Questo è un articolo dell’ultimo numero di Linkiesta Magazine Omaggio all’Ucraina + New York Times Big Ideas in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e stazioni di tutta Italia. Lo si può ordinare qui.
——————————————
Per tutta l’ora e mezza di What is a woman?, ho continuato a pensare a Borat. Borat, ve lo ricorderete, era un personaggio di fantasia: un giornalista kazako goffo e inadeguato (oggi diremmo: con l’Asperger) che faceva domande imbarazzanti ottenendo risposte ancor più imbarazzanti. Lo interpretava Sacha Baron Cohen, un comico inglese che nel 2006 poteva contare sull’effetto sorpresa: certo che i poveri intervistati non sapevano chi fosse, era facile che un giornalista kazako non risultasse a Google.
Quando però, nel 2020, si scopre non solo che Cohen è riuscito a girare un secondo film, ma che tra gli intervistati messi in imbarazzo quando la messinscena di Borat è nota al mondo da quattordici anni, tra quelli abbastanza allocchi da cascarci c’è Rudy Giuliani, beh, è allora che tocca chiedersi in che mani siamo (stati).
Matt Walsh è un editorialista parecchio di destra. Per dire: quando la Corte Suprema ha revocato la protezione costituzionale del diritto all’aborto negli Stati Uniti, ha twittato per giorni che finalmente qualcuno si preoccupava di proteggere i poveri bambini non nati. Quando Matt Walsh ti chiede un’intervista, e tu sei una pediatra coi capelli blu che dice che il genere maschile non lo fanno i gameti, giacché il genere «è una costellazione», ecco, io – prima ancora di chiedermi come sia possibile tu faccia il medico – mi chiedo: ma non ce l’hai Google? Non lo usi, come le persone normali, per sapere chi stai per incontrare?
What is a woman? è un documentario calvinista – nel senso di Italo Calvino, non di Jean Cauvin. Fu Calvino a dire che in questo secolo avremmo dovuto «combattere l’astrattezza del linguaggio, che ci viene imposto ormai, con delle cose molto precise»; Walsh di sicuro non lo conosce – è americano: oltre la frontiera pensano ci siano solo marziani e coyote – ma è quella la lezione che applica: partiamo dalle basi, che cos’è una donna?
Poiché intervista americani, nessuno gli dice eh ma Spinoza, eh ma Wittgenstein, eh ma lo Sprachspiele, eh ma le parole e il contesto che ne cambia il senso. No: gli dicono che una donna è una che si percepisce donna. Sì, ma per percepirsi donna bisogna sapere che significa donna, quindi siamo daccapo, una donna cos’è?
A un certo punto un docente universitario gli dice che è transfobico perché Walsh (che si sarà presentato fingendosi neutrale rispetto al tema, ma proprio non so come abbia fatto poi a tenere la faccia seria tutto il tempo) gli ha chiesto quale sia la verità. L’idea che ci sia una verità è transfobica, lei è un essenzialista del genere sessuale, si vergogni. (“Essenzialista” è la versione sofisticata di “transfobico”, significa che pensi che se uno ha il cazzo orientativamente non è una donna. Come dice Ricky Gervais in SuperNature, chi avrebbe potuto immaginare, dieci anni fa, che «le donne non hanno il pene» sarebbe divenuta un’affermazione controversa?).
C’è anche qualche residuale medico ragionevole o caso straziante di trans pentito («per la prima volta un gruppo marginalizzato ha un gigantesco simbolo del dollaro sulla testa»: come con tutti i contagi sociali, qualcuno ci guadagna), ma perlopiù What is a woman? ci mostra gente determinata a complicare il pane dell’essenzialismo; cioè a non dire quella che Walsh definirebbe la verità e io un’ovvietà: una donna è un’adulta della specie umana, che fatte salve anomalie genetiche o malattie prima o poi ha prodotto o produrrà uova.
La percezione è talmente tutto che è evidente la differenza con Borat. Sacha Baron Cohen andava a far fare figuracce agli impresentabili, era facile ridere di loro. Matt Walsh parla coi rappresentanti del Club dei Giusti, coi buoni per eccellenza, quelli che ti dicono che le persone trans hanno diritto di vivere (e chi mai sarebbe così orrendo da dire di no), e – per quanto ti venga da ridere quando dice a un deputato che ci sono donne credulone là fuori che si sono bevute il pettegolezzo che se uno ha un pene è un uomo – ti dispiace per loro. Ti dispiace per un’epoca in cui la percepita sinistra è così scema, e i percepiti buoni sono così scemi.
C’è anche una rarità: le sportive che protestano perché gareggiano con donne col pene che hanno un vantaggio mica da poco, essendo grosse il doppio di loro, forti il doppio di loro, veloci il doppio di loro – ove «loro» sono quelle senza pene. Di solito, è uno dei fenomeni recenti più interessanti, quando c’è una polemica su qualche atleta trans le compagne di squadra accorrono in difesa: nessuna vuole sembrare una che non sa perdere, un’invidiosa, una transfobica.
Walsh intervista una compagna di squadra di Lia Thomas – che da quando si percepisce donna vince tutte le gare di nuoto così come da uomo le perdeva tutte, ma dice il direttore esecutivo del centro nazionale per l’eguaglianza trans che essere nato uomo e gareggiare con le donne non ti dà vantaggi sleali, e il direttore è un uomo (trans) d’onore – e la ragazza illumina un dettaglio interessante.
Se protestiamo, racconta, ci offrono un sostegno psicologico: la presenza di Lia in squadra non è negoziabile, ma se non siete in grado di farvene una ragione possiamo aiutarvi. Ad abbisognare di sostegno psicologico in questo decennio non è chi ha una disforia di genere – anzi, quello va assecondato e felicitato – ma chi fa notare che ci sono cose (gli sport, gli spogliatoi, i bagni) in cui conta solo il corpo: se li dividiamo tra maschile e femminile non è per la sensibilità ma per i genitali.
Il dettaglio interessante è che Walsh e i sacerdoti della transessualità hanno posizioni più vicine di quanto credano. What is a woman? comincia con la festa di compleanno di due dei quattro figli di Walsh. Sono due gemelli, maschio e femmina, ed è guardando loro che Walsh osserva le elementari differenze: la figlia è vestita in rosa, il figlio in blu, lei è entusiasta di ricevere in regalo una tiara, lui un fucile, lei è emotiva, lui no. Insomma: cliché di genere.
Che è esattamente ciò che presiede alla follia di dire che ti percepisci in un modo o in un altro: oggi ci aspetteremmo una transizione di genere da Katharine Hepburn perché indossava sempre i pantaloni, o da David Bowie perché metteva l’ombretto. È inconcepibile essere un uomo o una donna (in senso essenzialista biologico, cioè nell’unico senso che abbia senso) e utilizzare cliché dell’altro genere. Mia figlia gioca con le macchinine, presto, riempiamola di ormoni.
A un certo punto Walsh prova a dire che però i bambini credono anche a Babbo Natale, non è che siano attendibili circa cos’è vero. A capelli blu quasi viene un ictus: Babbo Natale è vero per tuo figlio, e quindi è vero, diversamente dal genere che gli hanno assegnato. Legheranno, il bambino e Babbo Natale, grazie alle comuni frustrazioni: all’anziano hanno assegnato il ruolo di babbo senza mai chiedergli se si percepisca mamma.