La canzone del capitanoLa commedia del Salvini moderato diventerà una tragedia dopo le elezioni (e Sanremo)

Il leader leghista si mostra operoso e moderato per recuperare voti in Lombardia, ma non riesce a trattenersi dal commentare il Festival

Mi rendo conto che parlare di Matteo Salvini versione moderata sia un ossimoro. E in effetti lo è, ma questo lo sveleremo solo alla fine, se ce ne fosse bisogno. Però prima un po’ di contorsionismo per capire la sostanza di chi ci governa da posizioni apicali. Allora, il presupposto è che il capo leghista forse ha capito che lo spazio più moderato del centrodestra sta agonizzando sotto gli anni di Silvio Berlusconi e che l’asso pigliatutto di nome Giorgia Meloni ha già cambiato connotati alla coalizione. 

Il terrore ha il volto dei numeri, quel 14 per cento della Lega in Lombardia alle politiche contro il 28 per cento dei Fratelli d’Italia. Il doppio. Se alle regionali queste percentuali dovessero cambiare a favore del partito della presidente del Consiglio e il Carroccio scivolare sotto il 10 per cento, non è che cadrebbe il governo, ma la leadership del leghista ne uscirebbe ancora più ridimensionata. Lui dribbla dicendo che quello che conta è la vittoria del suo Attilio Fontana e del centrodestra: il voto regionale sarà a suo dire «la conferma del governo». 

Insomma, per salvare l’osso del collo nelle ultime settimane ha finto di essere moderato, tutto casa e cantiere. I telefonini dei giornalisti sono pieni ogni giorno del ministro per le Infrastrutture nel suo ufficio mentre lavora in maniche di camicia, mentre legge documenti e dossier sui lavori pubblici da avviare, matita in mano, occhiali da lettura. Oppure incontri, sempre nella sua stanza al ministero, con sindaci, assessori, governatori, associazioni, categorie. Post con il casco giallo in testa sui cantieri, tutta un’altra storia rispetto a quando era ministro dell’Interno e in ufficio a lavorare non ci stava mai. 

Ancora di più, la metamorfosi più spettacolare il segretario del Carroccio la sta dando con le sue parole distensive per recuperare, operoso e moderato,  voti in Lombardia e non scomparire nel Lazio dentro le fauci di Giorgia e di suo cognato Francesco Lollobrigida. E allora smorza la polemica sul caso Donzelli-Delamastro-Cospito. «Il dibattito va superato, il muro contro muro non serve a nessuno, non serve all’Italia e alla giustizia, non serve nemmeno a Cospito». Caspita che pompiere!

Pure sulle parole del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, the genius secondo la presidente del Consiglio, che vorrebbe insegnare a sparare agli studenti, il ministro è pompiere: dice che il caso non esiste perché quelle parole Fazzolari non le ha mai dette. E se fosse una proposta non sarebbe «un’idea illuminante». Il nostro eroe è irriconoscibile pure sull’immigrazione, quando distingue tra Ong che salvano la vita e quelle che navigano per soldi. La competizione con Meloni? Sì, roba del passato, ora governeranno insieme per «dieci anni». Magari con un governo monocolore, ma un paio di ministeri valgono la messa. 

Poi però improvvisamente salta fuori lo stranamore che è in lui, quell’istinto riflesso che fa cadere la maschera moderata, la finzione. Così viene fuori quanto fastidio gli abbia dato Roberto Benigni che a Sanremo parla della «poesia» della Costituzione, del ventennio fascista che aveva tolto la libertà agli italiani, perché il passato bisogna sempre ricordarlo nel presente. Ricordando che molti popoli la nostra democrazia se la sognano perché i dissidenti vengono messi in carcere o avvelenati. Ogni riferimento alla Russia del suo (ex?) amico Putin non è casuale. 

Poi ci si mette in mezzo pure il capo dello Stato: se ha deciso di essere presente all’inaugurazione del festival, ha «diritto anche di svagarsi», poverello, sempre chiuso al Quirinale con i corazzieri e quei musi lunghi dello suo staff. Però, «non penso che la Costituzione abbia bisogno di essere difesa dal palco di Sanremo. Se c’è qualche causa che va difesa a Sanremo significa che siamo un paese indietro. I diritti delle donne (Ferragni ndr) vanno oltre il festival». Molto oltre ci va Zelensky e la guerra, in mezzo ai Cugini di campagna. Gli «sembra fuori luogo» a Salvini che sabato sera, quando Amadeus leggerà la lettera di Zelesnky, guarderà un film con i suoi figli.

Gli elettori lombardi e laziali domenica lo ringrazieranno nelle urne per aver difeso il loro sacro divano di casa davanti al festival della canzone italiana. Ma perché ce l’ha tanto con Sanremo? Perché vuole evitare che di fronte a decine di milioni di italiani si affrontino certi temi come il razzismo di cui dovrebbe parlare la pallavolista Paola Enogu? Amadeus, che ha la memoria lunga, ricorda che sono quattro anni che Salvini se la prende con il festival. «Ma basta non guardarlo», afferma il conduttore. 

Già sono passati quattro anni da quando Salvini è entrato al teatro Ariston a braccetto con la fidanzata di allora, Elisa Isoardi, dopo aver sfilato sul red carpet, tra saluti, selfie e un bacio alla compagna. Alla vigilia del voto del 2018. Lui si pavoneggiava affermando che con il centrodestra puntava a fare lo share del festival, almeno il 47 per cento. E cosa avrebbe cantato la sera del 4 marzo, dopo il risultato elettorale? «Liberi liberi. Non vedo l’ora di suonarla e di cantarla».

La Costituzione, Mattarella e Zelensky a Sanremo sono proprio «fuori luogo». Lui invece no.

X