«Lo dico da madre»Cari papà femministi, insegniamo ai figli il coraggio per evitarci una generazione di piagnoni

Dubito che si possano crescere esseri umani decenti se gli leviamo il gusto della rivincita sulle cose orrende che la vita fa

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Il femminismo ha fallito. L’unico modo a disposizione degli uomini per fermare le donne era quello di diventare madri e mogli, e adesso eccoli qua questi mariti con la Naspi, con i congedi obbligatori, con i profili da influencer dove sponsorizzano il detersivo per i piatti, la paternità femminista, il femminismo paternalista, il latte vegetale e i programmi per perdere peso. Vivono a casa nostra e ci vogliono rubare il lavoro, non chiediamoci più perché nessuno vuol mai parlare del proprio matrimonio: il futuro sarà dei separati in casa, basta che non si sappia in giro, se no poi come le vendiamo le nostre vite. 

Quello che è chiaro è che nessuno ha più voglia di lavorare, ma soprattutto: nessuno ha più voglia di soffrire. Questo sturm und drang a gettone si consuma in una continua richiesta di cancellazione: cancelliamo i compiti, cancelliamo le feste, cancelliamo le gite, cancelliamo il lavoro, cancelliamo il merito, la vergogna, l’umiliazione, cancelliamo tutto quello che può portare a una crisi isterica. La mia conclusione è solo una: se noi cancellassimo tutti i mali del mondo, che bisogno ci sarebbe di avere coraggio? Il coraggio è quella cosa che raddrizza la civiltà, e se la civiltà non ne ha bisogno, che si fa? 

Io dubito che si possano crescere esseri umani decenti se gli leviamo il gusto della rivincita sulle cose orrende che la vita fa. Grazie a Dio questo non succederà mai e potremo continuare a pensare ai nostri figli come a quelli che faranno la rivoluzione, anche se tra le teste da tagliare probabilmente sceglieranno la nostra. 

C’è stato il molto apprezzato video della mamma che urlava contro i compiti e le insegnanti su TikTok perché il bambino doveva studiare e non poteva giocare a pallone o fare sport, e poi però c’era un video vecchio dove il ragazzino non riusciva a contare con le dita fino a otto. E poi la notizia di un istituto tecnico che ha abolito le gite di più giorni perché ci sono famiglie che non possono permetterselo, e i lavoretti per la Festa del Papà che non vengono fatti perché ci sono gli orfani o i bambini con due mamme o con due papà, insomma, mi pare di capire che nessuno voglia rompere né la campana di vetro, né il soffitto di cristallo. 

L’empatia è quella cosa che ci divide dai serial killer, insieme al tagliare le code a gatti e lucertole e ad appiccare incendi: purtroppo, però, nessuno ha mai scritto una grande storia grazie all’empatia che gli è stata riservata da bambino, semmai il contrario. È anche vero che di scrittori ce ne sono fin troppi, e nessuno che abbia uno straccio di storia. «Lo dico da madre» e «lo dico da padre» sono le qualità morali e umane che possiamo permetterci: non esistono più i professionisti, perché nessuno ha più voglia di lavorare. 

Vogliamo far passare l’idea che essere genitori sia un lavoro non retribuito? Se non è retribuito parliamo di beneficenza, e lo dico da madre. È arrivata la circolare Inps che dice che i papà possono, esattamente come le mamme, dimettersi entro l’anno del figlio e ricevere la Naspi. Lo dico da madre: non è che adesso ci tocca andare a lavorare per colpa dei papà femministi? O realizzeremo il grande progetto di vivere solo con i bonus? O è davvero questa la parità? 

Sento in continuazione queste voci di corridoio che dicono che il “lavoro di cura” del neonato deve essere paritario, questa favola che mamma e papà sono totalmente intercambiabili, e mi sono un attimo allarmata. Dobbiamo buttare Freud? È la fine della psicanalisi? 

E poi c’è la questione borseggiatrici incinte e bambini in galera. Lo dico da madre: se ci fosse questa parità allora i papà borseggiatori dovrebbero andare in carcere con i bambini. Non esistono papà borseggiatori? La paternità in questo caso non è paritaria?

Sono giorni che leggo che la gravidanza è un’aggravante per chi delinque: pare che le mamme certe cose non le facciano. La girano come una tutela del nascituro, e per tutelarlo lo mettono in galera: mi sento di dire che ci sono un po’ troppi buchi di sceneggiatura, se continuate così Netflix mica lo compra lo spin off di “Mare fuori” ambientato a Milano con le ladre incinte. 

La cosa che più mi sbalordisce è che il senso tutto italiano de «la mamma non si tocca» e «i bambini non si toccano» sia stato in questo caso eliminato: è evidente che ci deve essere una rivoluzione culturale in atto e nessuno ci ha avvisato. Ho sempre ritenuto che il dire «non sei madre e non puoi capire certe cose» fosse un pensiero corretto, forse l’unico ragionamento identitario con una sua logica. 

Quello che però dobbiamo ammettere è che esistono pessime madri e pessimi padri, e che l’essere madre o padre non fa di te una persona migliore: fa di te una persona diversa. Non migliore, non peggiore: diversa. So che non sta bene dirlo, ma è così, certe cose da genitore ti straziano più di altre, non ci si può far proprio niente, anche se sono tutti azzurri di sci. 

La cosa però più curiosa è che quelli che gridano allo scandalo nel dirsi madre e parlare in quanto madre siano gli stessi che dicono agli altri di cosa possono o non possono parlare: sei un uomo e non puoi parlare delle donne, se non hai vissuto una violenza non puoi parlare di violenza, e così via, fino alla fine delle parole. Chissà se tagliavano la coda alle lucertole anche loro.

 

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