Dopo la riunione del pre-consiglio di ieri in cui è stata esaminata la bozza del ddl sull’autonomia differenziata, apportando «qualche ritocco», il testo del cavallo di battaglia leghista sarà presentato domani in Consiglio dei ministri. «Sarà una giornata storica», si felicita il presidente del Veneto Luca Zaia. Con il Carroccio pronto a giocarsi la carta per la prossima tornata delle elezioni regionali.
Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno preteso dei ritocchi, in primis sul rafforzamento del ruolo del Parlamento. Subito dopo l’intesa preliminare fra Stato e singola regione, viene inserito un atto di indirizzo da parte delle Camere, il quale a proprio volta sarà quindi votato nelle due Aule. C’è poi l’aumento da sei mesi a un anno del periodo prima della scadenza del preavviso per manifestare la volontà, sia eventualmente da parte dello Stato sia dalla Regione, di non proseguire con l’intesa. Dal provvedimento sono poi stati cancellati i riferimenti al criterio della spesa storica. Ma la sostanza del provvedimento non sembra cambiare. Anche se comunque resta da chiarire il nodo della definizione e del finanziamento dei Lep, i livelli essenziali delle prestazioni da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale. Con la legge di bilancio il governo si è preso un anno di tempo per definire quali siano i livelli delle prestazioni da assicurare.
L’accordo nel centrodestra è che la riforma vada di pari passo con il presidenzialismo, per arrivare a fine legislatura a un’Italia «federale e presidenziale», per dirla con le parole del vicepremier e leader leghista Matteo Salvini. Se il Carroccio è pronto a giocarsi la bandierina in campagna elettorale soprattutto in Lombardia, già si preannunciano proteste e manifestazioni da parte di tutte le opposizioni.
«Così avremo un’Italia arlecchino», dice il sindaco di Firenze Dario Nardella a Repubblica. «Questo regionalismo differenziato sembra tanto un tentativo di rispolverare la bandiera sbiadita della vecchia Lega Nord di Bossi. Rischia di portarci da un centralismo statale a un centralismo regionale».
«Questa riforma è una presa in giro», spiega il segretario generale della Cgil Maurizio Landini. «Siamo già un Paese che è diviso, non c’è la stessa condizione della sanità in tutto il Paese, dipende dalla regione in cui sei nato e in cui vivi. Non c’è lo stesso sistema scolastico, i diritti alla salute e all’istruzione, ad esempio, non sono due diritti che sono garantiti a tutti i cittadini come dice la nostra Costituzione».
I sindaci del Sud, dal Pd ai Cinque Stelle, si dicono pronti ad azioni eclatanti e chiedono di essere ricevuti dal Capo dello Stato Sergio Mattarella, ritenuto l’unico possibile garante dell’unità nazionale. Mentre il «Tavolo no autonomia differenziata», composto da quei gruppi, comitati, associazioni e partiti che non vogliono vedere andare in porto la nuova stagione di “devolution”, sta cercando di organizzare una manifestazione a Roma. Pd, Cinque Stelle, Alleanza verdi sinistra, ma anche Azione e Italia viva, sono pronti a offrire una copertura parlamentare di queste spinte dal basso. Le opposizioni per la prima volta potrebbero essere unite.