L’egoismo della pesca Io, Aranzulla che son io, Aranzulla che non sono altro

In un’intervista al Corriere, la star degli spiegoni tecnologici per impediti analogici difende la sacralità del sonno, soprattutto di fronte alla minaccia dei bambini, un po’ come Nanni Moretti e molto come Guia Soncini

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Una volta «si vede che sono un uomo» era una battuta. Era quando si potevano fare le battute, quando nessuno le scambiava per affermazioni serie perché i deliri ideologici non erano ancora così pervasivi.

Quando Nanni Moretti parlava con la pancia della moglie e diceva al futuro figlio che il papà aveva «bisogno di dormire molto, e un sonno continuo, non frammentato», era il 1998, ed era un altro mondo.

Un mondo in cui un uomo poteva mettere in scena un sé stesso che di fronte alla gravidanza pensa innanzitutto al proprio sonno, alla propria tranquillità, all’intoccabilità e alla sacralità di sé, di sé, soltanto di sé, e nessuno lo accusava di maschilismo tossico, di rifiuto del lavoro di cura condiviso, di vessare la povera madre che se non diventava capo del mondo era perché lui non si faceva impiantare due tette per allattare al posto suo.

Ma, soprattutto, un mondo in cui io, seduta nella platea del Nuovo Sacher, potevo guardare lo schermo e dire: ah, Nanni Moretti sono io, io che pure mi preoccuperei innanzitutto che quell’arnese piangente non mi svegliasse, io che pure innanzitutto penso a me, io che pure col cazzo che sono disposta a sacrificarmi.

Oggi, nulla di tutto ciò sarebbe possibile, perché la mia ammirazione perpetua per il personaggio più egoista sullo schermo sarebbe scambiata per un’identificazione di genere. Ti rivedi in Vito Corleone, ti rivedi in Rhett Butler, ti rivedi in Michele Apicella: è chiaro che sei un uomo, ti hanno assegnato alla nascita il genere sbagliato.

Oggi, in tempi terribilmente più retrogradi degli anni Novanta, non è possibile non essere un cliché culturale. Sei un bambino cui piace il rosa? Sei una bambina, abbiamo sbagliato crocetta sul modulo anagrafico. Sei una bambina cui piace giocare a calcio? Sei un bambino, non preoccuparti, ora ti diamo gli ormoni così non ti crescono le tette.

Ci sarebbe da discutere di come questa impostazione sia la più omofoba che sia mai esistita (meglio riempirti di ormoni che ti faranno venire l’osteoporosi, che crescere una piccola lesbica), ma io invece voglio parlare della pesca.

Da giorni, gli americani che seguo su Twitter discutono di una vignetta d’una tizia che su Instagram si chiama momlife_comics, e racconta la propria vita con due figli e un marito inetto. La vignetta della pesca è costruita con le due diverse reazioni di lei e di lui scoprendo che c’è un’ultima pesca perfettamente matura. Lei pensa: la tengo per i bambini, a loro piacciono così tanto le pesche. Lui pensa: la metto nel mio frullato.

Una persona sana di mente – cioè: io – ne desume che siamo di fronte a due deficienti. Lei si sacrifica per due che se mangiassero una merendina sarebbero contenti uguale; lui spreca la pesca in un frullato misto in cui il sapore d’una frutta che puoi gustare poche settimane all’anno verrà confuso e diluito.

Twitter, un raduno di gente che non ha mai contribuito al pil di nessuno Stato e passa le giornate a trarre morali sulle vite altrui, decide che la tizia deve divorziare, giacché vessata da un patriarca che passa sopra alle esigenze familiari ed è un egoista delle pesche.

Per inciso, tutte le vignette della signora hanno questa convenzione narrativa qui: il marito non sa dove siano i bicchieri nella loro cucina, il marito quando scaricano la spesa dalla macchina prende un sacchetto mentre lei ne prende dieci – il marito sono io.

Chissà se la fidanzata di Salvatore Aranzulla disegna fumetti. Ieri il Corriere ha pubblicato quella che già premierei come miglior intervista dell’estate. A uno che forse non avete mai sentito nominare ma che è il risultato che vi viene fuori se guglate «come si invia una pec» o «come si cancella la cronologia»: Aranzulla si è arricchito capendo che siete subnormali e che, per quanto dipendiate dalla tecnologia ormai in tutto, non la sapete usare.

L’intervista è piena di meraviglie quali «il mondo del lavoro è pieno di scappati di casa. Le aziende assumono giovani incapaci per risparmiare. Ci ho a che fare ogni giorno. Vogliono un testimonial. Dicono: fissiamo una call. Io chiedo prima: avete il budget? Risposta: per ora no, ma sentiamoci lo stesso, anche solo per raccontarci le vacanze. Le vacanze? Ma che lavoro fa questa gente illicenziabile? Telefona?».

Aranzulla ha un gigantesco senso di sé: ce l’avreste anche voi, se vi foste rapidamente arricchiti soccorrendo l’umana stupidità. Oltretutto mi par di capire sia un enfant prodige: ha 32 anni, e l’intervistatrice Irene Soave racconta che ha cominciato col post «Come installare una stampante» nel 2002, quindi dodicenne. Piccoli geni equilibrati non ne esistevano nel mondo analogico, figuriamoci oggi.

Comunque, a un certo punto arrivano, nell’intervista ad Aranzulla, Nanni Moretti e la pesca. Ricopio il passaggio.

«Basta un pensiero o uno spiraglio di luce e non prendo sonno. Sabrina, la mia compagna, stanotte è entrata a letto con lo smartphone. L’avrei strozzata. A volte mi chiede se può abbracciarmi: amore, le dico, mi abbracci domani, devo dormire». «E se avrete un figlio?». «Non dormirà con me. Mi spiace, ma devo dormire».

È una vita che dibatto di come le camere separate non siano un segno di disamore: è la camera da letto comune che è un segno di poca ricchezza e scarsità dei metri quadri. Certo che se c’è una pesca buona la voglio per me. Certo che il mio sonno è sacro e se accendi la luce t’ammazzo e pretendo pure le attenuanti. Si vede che sono Aranzulla.

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