Il flop della via della setaCosa dobbiamo aspettarci dal XX Congresso del Partito comunista cinese

Xi Jinping dovrà fare i conti con il parziale fallimento della Belt and Road Initiative, non a caso quasi svanita dai discorsi ufficiali dei leader cinesi. La credibilità agli occhi dei partner commerciali si sta indebolendo e per questo il presidente proporrà la Global Development Initiative che però sembra la stessa cosa, con un nome diverso

LaPresse

Durante l’ultimo congresso del Partito, nel 2017, Xi Jinping dichiarò che la Cina avrebbe dovuto considerare la Belt and Road Initiative (Nuova via della seta) una priorità assoluta. La Bri venne inserita nella costituzione del Partito Comunista Cinese. Ma quasi un decennio dopo il lancio, il mega piano della Bri, definito il «progetto del secolo», è quasi svanito dai discorsi ufficiali dei leader cinesi, a cominciare proprio dallo stesso Xi Jinping.

Tuttavia, la narrazione cinese relativa allo sviluppo del mondo non sarebbe scomparsa del tutto, anzi, la Cina avrebbe virato verso una sorta di Bri sotto mentite spoglie, ma più ecosostenibile e paritaria nelle intenzioni, la Global Development Initiative, e sulla sua iniziativa gemella, la Global Security Initiative.

La Gdi di nuovo, però, è solo un nome per indicare nulla di concreto. È vaga negli obiettivi come lo era la Bri agli esordi, ma grazie ad essa la Cina vorrebbe porsi ancora una volta quale Paese contributore in senso positivo al benessere e alla sicurezza globali, in contrapposizione al sistema internazionale squilibrato imperniato sul primato statunitense. Uno sforzo teso a presentarsi come potenza guida delle nazioni più povere e in via di sviluppo, favorendo la cooperazione Sud-Sud. 

Dall’anno della fondazione, il 2013, l’impegno totale della Cina a favore della Bri ammonta a 932 miliardi di dollari, inclusi 561 miliardi in contratti di costruzione e 371 miliardi di investimenti. I progetti abbracciano vari settori, dai porti alle ferrovie, dai data center alle miniere.

Negli ultimi anni, però, l’immagine della Bri all’estero è stata spesso associata a questioni come: la trappola del debito per le nazioni più povere diventate sempre più dipendenti da Pechino, il rischio di colonialismo, le problematiche ecologiche e la corruzione. Tanti progetti, anche tra i più rilevanti, non si sono concretizzati o hanno prodotto scarsi risultati. All’apertura del XX Congresso del Pcc, la Bri appare un affare abbastanza deludente. 

«La Bri era una grande narrazione basata sull’idea di facilitare gli investimenti cinesi all’estero perché tali investimenti avrebbero portato vantaggi reciproci, un’idea che però non ha funzionato benissimo. La Cina, prima, godeva di un ampio credito internazionale, che adesso si è ridotto sia a causa della maggiore assertività di Xi Jinping sia perché gli Stati Uniti si sono impegnati a contrastare l’ascesa cinese», afferma Filippo Fasulo di Ispi. 

In Sri Lanka, anello fondamentale della Bri, i prestiti cinesi hanno favorito la creazione di molte infrastrutture, generando però anche un eccesso di debito che probabilmente ha contribuito a far andare il Paese in default per la prima volta nella sua storia. Ma il fallimento maggiore della Bri riguarda il Pakistan.

Nell’aprile 2015 c’era stato l’annuncio della creazione del Corridoio economico Cina-Pakistan, arrivato ormai a 50 miliardi di dollari di investimenti, e presentato come la spina dorsale della Belt and Road. Il porto di Gwadar, grazie alla sua posizione geografica, era il pilastro del corridoio economico. Sulla carta, doveva essere un’alternativa a Dubai e invece ad 8 anni di distanza lì non è nata nessuna attività economica rilevante.

I progetti includevano un nuovo aeroporto, una centrale a carbone da 300 megawatt e un impianto per la dissalazione dell’acqua. Ma nessuno di questi è stato completato. La città continua a importare elettricità dal vicino Iran, che quando vuole, interrompe la fornitura. La carenza di energia è forse l’ostacolo principale allo sviluppo locale.

