Se v’intrattenete con TikTok, e soprattutto se avete amici che s’intrattengono con TikTok, anche voi riceverete continuamente video di arono.mp4, che ha poco più di quarantamila follower ma poco importa: su TikTok guardi quel che l’algoritmo ti propone, mica quel che segui; e, se tutti i tuoi amici novecenteschi trasecolano per lei, l’algoritmo ti proporrà Arono.
Arono non sappiamo come si chiami giacché nel video che ha fissato in cima al profilo la madre le chiede come fanno a farle fare gli esami all’università se dice che è Arono e non – e a quel punto la fanciulla censura con un suono il nome, giacché quello era un nome femminile, essendo lei nata femmina, e quindi un nome che non le corrisponde, affermando lei con la sicumera delle ventiduenni «non sono una donna, sono una persona non binaria».
Il video in cui parla con la madre – madre con cui noi novecenteschi solidarizziamo tantissimo: è terribile avere figli scemi in anni in cui guai a te se dici che sono scemi – ha duecentomila cuoricini, ed è impossibile sapere quanti siano «hai ragione, anch’io non mi percepisco mammifero» e quanti siano oddio fammi mettere un segno sul video di ’sta scema almeno lo ritrovo se mi serve. (Sì, lo so che esistono all’uopo altri strumenti, ma fidatevi di zia: i cuoricini sui social sono molto usati come promemoria, e gli amici di Facebook perlopiù non sono gente che vi viene a prendere se alle tre di notte bucate una gomma).
Non siamo mai riusciti a sapere, a metà degli anni Novanta, quanti degli spettatori di Emilio Fede fossero lì perché pensavano che Silvio andasse santificato avendoci salvati dal comunismo, e quanti lo guardassero come un irresistibile incidente stradale; figuriamoci se possiamo capire come funzionano le visualizzazioni sui social. Una studiosa che conosco sostiene che si comincia con «fammi vedere fin dove arriva ’sto cretino» e poi ci si affeziona.
Ad Arono mi pare impossibile affezionarsi, giacché è troppo media. Solo dieci anni fa sarebbe stata impressionante, una tizia coi capelli rosa e dei ferri infilati in faccia che dice che è non binaria ma vuole partorire, e la povera madre obietta mite «Nella mia generazione non esistevano ’ste cose qua», e lei risponde con un tono da mandarla a calci in culo a mantenersi da sola «Non è vero che non esistevano, esistevano ma tu non lo sapevi perché non c’era l’informazione».
Adesso, giacché l’informazione non c’è ma c’è il contagio sociale, e vogliono tutte essere speciali e farsi notare, le Arono sono tante. Uno di loro si chiama Sam Brinton, ha la barba e il rossetto, e ha anche lui deciso d’essere non mammifero: detto in neolingua, usa pronomi neutri e s’identifica come gender fluid.
Brinton ha avuto un’infanzia drammatica, era gay e i genitori non lo accettavano. Natalia Aspesi si è chiesta sul Venerdì se la Arono non binaria in Iran dovrebbe portare il velo o no. Sembra una domanda ma è una risposta.
Il grande rimosso di queste pagliacciate postmoderne è quanto siano omofobe e misogine: non è che si percepiscano fluidi; è che non vogliono essere uomini gay o donne lesbiche o donne tout court in una società che ha detto loro che quelle sono categorie inferiori. Quando quella stessa società ha deciso che invece essere dei freak era bello e accettabile e incoraggiato, hanno trovato meno faticoso dire «sono queer», qualunque cosa significhi (niente).
Brinton, ingegnere nucleare, lavora per il dipartimento dell’Energia del governo Biden. A metà settembre ha preso un aereo col solo bagaglio a mano, all’atterraggio è andato al nastro trasportatore, ha prelevato la valigia d’una signora, ha tolto l’etichetta col nome e se l’è portata via. L’hanno ripreso le telecamere di sicurezza lì, e quelle di altri due aeroporti in cui successivamente ha usato la stessa valigia. Quando gli hanno detto che era accusato di furto, Brinton prima ha detto forse la valigia è di qualcun altro ma i vestiti che conteneva erano miei, poi ha detto che era molto stanco e l’aveva presa per sbaglio, poi che in albergo si era accorto dell’errore ma non sapeva cosa fare e aveva lasciato i vestiti della signora in un cassetto. Il governo l’ha messo in aspettativa (non è chiaro se retribuita o no).
Se la società nega il tuo diritto a essere un tizio con la barba che si veste da donna ed è convinto di appartenere a una specie priva di generi sessuali, allora forse lo stress può spingerti a tutto, anche ad appropriarti di valigie altrui nella convinzione che la società debba risarcirti con un guardaroba femminile gratuito. Ma se la società questo tuo essere speciale lo premia, se al presidente piace piccarsi d’essere quello che nomina funzionari di governo non binari, se nessuno osa ridere quando ti presenti rapato a zero coi tacchi a spillo, che scusa hai?
Forse proprio quella. Forse il dramma di Arono e di Sam è che quando il disagio si incanalava nell’eroina, qualunque persona non criminale tentava di farti disintossicare; quando si incanalava nell’anoressia, qualunque persona ti fosse affezionata cercava di farti curare. Adesso, che del disagio psichico diciamo bello, figata, sii te stesso, certo che il genere è un costrutto sociale, certo che hai diritto ai pronomi neutri, noi buoni siamo tutti dalla tua parte; adesso, a questi disperati che margine di smaniosità resta, per avere l’attenzione che bramano? Irridere l’affettuosa mamma su TikTok? Sputtanarsi la carriera rubando valigie?
Sicuramente mi sbaglio, ma non credo che ad avere problemi in futuro saranno quelli con dubbi sulla propria identità sessuale: sospetto che a essere davvero nei guai saranno i bramosi d’attenzione, che più lo fanno strano meno la società è disposta a riconoscergliene la stranezza.