Il dinamismo del mercato del lavoro passa anche e soprattutto dalle politiche attive. Un sistema – quello pubblico – che in Italia riscontra non poche difficoltà, anche a causa di forti differenze territoriali, visto che si tratta di una competenza regionale. I centri per l’impiego – prima chiamati “uffici di collocamento” – nel nostro Paese riescono a trovare un lavoro al 4,2% della loro utenza, tra disoccupati e inoccupati.
Un compito difficile, complicato dal fatto che solo poche persone conoscono l’esistenza dei 550 centri per l’impiego sparsi in tutta Italia. Da qui è emersa la necessità di individuare modalità innovative per “avvicinare” maggiormente le politiche attive alla popolazione. Ma come fare?
Il ruolo dei social e del digitale
«Affinché le politiche attive siano davvero efficaci vanno resi familiari questi servizi e questo lo si ottiene soprattutto attraverso una continua comunicazione via social», spiega Francesco Giubileo, sociologo e consulente in materia di lavoro e formazione professionale. «Viviamo in una società digitalizzata, in cui sia i giovani sia gli adulti sono ormai continuamente immersi nei social network. Quindi va sfruttato meglio questo canale per pubblicizzare le politiche attive. Investimenti in social network e marketing digitale sono la vera chiave per rendere conosciute e più vicine alle persone le politiche del lavoro».
Dalla Francia arriva un esempio di unione tra social network e politiche attive del lavoro, dove il ministero del Lavoro, dell’occupazione e dell’inclusione ha scelto di sfruttare i canali comunicativi di Tinder, la nota applicazione di incontri, per favorire la ricerca di un lavoro per i giovani tra i 16 e i 25 anni.
Nel profilo degli utenti di Tinder, fino al 31 luglio, sono apparse alcune inserzioni con slogan quali «Sei in difficoltà con il tuo lavoro estivo?», «Unisciti all’avventura per creare il tuo futuro» o «Stai cercando un’opportunità?». Cliccando su una di queste domande, l’applicazione conduce direttamente al sito governativo “1 Jeune, 1 solution”, dove sono presenti altre 70mila offerte di lavoro stagionali per i più giovani. Secondo i dati governativi, tramite questa piattaforma – lanciata nell’estate del 2020 per aiutare i giovani a superare i mesi più complessi della pandemia – hanno potuto trovare un impiego o un tirocinio già 6 milioni di giovani francesi.
«Non so se Tinder sia il social più adatto tra quelli esistenti, probabilmente Facebook, Instagram e TikTok potrebbero essere ancora più efficaci, ma la direzione social indicata dalla Francia è quella corretta», spiega Giubileo. «Purtroppo, in Italia, i manager presenti nella Pubblica Amministrazione che si occupano di politiche attive – anche per la loro età anagrafica – non hanno compreso la rivoluzione digitale in corso. Non è sufficiente rilanciare sulle proprie pagine social le iniziative dei centri per l’impiego, ci vogliono competenze in comunicazione e in social recruiting, oltre a una maggiore progettualità che includa collaborazioni con società di marketing e con influencer e sportivi: così si intercetta tutta la platea di chi è escluso dal mercato del lavoro, la cui età varia dai 16 ai 50 anni».
Un altro modo per avvicinare le politiche attive alla popolazione potrebbe essere quello di sfruttare la sinergia con realtà private che facilitano l’incrocio tra domanda e offerta. «Le regioni Italiane – dice Giubileo – hanno proprie piattaforme dove ci sono offerte di lavoro, a volte sono anche fatte molto bene, ma restano progetti incompleti perché gli utenti o non le conoscono o preferiscono piattaforme più note. Se le regioni creassero partnership con queste società per realizzare delle piattaforme online sarebbe un ottimo passo in avanti. Qualcosa in questo senso si muove già, dato che Renato Brunetta, il ministro per la Pubblica Amministrazione, ha chiuso un accordo con Linkedin lo scorso anno per eseguire l’assunzione di figure tecniche che accompagnassero i comuni italiani nell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza».
Le iniziative in Italia
Recentemente, in Italia, sono nate intanto iniziative fisiche per avvicinare le politiche attive alla popolazione. Il primo esempio è Torino, dove le Portinerie di comunità – cioè edicole dismesse e riconvertite per piccoli servizi di prossimità come la ricezione dei pacchi – hanno aggiunto ai propri servizi alcuni punti informativi sulle politiche attive del lavoro. Il progetto è reso possibile dalla collaborazione di enti pubblici, come Agenzia Piemonte Lavoro, Inps, Comune di Torino e anche di società private come Lavazza Group.
Il secondo esempio è una proposta, di cui si sente parlare da diverso tempo. Prevede di integrare il servizio erogato dai centri per l’impiego con gli uffici postali, in modo da sfruttare la capillarità e la familiarità che gli utenti hanno con le poste.
«Il tentativo è apprezzabile, ma entrambe hanno il rischio dell’autoselezione: solo quei pochi individui che già conoscono le politiche attive utilizzerebbero questo servizio, mentre il fine principale è quello di coinvolgere tutti», commenta Giubileo.
Le competenze di chi eroga questi servizi sono poi un altro aspetto molto importante per Giubileo. «Queste due novità, come gli stessi centri per l’impiego, hanno un problema di abilità: chi vi lavora non ha studiato materie di settore, come ad esempio sociologia o risorse umane, ma ha un percorso di studi diverso. Questo rende tutto più inefficace. Penso quindi vadano usati molto di più i servizi sociali che, avendo le competenze adatte, possono aiutare chi cerca di reinserirsi nel mercato del lavoro».