Mentre l’attenzione dell’opinione pubblica è concentrata su un sanguinoso conflitto nel cuore dell’Europa sarebbe logico aspettarsi dalla classe dirigente italiana un comportamento responsabile.
Quanto alla classe politica non c’è da farsi illusioni ma confesso che mi sarei aspettato dal terzo potere, quello togato, ben altro atteggiamento. A dire il vero, non sappiamo oggi quanto il sindacato dell’Associazione Nazionale Magistrati sia rappresentativo della categoria. Basta parlare nelle pause d’udienza o nei convegni di studio con i magistrati per cogliere un profondo disincanto.
I vertici dell’associazione e alcuni esponenti del Consiglio superiore della magistratura invece sembrano non aver capito la lezione: il terremoto che le vicende dell’Hotel Champagne, della Loggia Ungheria e della procura milanese hanno scatenato un evento che per loro sembra già consegnato alla storia. Ne è prova l’atteggiamento osservato da autorevoli esponenti della corporazione sul tema della riforma dell’Ordinamento Giudiziario, sulla nomina del nuovo dirigente del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Das) Carlo Renoldi e sulla legge sulla presunzione d’innocenza.
Il comitato centrale del sindacato, riunitosi domenica scorsa, e lo stesso Csm hanno espresso una nutrita serie di critiche alla riforma dell’ordinamento giudiziario che guarda caso si sono tradotte in chiave parlamentare nella presentazione di circa cinquecento emendamenti. Un chiaro segnale di stop a ogni cambiamento.
Non che tutti i rilievi siano infondati (ad esempio non convince quello strano sistema elettorale tipo il Mattarellum, maggioritario con correzione proporzionale, che favorirebbe alle elezioni al Csm le due principali correnti, Area e Magistratura Indipendente) ma alcune obiezioni francamente stupiscono alla luce di ciò che è avvenuto.
In particolare sembra eccessivo è paradossale il rifiuto di criteri più stringenti per le valutazioni di professionalità oggi praticamente inesistenti, visto che oltre il 90% dei magistrati viene puntualmente promosso nella progressione della carriera.
Secondo l’Associazione nazionale magistrati (Anm) le pagelle ai magistrati produrrebbero «ansia competitiva» e «un magistrato stretto in una morsa di iperproduttività». Ohibò dove le abbiamo lette analoghe espressioni? Ma si nei bollettini delle organizzazioni sindacali degli insegnanti contrari ai test ministeriali Invalsi.
Anche i professori come i magistrati rifiutano ogni minima ansiogena valutazione produttivistica. Peccato che la loro protesta perda di credibilità di fronte allo scadimento del livello scolastico che ha portato la scuola italiana in posizioni di retroguardia.
Sono contente le toghe italiane del livello di scolarità dei loro figli? Non hanno nulla da dire sullo scandaloso sistema di tutele che premia gli insegnanti meno bravi a scapito di quelli più preparati? E non ritengono che analoghe considerazioni vadano fatte anche per i loro colleghi? E sanno bene delle frustrazioni e delusioni che molti di loro devono soffrire in silenzi, salvo intrupparsi in qualche corrente?
Una riforma indifferibile dunque. E che dire poi della protesta contro l’abrogazione della indennità per i consiglieri eletti al Consiglio superiore della magistratura (Csm)? Perché mai dovrebbero percepirla magistrati che vengono esentati dalle ordinarie funzioni? Mistero.
Così come è incomprensibile il no alla fine del fenomeno delle porte girevoli, il ritorno immediato alle funzioni di giudice e pm di chi abbia esercitato o si sia candidato a un ruolo politico. Non è che la riforma preveda pene corporali o l’esilio in tale frangente, ma solo la collocazione, per di più con ruolo direttivo in una qualche pubblica amministrazione. Se si pensa che sono oltre duecento i magistrati fuori ruolo dietro loro richiesta (un numero senza precedenti al mondo) ci si stupisce di una tale posizione.
Le intercettazioni sul telefono dell’ex presidente di Anm (guarda caso) e membro del Csm (altra coincidenza) hanno dimostrato quanto ambite siano queste collocazioni cui si accompagna puntualmente il riconoscimento della relativa indennità che consente di arrotondare stipendi non modesti già di loro.
