È una situazione inedita quella che ci impone l’invasione della Russia in Ucraina. Le situazioni inedite si trascinano dietro sempre dei tabù che ci fanno paura perché non conosciamo o vogliamo far finta di non conoscerne gli effetti sulla vita quotidiana quando la realtà ci costringe a superarli.
Il più grosso di questi tabù si chiama chiusura del gas russo dal quale dipendiamo enormemente a causa della negligenza, per volere usare un eufemismo, e della convenienza, per essere più precisi, che coincideva con gli interessi di Mosca. Ma se questo è il passato, oggi i Paesi europei devono decidere se vogliono contrastare Vladimir Putin solo rifornendo armi agli ucraini oppure mettere in agenda una escalation di sanzioni fino a colpire l’importazione del gas di Putin.
Stiamo assistendo a una guerra in Europa e al genocidio di un popolo comodamente seduti nei nostri salotti domestici. Il punto è se noi cittadini e consumatori siamo disposti a risparmiare sull’uso energetico nelle nostre case in termini di riscaldamento e utilizzo degli elettrodomestici. Se siamo pronti a ridurre la mobilità in auto e pagare cara la bolletta. Insomma, se siamo pronti a una vera e propria economia di guerra, perché di questo si tratta senza infingimenti.
Forse no, anche perché un’economia di guerra con la chiusura del rubinetto del gas di Putin avrebbe l’effetto devastante di impattare sulle nostre imprese, di farci scivolare in una situazione che gli economisti definiscono di recessione e stagflazione. La Confindustria è molto preoccupata, prevede una crescita del Pil azzerata in contrasto con le previsione del ministro dell’economia Franco che vede ancora per il 2022 un segno piu. Rispetto al 6,6% previsto prima della guerra siamo in uno scenario diametralmente opposto.
Eppure, se il conflitto armato non dovesse finire, se anzi lo scontro dovesse diventare più cruento a est e nel sud dell’Ucraina (come tutto lascia drammaticamente prevedere), se venissero alla luce tante altre Bucha e fosse comuni allora il pacchetto di sanzioni varate in queste ore dalla Commissione Ue potrebbe non bastare.
Stop all’importazione del carbone per 4 miliardi l’anno; divieto di accesso delle navi e dei tir russi nei porti europei e nel territorio europeo; stop all’esportazione di prodotti tecnologici e alle transazioni con 4 importanti banche russe. La presidente della Commissione Ursula Von der Leyen ha spiegato che con questo quinto pacchetto le sanzioni non sono finite. «Stiamo lavorando a sanzioni aggiuntive – ha detto – che includono il petrolio”. Il gas rimane ancora un tabù anche se la Von der Leyen aggiunge che si sta riflettendo su alcune proposte presentate da alcuni Paesi membri su come tassare li import di energia dalla Russia».
Insomma è ancora presto per parlare di chiudere il rubinetto del gas che sarebbe la madre di tutte le sanzioni ma allo stesso tempo rischierebbe di far precipitare il Vecchio Continente in una crisi nera. La Germania è contraria, ma per il momento lo è anche l’Italia. Mario Draghi vorrebbe in tutti i modi evitare di bere questo amaro calice. Una scelta che invece Enrico Letta considera dolorosa ma necessaria e con lui molti ministri. Con la conseguenza, dice il segretario del Partito democratico, di rompere «un tabù», per l’appunto.
«È venuto il momento di affrontare il discorso del risparmio energetico per dire stop agli sprechi» e accelerare sulle rinnovabili. Ecco, Draghi potrebbe trovarsi presto a dover parlare quello che Letta definisce «il linguaggio della verità perché il contrasto a Putin non si fa a costo zero, sarebbe illusorio pensarlo». Per il Pd bisogna affrancarsi dal gas russo, preparare per il prossimo inverno un’azione di risparmio dei consumi. Mentre già entro aprile sarebbe necessaria una vera e propria manovra di bilancio infra annuale, propone Antonio Misiani, responsabile economico dem, che non esclude nemmeno uno scostamento di bilancio.
Il sentiero si fa stretto per Draghi che si troverà, anzi già si trova di fronte ai partiti della sua maggioranza in campagna elettorale. Se in quella di primavera il presidente del Consiglio potrebbe non avere particolari conseguenze, dopo l’estate con l’avvicinarsi delle Politiche 2023 le cose si potrebbero complicare maledettamente.
Abbiamo il Movimento 5 stelle con il suo leader Giuseppe Conte che accusa di «vetero atlantismo» coloro che vorrebbero, Stati Uniti compresi, continuare ad armare gli ucraini con armi sempre più sofisticati e offensivi. Matteo Salvini che si attacca a Papa Francesco per ribaltare la narrazione che finora gli aveva fatto dire che Putin è lo statista migliore sulla Terra. Giorgia Meloni che è costretta a barcamenarsi tra i polacchi, alleati di riferimento in Europa con i quali condividono il gruppo dei Conservatori, che sono la punta di lancia contro la Russia e l’amico Viktor Orbàn fresco di vittoria elettorale in Ungheria su posizioni filo putiniane.
Il quadro politico è in movimento. Il confronto si farebbe incandescente se saremo costretti a riscrivere il Pnrr e l’Italia non avrà da Bruxelles un altro paracadute di Recovery per fare fonte alla crisi energetica ed economica. Già la presentazione del Def da parte del governo nei prossimi giorni sarà la cartina di tornasole del sentiero stretto che ha di fronte il presidente del Consiglio.
Tutti speriamo che la guerra finisca entro l’estate altrimenti, con il prossimo pacchetto di sanzioni, dopo il petrolio, toccherà al gas russo. Forse farlo adesso sarebbe devastante e senza un accordo con la Germania non è possibile. Forse ha ragione Carlo Calenda per il quale non è possibile un embargo immediato visto che importiamo da Mosca 30 miliardi di metri cubi su 70. Il leader di Azione ed ex ministro dello Sviluppo economico chiede a Letta come intenderebbe farlo «senza distruggere l’economia e i servizi essenziali». Non ha avuto risposte dal segretario del Pd.
Il confronto è tutto aperto ma per quanto tempo ancora potrà reggere il tabù dell’embargo al gas russo che rischia di bruciare la politica italiana e degli altri europei?