Soncini spiega il populismoLe mie tasse sprecate, i deputati poco ricchi e la beneficenza a metà di Ferragni

Non mi indigno mica per i cinquemila e cinquecento euro che i parlamentari si sono assegnati per comprarsi il cellulare per postare su TikTok, mi stupisce che ancora non capiscano come ragionano gli italiani: essere scrocconi non è elegante

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Ho un amico professore di liceo che, ogni volta che parliamo di qualche film che ha visto al cinema, precisa: coi vostri soldi. Ci sono infatti, tra i molti modi in cui le mie tasse sgocciolano sul conto corrente di altri, anche quattro spicci che vanno agli insegnanti per aggiornamento professionale: libri, film, dischi (parlandone da vivi).

È giusto che il mio amico vada al cinema con le mie tasse? Sì, no, forse. Sì: avete presente che miseria guadagni un professore? No: sono ragionevolmente certa che lui sia uno dei pochissimi a usare quei quattro spicci per consumi culturali in proprio e non per fare i regali di Natale. Forse: il fatto che sia una persona con una conversazione interessante fa di lui un buon insegnante, e nessuno che si nutra di solo TikTok ha una conversazione interessante.

In linea di massima non è una buona idea che sia l’elettorato a decidere, che si tratti di scegliere quali pene vanno comminate per reati particolarmente odiosi o di stabilire a chi debbano andare i soldi delle tasse. Io, per dire, non vorrei che le mie tasse pagassero un’inutile istruzione a quegli irrecuperabili asini dei vostri figli, né i medici perlopiù cani, né la giustizia che ci mette centocinque anni a istruire un processo, né – capite bene che, se avessi diritto di decidere io, l’organizzazione dello Stato andrebbe a meretrici.

Tutto ciò premesso, non sarò certo io a indignarmi per i cinquemila e cinquecento euro che i deputati, porelli, hanno erogato a loro stessi per comprarsi il cellulare nuovo con cui fare i video su TikTok, il computer nuovo con cui mandare mail all’amante, e altre amenità (ecco, vedete, il populismo è sempre pronto a possederci, cosa dici Soncini, il computer e il telefono nel 2022 sono indispensabili strumenti di lavoro).

Il mese scorso ho letto un’intervista a una deputata venticinquenne, Rachele Scarpa. La rivista aveva fatto il titolo con la sua risposta alla ficcante domanda «ha già trovato casa a Roma?». Risposta che trascrivo: «Starò nella capitale tre giorni alla settimana per seguire i lavori parlamentari e vorrei spendere meno di mille euro al mese. Ma ho scoperto che è impossibile trovare una casa in centro a questo prezzo».

Sono populista io se faccio notare che, se guadagni quindicimila euro al mese, forse puoi anche far girare l’economia spendendone più di mille per l’affitto? È populista la deputata che, guadagnandone quindicimila, dà interviste con le preoccupazioni economiche d’una studentessa fuori corso? È populista il settimanale che titola «Come mi pago una casa a Roma centro?» sapendo che il tema degli affitti cari nelle città tira sempre? È una bella gara.

La vera domanda, ovviamente, non è come diavolo ti venga in mente di fare quella che non si può permettere l’affitto, come diavolo vi viene in mente di non comprarvi il telefono coi soldi vostri. La vera domanda è: che fine ha fatto il senso dell’opportunità?

Il senso dell’opportunità è quella cosa per cui se la fantastiliardaria Chiara Ferragni mette in vendita i suoi abiti usati, che «una parte del ricavato» andrà in beneficenza è un’affermazione imbarazzante: come si può essere così ricchi e non avere nessuno nello staff che ti dica Chiara, facciamo che in beneficenza va tutto e noi raddoppiamo la cifra di nostro, ché pensare che ci teniamo una parte degli spiccetti per pagarci il lavasecco non ci fa fare bella figura.

Il senso dell’opportunità è quella cosa per cui se tutti sanno quanto guadagni, e sanno che guadagni parecchio, non ti metti lì a scrivere una norma secondo la quale dev’essere la fiscalità generale a pagarti il telefono e il computer. Non perché c’è il populismo, non perché c’è la crisi, non perché la gente non arriva a fine mese, non perché «kasta»: perché è inelegante essere scrocconi.

Soprattutto, non si fa perché una qualità che è importante avere è quella di imparare non solo dai propri errori ma da quelli altrui. E, se c’è una cosa che le figure pubbliche in Italia hanno avuto la possibilità di apprendere dalla storia italiana degli ultimi decenni, è che, se la sensazione è quella d’una diffusa e reiterata crapula, poi l’elettorato lincia la classe dirigente e la sostituisce col primo scemo che passa di lì, finché anche quel primo scemo inizia a pensare che l’elettorato gli debba pagare i croccantini del cane e le gomme da masticare e i gioielli da regalare alla moglie per l’anniversario, e svacca, e viene punito e sostituito anche lui, e avanti con un nuovo giro d’incontinenza e castigo.

Poi certo, pure l’elettorato che ti rompe i coglioni se sei ricco di famiglia e cosa puoi capirne dei nostri problemi, e ti rompe i coglioni se sei uno che è stato povero fino a ieri e non gli pare vero fare la bella vita a scrocco, pure l’elettorato sarebbe da riformare, ma si fa prima a cambiare classe dirigente ogni decennio, e a farsi governare da sempre nuovi incompetenti i quali però abbiano la fedina della scrocconaggine pulita.