L’ostilità di Anm ha qualcosa a che fare con il fatto che i colleghi prestati alla politica non potranno ambire per qualche anno a prestigiosi incarichi direttivi nella loro carriera? È forse questa la vera posta in gioco? La tutela delle prospettive di carriera a ogni costo?
E veniamo all’aspetto più delicato: le dichiarazioni contro la legge sulla presunzione d’innocenza rilasciate da un autorevole membro del Csm con riferimento al divieto per i pm di commentare le loro indagini oltre i comunicati scritti e le interviste concesse ai soli capi delle procure.
Secondo Giuseppe Cascini, già procuratore aggiunto a Roma oggi eletto al Csm, la minaccia di una sanzione per il magistrato troppo loquace costituirebbe «un fucile puntato sui pm, in particolare sui procuratori, suscettibili di finire sotto procedimento disciplinare (…) rappresenta una indebita, e del tutto irrazionale, limitazione del diritto di manifestazione del pensiero dei magistrati, con gravi conseguenze ancora una volta sul diritto di informazione e sull’indipendenza dei magistrati».
Con tutto il rispetto e la dovuta considerazione, non è che la legge imponga ai pm di tacere sul dibattito politico nel quale sono ampiamente presenti e influenti, ma di osservare il riserbo su vicende giudiziarie che travolgono le vite.
Il traffico dei verbali e lo spaccio di intercettazioni alla stampa non hanno nulla a che vedere con la libertà di espressione. Un traffico talmente conclamato che, come è noto, i fortunati giornalisti cui vennero recapitati in forma anonima i verbali di Amara, pur sapendoli autentici, si sono astenuti dal pubblicarli nell’evidente timore di dispiacere ai fornitori ufficiali di tali primizie.
In una comune esperienza professionale col dottor Giuseppe Cascini, sia pure su banchi opposti, abbiamo appreso che presso alcune agenzie investigative siano presenti veri e propri «uffici pubblicità» che «in accordo con le procure» confezionano trailer di prestigiose indagini con scelta accurata di dialoghi, immagini, foto di arresti. Il tutto apertamente finalizzato a influenzare la pubblica opinione sull’esito di processi ancora da celebrare.
Poi succede che un’importante sentenza della Cassazione denunci che i fatti rappresentati all’atto dei clamorosi arresti non siano quelli reali accertati dal dibattimento dove la difesa può intervenire. Cosa c’entra la libertà di espressione? Se proprio brucia la volontà di comunicare allora si aspetti l’inizio del processo, quando l’opinione del pubblico ministero potrà essere ribattuta con piena cognizione di causa dalla difesa.
Infine il caso Renoldi, il giudice scelto dal ministro Marta Cartabia alla guida del DAP, l’ufficio del ministero che sovrintende alla amministrazione e governo dell’universo carcerario con tre miliardi di euro di budget. I pm del Csm Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita hanno protestato in compagnia di qualche membro laico dei Cinquestelle contro la scelta di un magistrato di indiscusso profilo, ma con l’unica pecca di essere contrario al cosiddetto ergastolo ostativo e al regime del 41 bis, cioè a quelle norme che negano il recupero sociale dei condannati per reati di mafia e simili.
Non so se ho reso l’idea: ad alcuni magistrati, guarda caso anch’essi pm, non sta bene che si applichi la Costituzione, ciò che ha prescritto con recenti sentenze la Corte costituzionale, e non sta bene neanche l’autonomia del governo nel perseguire il proprio indirizzo politico. Bene ha fatto il ministro Cartabia a tirare diritto e a confermare la sua scelta.
Resta il problema democratico di una fetta di corporazione togata che non vuole rinunciare a una serie di privilegi di cui ha fatto un pessimo uso.
Tutto questo mentre si chiedono sacrifici crescenti ai cittadini italiani: ce n’è abbastanza per capire che la magistratura oggi, una certa magistratura, costituisca un problema politico che va risolto allo stesso modo delle altri gravi emergenze: insistendo sulle riforme e un radicale cambiamento. Draghi ha detto che il «governo non è qui per stare fermo»: lo ricordi anche all’Associazione nazionale magistrati e al Consiglio superiore della magistratura.