In Europa, i progetti legati alla Bri sono stati un mix di successi e insuccessi. Trentuno Paesi, inclusi 17 membri dell’Ue, avevano firmato un memorandum d’intesa con la Repubblica Popolare, ma molti di questi si sono tirati indietro a causa dei potenziali rischi legati agli investimenti cinesi.

La Lituania, ad esempio, ha bloccato i progetti nel porto di Klaipėda, in un crescente scontro diplomatico con Pechino. L’Estonia si è ritirata da un progetto di tunnel baltico sostenuto dalla Cina e la Romania ha cancellato un accordo per costruire nuovi reattori nucleari a Cernavodă. Alla luce di tutto questo, il futuro della Bri in Europa appare a rischio, soprattutto se le imprese occidentali si riveleranno in grado di offrire gli stessi vantaggi ma senza porre rischi per la sicurezza. 

È pur vero che la portata del commercio via terra è irrisoria, intorno al 90% delle merci cinesi vendute in Europa arriva via mare. Ma le immagini dei treni cinesi che attraversavano l’Eurasia e trasportavano prodotti diretti ai consumatori europei erano state sfruttate da Pechino per la costruzione del marchio Bri, nonostante quei treni arrivassero pieni in Europa e tornassero vuoti in Cina.

Pechino vantava la «stabilità della catena di approvvigionamento continentale» raggiunta negli ultimi anni, in particolare durante la pandemia. Ma quasi la metà di queste rotte passa attraverso la Russia e dunque tale catena di approvvigionamento è stata gravemente colpita dalle sanzioni europee imposte a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina.

Con la guerra, anche i piani cinesi di espandere il commercio con l’Europa centrale e orientale sono stati ammazzati da Putin. Nel breve termine, la Cina dovrà affidarsi maggiormente alle rotte navali. Nel medio e lungo termine, invece, Pechino non potrà che guardare a rotte terrestri alternative, bypassando quei territori. 

Il sogno di Xi era trasformare la Polonia in un hub logistico nell’ambito della catena di approvvigionamento esistente tra Cina e Unione Europea. La Polonia sperava di rafforzare il peso di Lodz tra i nuovi hub commerciali. Tuttavia, da membro sia Nato sia dell’Ue, Varsavia ha sostenuto e sta sostenendo lo sforzo militare dell’Ucraina contro la Russia. Pertanto, la mancata condanna a Mosca da parte di Pechino non potrà che avere effetti negativi sulla cooperazione tra Cina e Polonia in merito alla Bri.

Il governo di Kyjiv nel 2017 decise di aderire alla Bri per attrarre investimenti, soprattutto nel settore delle infrastrutture. Gran parte di questi investimenti però sono andati in fumo a causa del prolungato conflitto in atto nel Paese. Sono due le arterie principali che passano per l’Ucraina, come linea diretta da Changsha nella provincia cinese di Hunan a Cop, nell’Ucraina occidentale, e la linea Xian-Budapest, che attraversa Kyjiv. 

Il Paese era considerato uno dei mercati più interessanti per la Xinjiang Beiken Energy Engineering, una società privata cinese che aveva stretto una partnership con il produttore di gas ucraino Naftogaz UkrGasVydobuvannya a Poltava, presa di mira dagli attacchi russi. Le compagnie cinesi avevano investito nel dragaggio del porto di Mariupol e quelle eoliche oltre a Mariupol, avevano investito anche nel porto di Juzne, vicino a Odessa. 

Considerate le performance della Bri, è importante guardare ai lavori del XX Congresso per capire se la Gdi riceverà o meno l’attenzione del partito e dunque quanto il mondo debba prendere sul serio le nuove iniziative cinesi. «È difficile che la Bri scompaia del tutto, essendo parte integrante dei documenti ufficiali. Ma potrebbe cambiare un po’ forma. Resta, per Pechino, l’esigenza di costruire un’immagine positiva di se stessa allo scopo di ottenere maggiore consenso internazionale. Dunque, c’è da aspettarsi che iniziative come la Global Development Initiative and Global Security Initiative vengano rilanciate», conclude Fasulo.

 

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