L’accelerazione è bruciante. Ogni organo del corpo si schiaccia all’indietro, la schiena fatica a mantenere la sua posizione naturale. I muscoli delle braccia si tendono, le dita si aggrappano, stringono per non mollare la presa sull’unico punto di contatto tra loro e il mezzo meccanico. Il rumore è forte, assordante. La visione si restringe, tutto sembra più piccolo. La velocità è alta, il margine di manovra esiguo. Gli oggetti si avvicinano in un istante, si spostano alla periferia dello sguardo, vengono sfiorati e spariscono alla vista. Ogni cambio di direzione richiede uno sforzo incredibile. Il collo contrasta le spinte laterali, i piedi spingono, il respiro manca. Tutto trema. L’adrenalina inizia a scorrere, le pupille si dilatano, il cuore pompa, la concentrazione è massima. La prospettiva sul mondo cambia. È la vita nella sua massima espressione.
Tutto riporta alla mente l’atmosfera evocata dal film Top Gun, e viene difficile immaginare una colonna sonora che non abbia nostalgiche vibrazioni anni ’80. Ma siamo su altre strade, o meglio, acque. Il sole di settembre batte tiepido sul ponte di volo della portaerei Cavour. Dolce brezza marina attraversa tutti i 220 metri della pista di decollo, quasi a suggerire sottovoce il rapporto che intercorre tra il gigante da oltre 27mila tonnellate e i due elementi che si fondono al suo passaggio: acqua e aria. Il trampolino di lancio si eleva verso l’ignoto, e si può sentire chiara, dentro di sé, la spinta a partire.
La nave è il più grande concentrato di tecnologia attualmente in dotazione alla Marina Militare. Oltre 120mila cavalli di potenza, derivanti dall’impianto propulsivo non nucleare più potente mai realizzato. Il Cavour (perché le navi militari, al contrario di quelle mercantili, esigono l’articolo maschile) è al tempo stesso una portaerei, una nave di assistenza a popolazioni in difficoltà (come avvenuto ad Haiti), un ospedale galleggiante e una nave adatta a missioni di comando e controllo. Sul ponte della nave ammiraglia della Marina posano orgogliosi gli elicotteri EH101, NH90 e AB212, oltre a un esemplare dell’aereo AV-8B a decollo verticale, che sarà affiancato dal modello di ultima generazione F-35B. L’Italia è l’unica ad averlo in dotazione in tutta l’Unione Europea. L’hangar può accogliere 8 aerei o, in alternativa, fino a 12 elicotteri.
Ed è proprio dall’hangar che, a un certo punto, qualcosa si muove. «Air boss, dai lo scramble» ordina il comandante della nave, il capitano di vascello Enrico Vignola. Si avviano le procedure operative, con un profondo rumore in sottofondo. L’elevatore da 30 tonnellate, da 15 metri più in basso nella pancia della nave, si allinea lentamente al livello della superficie di cemento. Al centro, però, non c’è un aereo. C’è una moto.
La nuova Moto Guzzi V100 Mandello, modello Aviazione Navale, è l’anello di congiunzione tra un marchio storico dell’identità italiana e la Marina Militare, la “grande silenziosa”. La livrea dedicata si ispira proprio ai caccia F-35B, con le tipiche strisce jet intake e la coccarda tricolore, oltre allo stemma dell’Aviazione Navale e dal logo del Gruppo Aerei Imbarcati. Realizzata in edizione limitata di 1913 esemplari numerati, in omaggio all’anno di fondazione della componente aerea della Marina, è solo l’ultimo punto di contatto tra il marchio Guzzi e l’aviazione: l’aquila ad ali spiegate, emblema della Casa sin dalla fondazione nel 1921, trae infatti origine dalla comune militanza dei fondatori Carlo Guzzi e Giorgio Parodi nel Servizio Aeronautico della Regia Marina durante la Prima Guerra Mondiale. Insieme al pilota Giovanni Ravelli, vittima di un incidente nel 1919, i due avevano deciso di costruire motociclette una volta finita la guerra, e scelsero l’Aquila anche per ricordare l’amico, che era motociclista. Occasioni come la presentazione di V100 Mandello, afferma l’ammiraglio di squadra Enrico Credendino, Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, «aiutano a rilanciare due marchi storici, oltre che la cultura marittima del nostro Paese».
