Il recente via libera della Commissione europea alla prima tranche di pagamenti del PNRR – dopo l’erogazione del pre-finanziamento ad agosto – non è una garanzia per il futuro.
La crescente pressione sulla burocrazia italiana in relazione all’attuazione degli investimenti concordati, unita a una potenziale instabilità politica sul medio periodo con ricadute sul ritmo delle riforme inserite nel piano, potrebbero rendere più difficile il raggiungimento dei successivi milestone e target, e quindi l’esborso dei fondi.
Alcuni osservatori hanno già cominciato a paventare questo rischio.
Se è prematuro fare previsioni, si possono formulare alcune congetture assumendo un’ottica che fa astrazione dalla contingenza nazionale. Il meccanismo di condizionalità alla base dei PNRR rappresenta, per portata e funzionamento, un fattore di novità per i programmi di finanziamento europei. Pensato per essere stringente, possiede in verità alcuni difetti strutturali che prefigurano una maggiore flessibilità.
Inoltre, rispetto ai fondi europei tradizionali è per costituzione più soggetto a condizionamenti di natura politica. Questi aspetti avvantaggiano per paradosso l’Italia, perché potrebbero rendere la valutazione di traguardi e obiettivi più accomodante favorendo cosi’ l’erogazione delle risorse anche a fronte di criticità attuative. Vediamo perché.
Per prima cosa, la definizione di milestone e target è un esercizio complesso. Le esperienze trascorse, pur con sostanziali differenze, hanno prodotto risultati altalenanti. La riserva di performance, un meccanismo di premialità adottato nell’ambito dei fondi strutturali europei, è stato caratterizzato da una massiccia rinegoziazione dei target in corso d’opera a motivo di errori di stima iniziali. Questo potrebbe accadere in teoria anche per i PNRR, in caso ci si renda conto di obiettivi troppo ambiziosi almeno sul fronte degli investimenti.
È vero che la modifica dei piani è giustificata solo in caso di circostanze oggettive e richiede un’approvazione a maggioranza qualificata da parte del Consiglio previo parere favorevole della Commissione. Ma questa formulazione apre nel contempo un certo margine di discrezionalità.
Nessuno ha interesse a vedere i PNRR fallire. Non la Commissione che sta già riflettendo a come espanderne il modello ad altri programmi europei. Né gli stati che ne beneficiano in misura maggiore. E men che meno i paesi frugali del Nord Europa, avendo obtorto collo legato la propria credibilità al successo dello strumento di fronte a opinioni pubbliche e pezzi di classe dirigente spesso scettiche.
In questo senso, considerazioni politiche entrerebbero in gioco in favore di una rinegoziazione dei piani nonostante l’orientamento iniziale della Commissione fosse abbastanza contrario a questa opzione. Il presentarsi di ulteriori shock annienterebbe le ultime residue riserve. Allo stato attuale, guardando alle ricadute economiche dell’invasione russa in Ucraina, appare difficile credere che alcuni PNRR non saranno parzialmente rivisti. Uno scenario meno probabile, ma pur sempre realistico, è che la Commissione dia più tempo agli stati membri per centrare gli obiettivi, cosa che preluderebbe a un prolungamento temporale dei piani oltre il 2026.
Altro aspetto rilevante è la qualità del processo di valutazione stesso. La maggior parte dei target e obiettivi sono definiti come indicatori di realizzazione, cioè giudicati in base alla mera attuazione e non sul reale impatto. Questo lascia una certa discrezionalità nella valutazione qualitativa. Anche su questo aspetto la Commissione, sebbene possa dare idea del contrario, non appare orientata verso posizioni intransigenti, come dimostra il processo di vaglio dei piani. Non avrebbe nemmeno la capacità per monitorare nel dettaglio l’attuazione dei piani, essendo lo staff dedicato relativamente ridotto a fronte degli oltre 5mila milestone e target da valutare.
Tutto ciò in teoria dovrebbe rassicurare l’Italia. Ma non costituisce in generale una buona notizia né per il nostro paese, perché potrebbe disincentivare un uso virtuoso dei fondi, e ancor meno per il futuro dei programmi di finanziamento europei. A fronte di una narrazione che tenterà di promuovere i PNRR come un successo, forse con l’obiettivo di rendere questo strumento permanente, occorre porsi alcuni quesiti: una condizionalità di questo tipo è davvero efficace?
Il fatto che la Commissione abbia tutto sommato rinunciato a un controllo diretto sulla spesa, come per i fondi europei tradizionali, in cambio di un impianto che si focalizza sui risultati non aumenta il rischio d’irregolarità e diminuisce l’accountability degli stati membri? La diversa natura delle riforme negoziate nei piani a seconda degli stati membri, laddove ai paesi dell’Europa meridionale è richiesto uno sforzo molto maggiore su questo fronte, non introduce una distorsione nello strumento che alla lunga potrebbe essere politicamente controversa?