervento dell’ex presidente Donald Trump. Il quale in ha definito Vladimir Putin «un genio». Il suo capogruppo alla Camera Francesco Lollobrigida in aula dice che le porte dell’Italia sono spalancate agli ucraini che fuggono dal loro Paese perché lì c’è la guerra. Eppure la stessa cosa Fratelli d’Italia non l’ha mai sostenuta per chi fugge dalle guerre africane, orientali e mediorientali.
Anche Salvini è diventato buonista e allarga le braccia ai «profughi veri, ai bimbi malati che meritano accoglienza». E si augura che la prossima settimana le Camere votino una risoluzione unica, che nell’abbraccio tricolore ci sia anche la sua diretta competitrice Meloni. La quale intanto presenta la sua mozione in cui chiede di istituire in sede europea un fondo temporaneo per compensare i Paesi europei che saranno maggiormente penalizzati dalle sanzioni alla Russia. «Ci auguriamo che il nostro sia un contributo utile per arrivare a una risoluzione comune», precisa Meloni.
Insomma, la preoccupazione dello tsunami che si abbatterà sull’economista italiana è certamente comune a tutte le forze politiche, e per il momento si respira un’apparente unità nazionale che comprende anche l’unica opposizione rimasta a destra. Ma quanto durerà? Cosa succederà se queste compensazioni economiche non ci saranno o non saranno sufficienti? A Salvini conviene mettere il silenziatore a Giorgia: bisogna essere «uniti per la pace, non ci si può permettere divisioni o beghe politiche».
Ora, sarà tutto da vedere se, come sostiene Enrico Letta, quello che sta succedendo ridisegna «la geografia mondiale del sovranismo e lo consegna ai paesi autocratici». Il segretario del Pd è convinto che l’aggressione all’Ucraina possa cancellare il fenomeno del «putinismo e del trumpismo» cresciuto in questi anni in democrazie come l’Italia, la Germania e la Francia. Speriamo che abbia ragione e non sia troppo ottimista.
Bisognerà aspettare: capire quale sarà l’evoluzione della situazione sul campo militare, ma soprattutto quanto reggerà l’opposizione patriottica che la leader di FdI ha assicurato a Draghi e quali saranno le reazioni del capo leghista di fronte alle ricadute economiche delle sanzioni americane ed europee sulla nostra economia.
Oggi Meloni e Salvini dicono che agli ucraini in fuga verso l’Europa bisognerà riconoscere lo status di rifugiati politici. Ma se diventassero milioni (e tra questi si infilassero anche migranti economici di altre nazionalità), questo atteggiamento di apertura potrebbe cambiare. E il cosiddetto populismo potrebbe ritornare a soffiare nell’opinione pubblica europea, come è successo nel 2015 dopo la crisi siriana.
Adesso tutti solidali, ma vedremo cosa accadrà quando sarà necessario decidere concretamente la distribuzione dei rifugiati tra i Paesi europei. Ancora più insidioso il risvolto economico: potrebbe surriscaldare il clima politico, dividere la maggioranza, riportare FdI di nuovo sulle barricate.
A causare un ritorno del sovranismo e del populismo, non solo in Italia, potrebbe essere l’effetto del caro bollette per le famiglie, del costo dell’energia sugli impianti industriali e sui trasporti su gomma, dei prezzi alle stelle dei prodotti che importiamo dalla Russia.
Se non verrà trovata una soluzione diplomatica e pacifica, con il passare delle settimane e dei mesi la crescita economica, finalmente arrivata dopo la pandemia, si bloccherà. Con l’Italia sempre più vicina agli appuntamenti elettorali, quello amministrativo di primavera e le politiche del 2023. Le campagne elettorali si fanno con la propaganda. E i partiti che hanno nelle corde sovranismo, nazionalismo, populismo e patriottismo, che dir si voglia, non esiteranno a suonare le loro trombe.
Più difficile che lo faccia Silvio Berlusconi, che non sta dicendo una parola contro il suo (ex?) amico Vladimir. Mentre va a San Siro con la fidanzata a vedere il Milan, fa sapere di essere «preoccupatissimo e terrorizzato» per quello che sta accadendo in Ucraina. Di più: afferma che di non riconoscere più in Putin la persona che aveva conosciuto e che aveva portato a Pratica di mare a stringere la mano a George W. Bush per un accordo storico.