Pasolini mangia La gastronomia come espressione politica e religiosa

Il tema del cibo è molto presente nelle creazioni cinematografiche pasoliniane, con un trattamento del tutto unico: come sempre con questo straordinario intellettuale, anche questo tema passa da politica, religione e, soprattutto, provocazione

Pier Paolo Pasolini sul set del film Il Porcile, ©Sandro Girella/Lapresse 1968 Roma

Poeta, romanziere, sceneggiatore, teorico dell’arte e della letteratura, Pier Paolo Pasolini (1922-1975) non ha mai smesso di produrre cultura per tutta la vita. Parlarne dal punto di vista del cibo potrebbe sembrare insensato, ma invece la sua visione di questo argomento è sorprendente. L’angolo non è certo consueto, ma il tema del cibo, nel senso ampio del termine, è un filo conduttore che aiuta l’artista a portare avanti le sue battaglie ideologiche. Grazie a un’intervista con uno dei massimi specialisti del suo lavoro, Hervé Joubert-Laurencin, pubblicata in Francia, scopriamo che il cibo e il racconto gastronomico è molto presente nelle sue creazioni cinematografiche, trattato ovviamente alla maniera di Pasolini: il cibo è quindi politica, religione e, soprattutto, un provocazione, proprio come nel suo stile.

Nell’intervista al traduttore del cineasta italiano, Hervé Joubert-Laurencin, scopriamo che Pasolini, pur non avendone mai scritto, affronta questi argomenti in quasi tutti i suoi film, il che lo rende, incontestabilmente, un autore attento ai temi del cibo. Amava frequentare qualche ristorante o caffè, soprattutto luoghi dove incontrava intellettuali e amici come Alberto Moravia ed Elsa Morante. Ha anche un ristorante e un tavolo abituali, Al Biondo Tevere, sulla strada per Ostia, lo stesso dove si ferma con Pino Pelosi la sera prima del suo omicidio. Dice Joubert-Laurencin: «Per me ci sono due grandi famiglie tra i cineasti: quelli a cui piace mangiare, come Claude Chabrol, e quelli che lo odiano, come François Truffaut che trangugia il suo pasto in piedi in due minuti. Penso che, indiscutibilmente, Pasolini amasse mangiare e che il cibo gli permettesse di esprimere pienamente le sue idee politiche e religiose».

Pasolini affronta il tema del cibo come tanti altri temi a lui cari: trattandolo in modo estremo e impegnato. Ma il cibo nel suo lavoro è sempre affrontato da un’angolazione drammatica. Si interessa, ad esempio, agli affamati, alle classi più povere che non possono nemmeno permettersi di mangiare. Pensiamo per esempio ad Accattone (1961), suo primo film, nel quale il protagonista non ha più niente da mangiare. Questo permette al regista italiano di mostrare come vediamo il mondo quando abbiamo lo stomaco vuoto per mancanza di soldi. E a chiusura della sua filmografia con Salò (1975) c’è invece la situazione opposta, un pasto totalmente schifoso dove si mangiano escrementi: «C’è la bestemmia e un attacco alla cultura borghese francese del grande ristorante. Tra i due, nel film Porcherie (1969), filma il cannibalismo. Spesso vediamo scene di furto di cibo o di alimentazione forzata umana. In tutto e per tutto, Pasolini espone la dimensione disumana del cibo. Appare lì nei suoi peggiori estremi. In questo è un soggetto pasoliniano, politico, religioso, contestatore» sottolinea lo studioso.

In tutti i lavori la dimensione politica è molto forte: Pasolini ha un odio per la borghesia, e il proletariato e il sottoproletariato sono sempre protagonisti. C’è per esempio in Ricotta (1962), dove il protagonista non avendo niente da mangiare ruberà un cane e lo scambierà con la ricotta di cui si ingozza, provocando lo scherno dei compagni attori. La dimensione religiosa del cibo c’è invece in Le mille e una notte (1974), con la grande festa orientale dove tutti mangiano con le mani e quando uno sconosciuto si serve da un piatto viene arrestato e messo in prigione, senza ulteriori spiegazioni. Conclude lo studioso: «Vi si può vedere anche un riferimento religioso, in particolare a Giuda. C’è innegabilmente una dimensione festosa, con un po’ di dissolutezza, in questo pasto. Ma, ad un certo punto, arriva questo sconosciuto. Penso che Pasolini conoscesse le opere di Rabelais e, più in generale, tutta la cultura medievale a cui era affezionato, e vi si riferisse anche per la visione del cibo».

Se il tema appassiona, due i riferimenti di Hervé Joubert-Laurencin per approfondirlo: Il piacere gastronomico nel cinema, di Vincent Chenille, pubblicato nel 2004 (Ed. Jean-Paul Rocher), che ripercorre la nascita del cinema “gastronomico” e ne analizza il linguaggio molto particolare. E Cheforama – gastronomia al cinema recensita dagli chef, di Ava Cahen, pubblicato nel 2017 (Ed. Nouriturfu). Ricette di film cult (La Grande Bouffe, Pulp Fiction, La Soupe aux choux, Ratatouille, Le Festin de Babette, American Beauty, Peau d’âne, ecc.), aneddoti delle riprese e spiegazione delle scene.

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