L’America ha deciso che ci sono grandi opportunità economiche in una nuova Africa, oggi più moderna e vitale. E queste opportunità verranno sviluppate dal gigantesco settore privato americano. Saranno gli investimenti delle imprese americane – e non nuovi programmi di aiuti pubblici – a trasformare i rapporti tra l’America e vari stati nel continente africano, contribuendo al tempo stesso allo sviluppo del commercio e altre relazioni economiche tra gli stati africani, legati adesso da un nuovo trattato che ha creato una grande area di libero scambio continentale. Questo è la rivoluzione strategica del governo USA riguardo all’Africa.
Nel frattempo, grande attivismo diplomatico. Nell’agosto scorso il Segretario di Stato Americano Antony Blinken fece un viaggio ufficiale in Africa con tappe in Sud Africa, Repubblica Democratica del Congo e Rwanda. A metà dicembre del 2022, su invito del presidente Joe Biden, decine di capi di stato africani sono venuti a Washington per partecipare allo US-Africa Leaders Summit dove sono state annunciate varie iniziative di cooperazione. Nel 2023 – e siamo solo a marzo – ben 18 alti dignitari del governo americano sono stati in Africa. Fra questi spiccano l’Ambasciatrice alle Nazioni Unite Linda Thomas-Greenfield, (Ghana, Mozambico, Kenya), Janet Yellen, Segretario al Tesoro, (Senegal, Zambia e Sud Africa), e la First Lady Jill Biden, (Namibia e Kenya). È stato annunciato il prossimo viaggio in Africa della vice presidente degli Stati Uniti Kamala Harris, (Ghana, Tanzania, Zambia) a cui farà seguito un viaggio ufficiale in Africa del Presidente Joe Biden.
Tutto questo è perlomeno inusuale, se consideriamo la disattenzione cronica verso l’Africa mostrata dall’America negli ultimi 30 anni, a prescindere da chi era alla Casa Bianca. (La grande eccezione è PEPFAR, U.S. President’s Emergency Plan for AIDS Relief, lanciata dall’allora presidente George W. Bush e ancora in corso. Con una spesa cumulative di più di 100 miliardi di dollari a partire dal 2003, il governo americano con PEPFAR ha salvato la vita a milioni di africani sieropositivi attraverso la distribuzione continua e capillare di medicinali antiretrovirali, in grado di bloccare lo HIV/AIDS).
Sembrerà strano, ma la “riscoperta” dell’Africa è cominciata nel 2019, quando Donald Trump era Presidente. Il nuovo approccio, lanciato dal Segretario di Stato Mike Pompeo e sostenuto da John Bolton, allora Consigliere per la Sicurezza Nazionale, era chiaramente in chiave anti-Cinese e anti-Russa.
All’inizio si trattava di questo. Nel corso di un grande convegno in Mozambico fu annunciato il lancio del programma americano Prosper Africa. Allora la notizia non fece grande effetto perché era una iniziativa nuova, fondata su di una strategia basata sul coinvolgimento del settore privato americano come elemento trainante delle relazioni economiche e commerciali con l’Africa che non aveva precedenti. (Vedi sopra). Con Prosper Africa, che continua oggi con la presidenza Biden, il governo americano annunciò la mobilizzazione (whole of government) delle risorse di 17 agenzie federali, sotto la direzione della Casa Bianca, per creare un nuovo ecosistema che avrebbe promosso e facilitato gli investimenti privati americani in Africa. Già investimenti privati. Quindi questa non è una semplice variazione nell’ambito del solito vecchio copione degli aiuti per lo sviluppo. Prosper Africa è la volontà di dare vita a un enorme sforzo pubblico per creare canali di comunicazione e dialogo tra imprese americane e imprese africane, mentre il governo americano a sue spese identifica e vaglia gli investimenti validi da proporre alle imprese private statunitensi.
E come mai questa nuova strategia, così fuori dagli schemi? Semplice. Quando si parla di investimenti in Africa, l’America è indietro di trenta anni rispetto alla Cina che da anni fa incetta di miniere in Africa mentre fornisce a governi spesso corrotti opere pubbliche a basso costo in cambio di favori politici. Il governo americano non ha le risorse per offrire l’equivalente di ciò che la Cina ha fatto e sta facendo da decenni in Africa.
Il bilancio della USAID americana, la più grande agenzia per gli aiuti bilaterali del mondo, è di soli 29 miliardi di dollari all’anno, da distribuire in tutto il mondo. Tenuto conto che circa metà di questa somma sono le spese di esercizio, (personale, uffici, viaggi, veicoli, consulenti), i soldi stanziati per gli aiuti alla fine sono irrisori. L’Africa ha 1 miliardo e 400 milioni di abitanti. Anche se l’intero bilancio della USAID venisse speso in Africa, si tratterebbe comunque di spiccioli.
