Dalla terrazza del Golfhotel Kaiserin Elisabeth di Feldafing si vedono il lago di Starnberg e le Alpi. È lo stesso panorama che contemplava l’imperatrice Elisabetta d’Asburgo quando faceva tappa in questo angolo di Baviera dove, nel vicino castello di Possenhofen affettuosamente detto “Possi”, aveva passato l’infanzia.
Ex Gasthof Strauch, fu rimodernato e ampliato per accoglierla insieme al suo numeroso seguito quando si trovava con la sua famiglia di origine o andava a fare visita al suo cugino preferito, Luigi II di Baviera, il Ludwig del celebre film di Luchino Visconti, sull’Isola delle rose, il rifugio segreto sul lago che il “re folle” condivideva volentieri con lei. Entrambi arrivavano in treno, mezzo allora modernissimo ed esclusivo, alla piccola stazione di Possenhofen, tuttora in funzione, che ospita anche un piccolo ma fornitissimo museo di cimeli imperiali e reali.
Oltre al panorama idilliaco, l’hotel offre anche un “Menu di Sisi”, tratto dalla copia originale del libro conservato negli archivi che elencava i piatti e le ricette che l’imperatrice preferiva, soprattutto pesce locale come lo sciabola, il coregone, il salmerino e la trota serviti con salsa olandese.
È solo una delle tappe della Strada di Sisi, un percorso culturale europeo di circa 1400 km che ripercorre i frenetici viaggi dell’imperatrice in un itinerario tra passato e presente, da un paese all’altro, dalla Germania, all’Austria, all’ Ungheria, alla Svizzera all’ Italia, (senza dimenticare la Grecia) attraverso residenze estive e invernali, monumenti architettonici e città, musei, eventi culturali e memorie, anche gastronomiche, del suo incessante spostarsi.
Merano, Levico Terme, Madonna di Campiglio, Trieste, l’isola di Corfù, Ginevra, Bad Ischl, Vienna, Budapest sono solo alcune delle città dove l’inquieta e avventurosa nobildonna visse per un periodo o ebbe un palazzo, o allevò i suoi amati cavalli o scappò per sottrarsi alla suocera impicciona e ai pesanti doveri della corte viennese dove si sentiva succube di un’etichetta spietata.
Il punto di partenza è la città di Augsburg, in Baviera, dove visse il più scandaloso dei suoi nove tra fratelli e sorelle legittimi, il duca Ludwig Wilhelm, sposo di Henriette Mendel, attrice, ebrea e senza una goccia di sangue blu.
Qui, l’hotel Maximillian, che ospita anche un ottimo ristorante premiato dalla guida Michelin, rende omaggio a un altro estroso personaggio della famiglia, il padre dell’imperatrice, noto come duca Max, donnaiolo, attore dilettante e suonatore e compositore professionale di cetra, strumento considerato plebeo che lui introdusse a corte, da cui un altro suo nomignolo, Zither Maxi, Max della cetra.
L’imperatrice per caso (Franz Joseph era destinato alla sorella maggiore, ma al primo incontro ufficiale con la famiglia preferì lei, appena sedicenne) era ossessionata dalla forma fisica e orgogliosa del suo punto vita di 50 cm ottenuto anche grazie a un feroce corsetto; come si può vedere dagli abiti originali conservati nel museo del “Castello sull’acqua” a Unterwittelsbach, abiti che pare si facesse, letteralmente, cucire addosso ogni mattina, nelle molte ore che dedicava alla cura dei capelli, lunghi fino alle caviglie, e della pelle.
Le cronache tramandano con uno spirito pettegolo che oggi ne farebbe una regina dei social le sue strane abitudini personali, non ultime quelle alimentari. Bizzarre ed estreme le giudicavano i contemporanei, anche se oggi potrebbero sembrare una sorta di dieta a zona. Le sue passeggiate, per la gioia delle dame di compagnia, duravano anche dieci ore, ma praticò anche con costanza la scherma, fu un’amazzone provetta, si cimentò con i pesi e con la ginnastica.
I biografi raccontano di periodi in cui si nutriva di soli liquidi – latte, thè alla violetta, stravaganti spremute di carne – di altri in cui prediligeva le uova, in particolare un beverone composto da cinque albumi e sale (mentre sui capelli abbinava i tuorli al brandy), alternati a momenti dedicati a un regime che oggi si definirebbe fruttariano. Carne e frutta ricorrono anche nelle maschere di bellezza di sua creazione con cui teneva a bada le rughe, una per il giorno a base di fragole tritate, una per la notte, a base di carne di vitello cruda.
Se tutto questo le giovasse veramente è impossibile da sapere: dopo i trent’anni non volle più essere fotografata né ritratta, ma la sua altezza, 1,72 cm, e il suo peso, 45 kg, fanno pensare a una modella, o a un’anoressica. Di certo, rispetto alle contemporanee che già a trent’anni assumevano forme matronali, lei si mantenne esile e scattante fino all’ultimo, cioè fino a quando a 60 anni, pugnalata a morte al cuore e ai polmoni dall’anarchico italiano, Luigi Lucheni, riuscì a rimettersi in piedi e a fuggire prima di perdere conoscenza.
Eppure, a dispetto della linea, delle diete, delle imprese sportive, della fama di inquieta lunatica, l’imperatrice è commemorata anche da una serie di goduriosi piatti ipercalorici.
Alla sua amata Ungheria, dove risiedeva in ben due palazzi, quello reale ufficiale di Budapest e quello più informale di Gödöllő, è legata la torta Dobos, una delizia di strati di Pan di Spagna, crema di cioccolato e burro ricoperta di caramello. Inventata dal pasticcere ungherese József Dobos nel 1884 per essere presentata all’esibizione nazionale di Budapest, fu ovviamente fatta assaggiare alla coppia imperiale e si narra che lei ne rimase così colpita dall’organizzare spedizioni clandestine nella più rinomata pasticceria della città per mangiarsela in pace.
Vicino a Merano, meta di quattro soggiorni di cura, dove Sissi arrivò per la prima volta a bordo della nuova Ferrovia del Brennero in “assoluto incognito”, ma con 102 persone al seguito, e alloggiò a Castel Trauttmansdorff, la località di Bad Egart la ricorda con il museo reale e imperiale Bagni Egart, tutto dedicato agli Asburgo e con un ristorante, Onkel Taa che propone un menù imperiale dedicato ai piatti preferiti della coppia, ricco di verdure sì, ma anche di polenta, speck, tartufi e coronato da un delicato gelato alle violette che Sissi, amante del colore viola in ogni sua manifestazione, prediligeva.
Francesco Giuseppe – racconta la chef, Janett Platino – amava cibi semplici come il manzo bollito, volendo accompagnato dal brodo o con il semolino. Sissi invece amava l’Asti spumante, i piatti eleganti, i menù scritti in francese, le ostriche, la mousse au chocolat, ma anche i risi e bisi che aveva conosciuto a Venezia, quando soggiornava nell’ex palazzo reale dove le sale abitate dall’imperatrice oggi fanno parte degli itinerari del Museo Correr.
Anche a tavola, quindi, come nella vita, Elisabetta e Franz Joseph avevano poco in comune ed erano destinati a deludersi a vicenda. Del resto, anche il loro amore era iniziato con un equivoco, quando lei, ancora fidanzata, firmava le sue lettere “Lisi” e lui leggeva “Sisi”.