L’innovazione tecnologica portata da V100 Mandello, dotata di propulsore bicilindrico a V da 1000 CC capace di erogare una potenza di 115 cavalli, è coerente con ciò che la circonda: è la prima moto con aerodinamica adattiva, regolata dai caratteristici deflettori ai lati del serbatoio, risultato di oltre 200 ore di test in galleria del vento. «Quando abbiamo pensato alla relazione che da cento anni lega l’aviazione a Moto Guzzi» spiega Michele Colaninno, amministratore delegato alla strategia e al prodotto del Gruppo Piaggio, «la prima idea è stata costruire una moto con i flap. È stato difficilissimo, perché è una tecnologia che, sulle motociclette, non c’era».
Il parallelismo tra motociclismo e aviazione può sembrare incredibile, ma è qualcosa di concreto. Lo confermano le parole stesse di un vero e proprio Top Gun italiano: «Tutti i piloti, siano essi di auto, di aerei, di elicotteri, di alianti o di qualsiasi altro mezzo, provano delle accelerazioni. È più facile, per un pilota, abituarsi alla spinta di una moto molto potente, rispetto a una persona che invece non lo è» racconta il pilota di elicotteri Andrea Colombo detto il “Ganassa”, come fieramente scritto sulla sua mostrina. Sottotenente di Vascello della Marina Militare di stanza a Sarzana, 28 anni, comasco, Colombo è anche motociclista: «Adattarsi alle accelerazioni, alle alte velocità, alle impressioni visive che si hanno in moto è molto più semplice per qualcuno che, come noi, è abituato a volare anche a bassa quota molto velocemente, soprattutto per quanto riguarda i riflessi».
Per controllare mezzi da quindici tonnellate, come l’elicottero EH101 che pilota Andrea, o più, occorre un addestramento durissimo, sia fisico che mentale. Tutto inizia negli Stati Uniti d’America: «I piloti della Marina, attualmente, seguono lì circa due anni di corso» spiega “Ganassa”. «C’è molto da studiare per imparare a conoscere le macchine, ma c’è un imprinting di allenamento veramente pesante, sia a livello di nuoto che di efficienza fisica». Addestramento che inizia in Italia, con prove che prevedono anche il nuoto per un miglio nautico (quasi due chilometri) con tuta da volo e scarponi, e che consente ai nostri piloti di presentarsi alle selezioni costantemente tra i migliori al mondo. Una volta terminati i corsi, i nostri Top Gun hanno a disposizione strutture, palestre e preparatori della Marina: «Il mantenimento della forma fisica viene devoluto al singolo. Personalmente, mi mantengo con un allenamento funzionale di resistenza e forza». Ma c’è anche l’aspetto psicologico: «Disponiamo di un’assistenza interna alla forza armata. Non c’è un appuntamento fisso, ma vi ci si può rivolgere in caso se ne sentisse il bisogno».
Andrea racconta il percorso che lo ha portato a diventare pilota di elicotteri: «La prima parte del corso negli Stati Uniti è dedicata all’ala fissa, quindi agli aerei, per poter prendere il brevetto di pilota militare, le Wings of Gold della Marina statunitense. Poi si transita ai jet o agli elicotteri». Ma come mai ha scelto l’elicottero? «Da una parte è stata una scelta obbligata: in quel momento la Marina aveva bisogno di elicotteristi. In realtà, per quanto non si apprezzi molto all’inizio, o la si apprezzi meno del jet, è una macchina speciale. L’elicottero non vuole volare, non gli piace, devi obbligarlo. È una sfida che appassiona». Lo studio ingegneristico che sta dietro al suo funzionamento, spiega, è molto più complesso rispetto a quello di un aereo: «Per volare dispone di tutte parti rotanti, e la loro usura è estremamente maggiore rispetto a un velivolo ad ala fissa, che le ha soltanto nel motore».
Il fascino dell’essere pilota militare, afferma Colombo, sta nelle differenze che intercorrono tra i membri di un corpo elitario e i piloti civili: «Per quanto loro siano estremamente professionali, hanno una preparazione che ha come obiettivo il “volare” la macchina. Per noi, invece, questo è la base, cui si aggiunge l’aspetto di missione. C’è poi la velocità di apprendimento: tutti arrivano ad essere piloti, la differenza è la velocità a cui ci si arriva. La rapidità di apprendimento è fondamentale».
Piloti come Andrea stanno spesso via da casa per mesi, per operazioni reali o esercitazioni. La Mare Aperto, ad esempio, si svolge due volte l’anno e dura quattro settimane. Vede due schieramenti opposti, con il dispiegamento delle forze navali e aeree, per testare la capacità del corpo militare di far fronte a situazioni di crisi. Impegni che portano a stare lontani dai propri affetti per molto tempo. Una vita, quella del Top Gun, potenzialmente difficile, ma che “Ganassa” sembra non patire più di tanto: «Sono fortunato. Sì, è pesante a livello emotivo, ma so che a casa ho tutto il supporto di cui ho bisogno».