I dolori della destraLa Russa rivendica i posti in lista e critica le promesse elettorali di Berlusconi

Fratelli d’Italia non lancia «promesse funamboliche come il milione di alberi, comunicheremo un programma di cose realizzabili», dice il vicepresidente del Senato. Mercoledì si terrà un vertice con tutti i leader a Montecitorio. E bisognerà capire quale sarà la mediazione sulla premiership e le distribuzioni dei collegi uninominali

Il centrodestra sembra partire in pole position nella corsa al voto per il 25 settembre, ma ci sono ancora problemi delicati da risolvere. Mercoledì si terrà un vertice con tutti i leader a Montecitorio. E bisognerà capire quale sarà la mediazione su due nodi cruciali: premiership e distribuzioni dei collegi uninominali. Non sarà facile, le posizioni restano diverse.

A Berlusconi l’idea che basti un voto in più di un partito perché il suo leader si trasformi automaticamente in candidato premier non va giù, soprattutto se la figura di Meloni dovesse apparire come uno spauracchio sia per i moderati che per gli ambienti internazionali. È invece questa la richiesta di Giorgia Meloni, che chiede «pari dignità» agli alleati e quindi pari trattamento. Mentre Matteo Salvini continua, almeno a parole, a sostenere la posizione dell’alleata, anche confidando in una rimonta della Lega in due mesi.

Come se ne esce? Il vicepresidente del Senato Ignazio La Russa, amico di Berlusconi, in ottimi rapporti con Salvini, luogotenente di Giorgia Meloni, è indicato come uno dei possibili mediatori. Al Corriere dice che è il racconto della sinistra «che ci vuole a tutti i costi divisi, e invece saremo comunque d’accordo sulle regole, il candidato sarà chi prende più voti, lo ha riconfermato anche Salvini. Non abbiamo un problema adesso, sceglieranno gli italiani, certamente non affidiamo la decisione ai giornali stranieri o al Ppe». La Russa precisa che «Meloni non pretende di essere designata oggi leader del centrodestra, poi prenderemo atto del responso delle urne». E aggiunge: «Non mi pare che Forza Italia abbia remore, e Tajani di fronte a un’improvvida interferenza del Ppe non ha aderito all’invito».

Certo, ammette, «non ci siamo ancora seduti per parlare» dei posti in lista. «Arriveremo a una sintesi, la regola è quella della media dei migliori sondaggi. Noi siamo circa al 50% della coalizione, ma ci sono comunque margini di flessibilità: c’è il ruolo dei partiti minori, il ruolo dei collegi chiave, di nuovo c’è che avremo veramente poco tempo per farlo e quindi le conflittualità dovranno essere ridotte per forza al minimo».

Ma sul programma di governo «non vogliamo cominciare a lanciare promesse funamboliche come il milione di alberi, comunicheremo un programma di cose realizzabili», spiega riferendosi alle promesse di Berlusconi.

La Russa parla delle «ingerenze» del New York Times, che ha definito «evento sismico» la possibilità che «un partito di estrema destra arrivi alla guida di una grande economia dell’Eurozona». «Se guardiamo la storia della destra, ogni volta che chi è più accreditato a vincere si avvicina al momento del voto comincia un gioco di screditamento che collega quotidiani stranieri e ambienti intellettuali italiani. Toccherà anche alla Meloni? Forse sì, ma per fortuna queste cose non incidono sul voto degli italiani». Poi assicura che il governo di centrodestra sarà «atlantista» e che si continueranno a fornire aiuti militari all’Ucraina, ma sostiene che il livello di ingerenza russo in Italia sia «modesto, quasi inesistente, credo che ci provino ma senza risultati».

Intanto, da Forza Italia, la senatrice Licia Ronzulli, delegata di Forza Italia ai rapporti con gli alleati, nega la narrazione secondo cui Berlusconi si è prestato a dire sì alle elezioni anticipate in cambio della promessa della presidenza del Senato. «Ridicolo e offensivo», spiega a Repubblica. «Nessuno ha mai offerto nulla al presidente. E la sua scelta non è stata orientata dalla disponibilità o meno di un qualunque posto. L’elezione al Senato sanerà il voto della scandalosa decadenza del 2014, per effetto di una legge applicata in modo retroattivo».

Sul candidato premier però mette le mani avanti: «Non è il momento di parlare di nomi e leadership. È il momento di presentare agli italiani la nostra idea di Paese, quale domani immaginiamo per i nostri figli».

Poi torna sull’addio di Gelmini, Brunetta e, forse, Carfagna a Forza Italia. «Gelmini ha usato strumentalmente la decisione di Forza Italia per dare un senso alla sua uscita», spiega. «Sapevamo che stava lavorando già da tre mesi a un progetto alternativo al nostro con Calenda e Bonino e i toni e la velocità della sua uscita lo confermano. Ora vuol descrivere Forza Italia sottomessa al sovranismo. Ma nel novembre 2019, con la Lega in vetta, mi chiese di organizzare un incontro con Salvini per staccare dal gruppo di Forza Italia, che guidava, 30 o 40 deputati. Cosa che mi rifiutai di fare». E Carfagna? «Sono sicura che Mara, un ministro molto apprezzato, prenderà la decisione giusta, quella di continuare a contribuire al nostro grande progetto», risponde Ronzulli.

Intanto si pensa a una possibile mediazione sul candidato premier. Non si indicherà già ora un candidato premier, anche se nei simboli di lista con ogni probabilità ciascuno metterà il nome del rispettivo leader. Si dirà che chi arriva prima avrà diritto di dare indicazioni, ma poi dopo le elezioni si faranno i conti veri e si vedrà se si arriverà a proporre un nome esterno, se si cercherà di coinvolgere i gruppi parlamentari o se si applicherà la regola appunto del più votato.

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