«Non vedo l’ora di farti assaggiare il nuovo menu: ma abbi pazienza, è il primo servizio con 36 nuovi piatti in carta». Peter Brunel ci accoglie così nel suo elegante ristorante di design ai piedi della rocca di Arco, a Trento: un piccolo capolavoro trentino che vale la pena esplorare e visitare.
In questo locale contemporaneo e con cucina e pasticceria a vista regna la calma e tutto è delicato ed elegante, ma con tocchi eclettici che ci fanno capire fin da subito quanto lo chef sia inconsueto nelle sue scelte stilistiche.
L’esperienza qui parte dalla vista, con i leprotti di ceramica che saltano sul soffitto, con le imponenti cantine refrigerate colme di etichette d’autore, e con due enormi cornici che lasciano intravedere la brigata al lavoro. E l’esperienza inconsueta prosegue anche nel piatto, in un susseguirsi di bocconi e assaggi che solleticano il palato e – cosa forse ancora più interessante – accendono la curiosità nel cervello. Il nuovo menu degustazione “grande”, formato da 15 portate, propone una cucina per nulla cerebrale, e lo chef non è qui per metterci alla prova: anzi, è qui per rassicurarci ma per regalarci allo stesso tempo qualcosa in grado di stupirci e di appassionarci. Il gioco tra sala, clienti e cucina è vivacissimo, in uno scambio costante di piacevolezza e coccola, di stupore e carezze. E se bere un cocktail arricchito da uova di pesce non vi spaventa, lasciarsi sedurre da questa esperienza è parte del gioco: che comprende – tra gli altri – risotto e mirtilli, una sontuosa scaloppa di foie gras con lumache e fondo bruno, un piccione all’oro di delicatezza e cottura rare, e termina con un uovo che mette insieme cocco, banana e curry in un perfetto equilibrio di sapore. Il tutto perfettamente accompagnato da scelte inconsuete anche nel calice, con un pairing studiato e servito con soave competenza e quel giusto tocco di ironia da Christian Rainer. Al termine della cena, che è davvero una perfetta sintesi del pensiero dello chef, ci ritroviamo a ragionare su quanto è impegnativo e spesso sottovalutato questo cambio di menu, e quanto sia ormai un’esigenza sempre più stringente, per chi fa questo lavoro, essere sempre alla ricerca, essere sempre un passo più in là, dovendo sempre dare prova del proprio valore e della propria evoluzione.
L’alta cucina è sempre più spesso parente stretta dell’alta moda: e come l’alta moda, funziona a stagioni e a collezioni. Quando in un ristorante gastronomico si cambia il menu, il momento è determinante.
Intanto, intendiamoci sui termini: quando parliamo di questo genere di locali, stiamo parlando di una nicchia ben precisa di ristoranti dedicati ai gourmet, che hanno uno standing preciso e dinamiche definite. Sono i ristoranti genericamente chiamati “stellati”, ma che in realtà possono anche non avere una stella della guida Michelin, ma hanno l’idea di portare la degustazione ad un livello diverso, la ricerca nel piatto un passo oltre il normale “nutrirsi” e l’accoglienza curata fin nei minimi dettagli. L’ambiente è costruito per essere bello e funzionale, ricco di pezzi di design o di elementi artigianali di pregio, qui ogni scelta viene fatta per un motivo preciso, e con una logica e una coerenza maniacali. La riuscita non è sempre buona, ma di sicuro l’attenzione e la ricerca sono costanti e puntuali.
In questi posti non si va per “mangiare”, e forse nemmeno per “passare una bella serata”: si va per apprezzare la maestria della brigata, per assaporare le nuove idee degli chef, per capire dove andrà il mondo della cucina e per scoprire nuovi sapori, nuovi abbinamenti, nuove tendenze.
È esattamente la differenza che intercorre tra alta moda e prêt à porter: alle sfilate si sogna, ma poi tutti i giorni ci si veste con gli abiti più portabili e meno “wow”, che però dalle idee di quelle sfilate pazze e da quei modelli importabili derivano.
Per mantenere vivace questa dimensione di ristorante, gli chef devono essere alla perenne ricerca di qualche nuova idea, e – con cadenze non uguali per tutti – modificano alcune delle proposte o tutte durante le varie stagioni, per cambiare visione, per proporre qualche innovazione, ma anche e più semplicemente per convincerci a tornare da loro, e provare ancora una volta un “effetto wow” che ci farà ripensare a loro e al loro ristorante.
Quanto il cambio menu sia profondo dipende dallo chef, dal momento, e dalle decisioni interne al ristorante: ma di sicuro quando il menu cambia, tecnicamente e organizzativamente cambia il mondo, in cucina e in sala. Cambiano gli approvvigionamenti, a volte cambiano i piatti usati, visto che sempre più spesso anche le stoviglie sono parte dell’esperienza legata al piatto. Cambia la carta, che deve essere rifatta e ristampata. Cambiano gli abbinamenti coi vini, ripensati in base alle nuove portate. Cambiano le dinamiche nella brigata, perché ciascun piatto e ciascun incastro, prima studiati nei dettagli e affinati con l’esperienza, devono essere ricostruiti in base alle nuove esigenze. Ma cambia anche la mise en place in sala, e il racconto che tutti i camerieri, maître e sommelier devono fare dei diversi piatti. Va insomma rimesso in sesto tutto il copione, e non è banale, né facile. I primi servizi del nuovo menu sono di solito tesi, e sono la prova provata della bontà dei pensieri dello chef e della sua brigata: solo nel confronto con il cliente, infatti, si capirà se il menu è equilibrato, se tutti i piatti sono ben dosati, se l’apprezzamento è completo. Una bella sfida, che spesso porta con sé qualche timore, e che di solito ha bisogno di un fine tuning e che entra a regime con calma e dedizione. E che porta con sé un carico di ansia da prestazione notevole, esattamente come prima della nuova sfilata di uno stilista di grido.
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