Fine adolescenza maiIl reato di ghosting e gli adulti rincretiniti che non sanno più come ci si lascia in modo normale

I protagonisti di “Uncoupled” (nuova serie dello sceneggiatore di Sex and the city) sono cinquantenni che si fanno le stesse paranoie sentimentali dei quindicenni e rappresentano alla perfezione il nostro rimbambimento collettivo

Jackson Simmer, Unsplash

Non si è mai parlato tanto di generazioni, e le generazioni non sono mai state una categoria così inesistente. Ogni volta che qualcuno dice «boomer», oltre a essere in genere impreciso rispetto al bersaglio della propria scarsezza dialettica (che in genere non è un settantenne nato negli anni del boom ma un cinquantenne nato negli anni del terrorismo), usa un’espressione che prevede che, tra chi ha l’età che aveva mia nonna quando io avevo quindici anni, l’età che avevano i miei genitori quando io avevo quindici anni, e l’età che avevo io a quindici anni, tra queste tre fasi della vita ci siano differenze.

Vediamo ogni giorno che non è così, lo vediamo osservando genitori che smaniano per conoscere le canzonette dei figli, madri che rubano i vestiti alle figlie (una volta era il contrario, quando le bambine ambivano a crescere, non le madri a rimbambinire), prodotti – tutte filiazioni della Pixar, una qualche Norimberga prima o poi le chiederà conto di questi danni – che devono parlare a tutti, e quindi innanzitutto ai ragazzini (ai quali gli adulti si adeguano).

Dieci o venti anni fa, se qualcuno avesse proposto Uncoupled a una rete televisiva, quella avrebbe risposto: cioè il principale traino emotivo di questo personaggio è l’essere scioccato dal fatto che il fidanzato l’abbia mollato senza spiegazioni? E ha cinquant’anni? Forse intendi quindici.

Adesso, per la quindicennitudine dei cinquantenni hanno inventato una parola: ghosting. Se lo chiedi ai contemporanei, ti dicono che il ghosting ha una sua specificità, che è quando qualcuno sparisce, non ti dice perché non ti vuole più, smette di risponderti. Se tu rispondi: sì, è così che funziona quando ci si lascia, ti guardano come uno psicopatico anaffettivo.

È più facile che il centrosinistra italiano vinca le elezioni, che l’abitante di questo decennio si convinca che, se uno non ha più voglia di stare con te, figurarsi se ha voglia di fare l’analisi della sconfitta: non ho voglia di scoparti, posso mai aver voglia di spiegarti perché non ti scopo?

Uncoupled è tutto così. È tutt’un e allora l’hanno visto con uno, e allora secondo te ci stava già prima, e allora perché non mi ha spiegato, e nessuno dice mai: ma chissenefrega. Le beghe sentimentali, se uno accende Netflix, hanno nella vita dei cinquantenni lo stesso spazio e peso che hanno in quella dei quindicenni.

Cinquantenni idioti ce ne sono sempre stati, beninteso. Anni fa, quando ancora non avevano inventato la parola ghosting, una tizia voleva convincermi a chiamare un tizio che avevo smesso di vedere come ci si smette di vedere tra adulti: perdendosi di vista. Devi chiedergli perché, diceva, mentre io meditavo di soffocarmi col wasabi pur di non sentire tutte quelle stronzate.

A un certo punto giuro che, in una sua bislacca traduzione di «closure» (tutte queste minchiate all’altare dell’emotività vengono sempre dall’America, dove non sono capaci di ottenere il congedo di maternità retribuito ma stanno attentissimi a non farsi ferire i sentimenti), la tizia mi disse: devi chiudere la bara. (Il tizio che avevo smesso di vedere era vivo e in buona salute, e lo stesso si poteva dire di me).

Forse come lancio pubblicitario di Uncoupled (nuova serie di Darren Star, ma almeno quando s’inventò Sex and the city le petulanti sentimentali erano trentenni: era più perdonabile), nelle Filippine hanno proposto di mettere fuori legge il ghosting.

Arnolfo Teves jr. la settimana prossima compie 51 anni, è al suo terzo mandato da deputato, e sente le stesse ferite del protagonista di Uncoupled. Ricopio dalla proposta di legge con cui vuole dichiarare il ghosting un reato emotivo (qualunque cosa significhi).

«Il ghosting – quando qualcuno tronca ogni forma di comunicazione – può rappresentare, per la persona “ghostata”, una forma di esaurimento mentale, fisico ed emotivo. Studi hanno dimostrato che una qualsivoglia forma di rifiuto sociale può attivare gli stessi meccanismi nel cervello del dolore fisico, il che significa che c’è un legame biologico tra il rifiuto e il dolore. Questo vale sia per gli amici sia per le relazioni amorose».

Il prossimo passo, mi pare evidente, è un avviso nelle prime pagine di Piccole donne: la scena in cui nessuno si presenta al brunch di Amy, lasciandola lì come una cogliona vestita a festa e coi posti a tavola deserti e il cibo avanzato, quella scena è una devastazione emotiva che i lettori potrebbero non essere in grado di reggere, e dalla quale lo Stato deve tutelarli. Per non parlare di Amy March, alla quale dopo quel brunch spetta come minimo una pensione d’invalidità.

Prosegue Arnolfo detto Arnie, gemello astrale della tizia con cui mangiavo il sushi e che voleva chiudere la bara: «L’ambiguità del ghosting è che non c’è una vera closure tra le parti coinvolte, e perciò esso può essere equiparato a una forma di crudeltà emotiva e dovrebbe essere punito come reato emotivo per il trauma che causa alla parte ghosted».

Se mi lasci ti denunzio. O me ne lagno in otto puntate d’una serie, vediamo cosa mi conviene di più. Di sicuro, non posso recuperare un po’ di dignità e farmi una ragione del fatto che non mi vuoi: cosa mi cambia sapere perché? (Come se poi tu lo sapessi e me lo tacessi, come se non avessimo imparato da Cocciante che non c’è mai una ragione perché un amore debba finire. Ma, certo: questo valeva prima che smettere d’amare fosse reato, questo valeva quando esistevano gli adulti).

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