La formula della vitaLa fortuna esiste ed è la cosa che ci salva in quegli anni in cui siamo scemi

Gli editorialisti dolenti sul caso delle due sorelle travolte da un treno devono fingere che le disgrazie raccontate nelle cronache siano un film con una morale, ma non si può proteggere nessuno da niente e la disciplina c’entra poco. C’entra il caso

di Vikas Makwana, da unsplash

Vi ricordate di quando eravate scemi? No, non cinque minuti fa, quando siete andati sui social di qualche professore che ha idee politiche divergenti dalle vostre a dirgli che egli è la vergogna dell’università. Neppure cinque giorni fa, quando avete imparato tutti i nomi delle ultime settantacinque identità di genere pervenute per non farvi dare dei poco inclusivi dal quindicenne di casa.

Vi ricordate di quando era normale foste scemi, giacché il cervello non vi si era ancora finito di formare, giacché nessuno (tranne Enrico Letta) pensa che prima dei trent’anni l’essere umano sia capace d’intendere e volere – vi ricordate dei vostri sedici anni?

Le mie amiche si dividono in quelle che a sedici anni erano sante e sgranano gli occhioni quando racconto che sono viva per miracolo, e quelle che facevano vite da sedicenni, e quando faccio presente che preoccuparsi per i sedicenni è un gioco a perdere iniziano a ricordare le loro peripezie, e rabbrividiscono.

A sedici anni (ma pure a quattordici, ma pure a diciotto) io ero la figlia che nessuna persona sana di mente vorrebbe avere, la figlia che se ce l’avessi avuta avrei mandato in un collegio militare, la figlia che l’inferno ha mandato per punirti di chissacché.

Nei momenti di carità interpretativa, sempre più frequenti, io dico che sì, va bene, i miei genitori erano scemi e criminali, ignoranti e velleitari, senza qualità e senza senso morale, ma gestiscila tu una quindicenne che devi andare a prendere alle due di notte al pronto soccorso di Trento perché s’è bevuta un litro di tequila.

Il grande non detto dei discorsi sull’educazione e la genitorialità e le generazioni e i tempi che signora mia cambiano e le droghe e l’alcol e il sesso e il sarcazzo è: la fortuna è fondamentale. La fortuna è ingiusta e imprevedibile e non c’è metodo educativo che te la procuri; e senza sei, scusate il doppiaggese, fottuto.

Sono mai stata così scema da attraversare i binari? No, per fortuna no. Sarei potuta finire come le due ragazze morte a Riccione? Sì, certo che sì. Però sono stata fortunata.

Sono stata fortunata che non si sia mai sfracellato nessuno di quelli che guidavano i motorini coi quali tornavamo nella notte dalla Baia Imperiale o proprio dal Peter Pan (passano i secoli ma le quindicenni sceme di Bologna vanno sempre nelle stesse discoteche della riviera romagnola, gli unici marchi che non hanno mai bisogno di restyling), dopo avere bevuto tutta notte, ilari e idioti e pure sbronzi.

Sono stata fortunata che non mi abbia mai ammazzato mai nessuno dei tipi loschi con cui m’infrattavo nella fase tipi loschi della mia adolescenza, che non m’abbia mai stuprato nessuno di quelli con cui facevo la cretina per poi sottrarmi a mutande già scaldate, che mi facessero impressione gli aghi facendomi superare gli anni Ottanta senza mai provare l’eroina (ogni volta che ci ripenso mi pare una missione impossibile: chissà quale dio mi si era affezionato, per farmi stare al riparo dalla più adatta a me delle scorciatoie).

Un’amica tempo fa mi ha raccontato che la figlia aveva passato la notte fuori con l’inganno. Le aveva detto che dormiva da un’amica, le aveva dato il numero della madre dell’amica perché potesse controllare, ma il numero ovviamente era quello dell’amica stessa, che aveva mentito alla mia amica mentre la figlia se la spassava chissà dove. Non era successo niente di grave, giacché la fortuna esiste (e anche: la statistica delle bravate che finiscono male è per fortuna infinitesimale, rispetto al numero enorme di stronzate che si fanno all’età delle stronzate).

Però alla mia amica era preso un colpo, e voleva punire severamente la figlia. All’uopo, mentre minacciava collegi militari che già sapeva non avrebbe mantenuto, aveva chiamato la madre dell’amica della figlia, cercando una socia di ritorsioni. Quella le aveva detto: eh, ma c’è stata la pandemia, devono sfogarsi. (Mesi fa un tassista milanese mi disse che c’erano le baby gang che accoltellano la gente perché i ragazzi sono stati in casa e ora devono sfogarsi. Chissà se anche Arancia meccanica era conseguenza d’una pandemia).

La mia amica era furibonda e pronta a dare la colpa dell’inettitudine dei giovani d’oggi alla scarsa disciplina imposta loro dalle famiglie. È vero che la scarsa disciplina è un problema: a me nessuno ha mai proibito niente, e il risultato è una vita faticosissima passata a educarmi da sola; a educare sinapsi che non hanno più l’elasticità dei quindici anni e mica mi ubbidiscono. Ma è anche vero che la fortuna non è meritocratica. Possono vietarti novantanove volte d’andare in discoteca, e alla centesima finalmente ci vai e finisci sotto un treno. Possono non vietartelo mai e in mille sbronze, stanchezze, disattenzioni può non capitarti mai niente di grave.

Sono uscita di nascosto la notte per tutti gli anni del liceo, e sono viva per raccontarlo. Sono viva per raccontare d’essere stata scema e di non averne pagato le conseguenze, ma il problema è che raccontarlo non serve a niente, giacché la vita non è un film col messaggio. Non c’è una lettura educativa di come vanno le cose, una parabola didattica da trarne. Magari non esci mai la sera e fai tutti i compiti e poi il Nobel non lo vinci comunque perché, appena finisce di formartisi il cervello, invece che un treno sui binari t’investe una macchina sulle strisce.

È il problema rappresentato per gli editorialisti dolenti da queste storie qui, che dovrebbero mettere dei punti fermi morali, e invece ci dicono solo quel che non vogliamo sentire: che la vita va come le pare, e che non puoi proteggere nessuno da niente, e che non c’è una formula sicura per vivere non dico fino a cent’anni, ma almeno finché il tuo essere scema diventa scelta e non fisiologia.