Ma se il governo USA ha poche risorse, il settore privato americano è gigantesco. Con un Prodotto Nazionale Lordo di 25 trilioni di dollari, gli Stati Uniti sono la più grande potenza economica del mondo. E qui sta la scommessa. Presentare alle imprese private americane vere opportunità di investimenti in Africa, con la prospettiva di veri profitti. Per attrarre l’attenzione delle imprese private statunitensi che non sanno niente di Africa occorre preparare analisi di mercato e studi di fattibilità seri, con proiezioni realistiche riguardo a mercati e profitti.
Questo è il quadro. In America ci sono centinaia di medie imprese con tecnologie d’avanguardia e fatturati di più di 200 milioni di dollari che non hanno mai sentito parlare di Africa. Ma questo sta cambiando, grazie all’Africa Trade and Investment Program, ATI, la punta di lancia di Prosper Africa. Con un bilancio di mezzo miliardo di dollari, vari specialisti di settore, raggruppati in quattro uffici regionali in Africa, hanno la missione di identificare settori e progetti validi, “bancabili”, in vari paesi africani, creando al tempo stesso nuovi canali di comunicazione tra le imprese americane alle quali vengono presentate queste opportunità di investimenti e partnership e omologhi africani. È evidente che queste devono essere proposte di affari profittevoli. Qui non si parla di obbiettivi umanitari. Le imprese americane si muovono solo se esiste una realistica prospettiva di nuovi guadagni. È chiaro che c’è molto lavoro da fare prima di convincere i privati ad investire in nuovi mercati del tutto sconosciuti ai più, sia pure con il supporto e l’assistenza del governo americano che fa tutto il lavoro preliminare. Prima di tutto bisogna combattere l’ignoranza.
Quante imprese americane sanno che in Kenya c’è la Silicon Savannah, un robusto e promettente settore informatico? Quanti hanno sentito parlare di m-Pesa, (“denaro” o “pagamento” in swahili), un sistema di pagamenti tramite telefono cellulare, creato in Kenya vari anni fa da Safaricom, con una utenza adesso di più di 52 milioni di persone? Quanti sanno che Tanger Med, in Marocco, è il più importante porto del Mediterraneo?
È evidente che c’è ancora molto lavoro da fare per arrivare a presentare in modo professionale e convincente la Nuova Africa agli imprenditori americani. Al momento, questa visione strategica veramente rivoluzionaria che vede le imprese americane alla guida di un processo di riconnessione America-Africa è solo una grande scommessa. Non è possibile prevedere se le varie iniziative sotto l’ombrello di Prosper Africa alla fine daranno i risultati sperati in termini di nuovo flusso di investimenti e volume di nuovi affari. Ma non c’è dubbio che questo è un tentativo serio. Alla guida di Prosper Africa c’è adesso Witney Schneidman, un super esperto sull’Africa che, a parte numerosi alti incarichi di governo e Banca Mondiale, è stato per anni a capo di tutto il settore Africa per Covington & Burling un gigantesco studio legale che lavora moltissimo con imprese private. Schneidman si intende di affari con l’Africa. Ed è per questo che è stato scelto.
Attraverso Prosper Africa, e i viaggi in Africa di vari membri dell’amministrazione Biden, questo è alla fine il messaggio americano rivolto alla nuova classe dirigente africana: «La Cina offre crediti facili per infrastrutture e opere pubbliche. Ma gli accordi non sono trasparenti e hanno creato un enorme indebitamento che diventa una opportunità per ricatto politico. La Russia offre mercenari. Le imprese americane offrono invece rapporti paritari e trasparenti, in conformità’ con le norme internazionali. Contratti chiari dove c’è equo guadagno per tutti. Noi portiamo capitali, know-how e trasferimenti di tecnologia. Noi naturalmente facciamo questo con la prospettiva di affari profittevoli. Voi ottenete nuovi investimenti, espansione delle vostre imprese, creazione di nuovo impiego, maggior qualificazione per la vostra mano d’opera, e alla fine più rapida crescita economica. La Cina offre una riedizione aggiornata del vecchio colonialismo. Noi offriamo rapporti economici paritetici che stimolano la crescita. Che cosa preferite?»
Paolo von Schirach è presidente del Global Policy Institute; Professore di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, Bay Atlantic University, Washington, DC