Il terzo polo darà dunque vita a un partito nuovo. Stando alle dichiarazioni di Carlo Calenda, esso nascerà su iniziativa di Azione, Italia Viva e LDE, l’associazione dei liberal-democratici voluta da Oscar Giannino, Giuseppe Benedetto, Alessandro De Nicola e Sandro Gozi. Quest’ultima componente potrebbe essere utilizzata come foglia di fico per dimostrare apertura oltre l’ambito di Azione e Italia Viva, ma, se lo saprà fare, potrà invece giocare un ruolo decisivo.
Cosa intendo per ruolo decisivo? Quali sono le questioni in gioco? Sono fondamentalmente due: il posizionamento strategico e il modello organizzativo.
Rispetto al posizionamento, sia pure un po’ sotto traccia, si confrontano di fatto due diverse opzioni: da un lato chi pensa a una forza riformista in grado di drenare consenso a un Partito democratico grillinizzato e spostato a sinistra; dall’altro chi pensa a una forza liberale, davvero equidistante da destra e sinistra. A mio giudizio non si tratta di posizioni conciliabili, non vedo proprio come si possa immaginare una sintesi, è necessario scegliere in modo inequivocabile.
Attenzione, non sto ponendo una questione tattica, utile nel breve termine, sto ponendo una questione strategica. Per definirla, occorre porsi una prima domanda: di cosa ha bisogno il sistema democratico italiano? Ha bisogno di una forza alternativa al bi-polarismo populista, una forza che sappia parlare a tutti gli elettori e sappia scaldare i cuori con una narrazione che non si limiti al buon senso delle proposte e alla competenza più o meno presunta dei proponenti. Sì, ma a quale pro? Ed ecco la seconda domanda: quale missione deve prefissarsi questa forza? Per dare una risposta, bisogna alzare lo sguardo, bisogna andare oltre il piccolo cabotaggio. La fondamentale missione che deve perseguire il partito nuovo consiste nella promozione e costruzione di una nuova Italia, un’Italia che, finalmente, consideri chiusa la fase post-bellica segnata dal compromesso fra cultura cattolica e cultura comunista e si apra a una fase nuova, incentrata sui valori della responsabilità e libertà individuale. In sostanza, la missione del partito nuovo dev’essere, a mio giudizio, quella di dare vita, questa volta per davvero, alla seconda Repubblica.
É di tutta evidenza come tale compito storico non possa essere affidato agli eredi di quel mondo cattolico e comunista che, anche lodevolmente, diedero vita alla prima Repubblica, eredi che popolano il Pd, ma in certa misura anche le forze del terzo polo. Solo una forza totalmente svincolata dalla tradizione catto-comunista potrebbe avere successo in questa missione.
Si tratta di un fatto scontato? No. In particolare Italia viva, infatti, soffre di una sorta di complesso della sinistra. Basti pensare alla continua rivendicazione di quanto fossero di sinistra le misure del Governo Renzi o a come si guardi in casa Pd quasi con lo sguardo di una corrente esterna, mossa dall’intento di dimostrare che il vero Partito democratico avrebbe dovuto essere il loro. I renziani sono ossessionati dal Pd almeno quanto il Pd continua a essere ossessionato da Renzi. Sulla questione del posizionamento, il partito nuovo dovrà dunque segnare una forte discontinuità.
Questa forma di dipendenza un po’ perversa dalla sinistra e in particolare dal Pd, si riscontra anche nell’atteggiamento con cui Italia Viva ha vissuto l’altro grande tema che avrà di fronte a sé il nuovo partito, quello del modello organizzativo. Come l’adolescente che, alla ricerca di un’identità propria, emula il padre o fa l’opposto del padre, finendo comunque per esserne caricatura, così Italia Viva ha voluto dotarsi della forma organizzativa opposta a quella del Pd. Nel Partito democratico abbiamo sofferto le correnti e un eccesso di bloccante dibattito interno? Bene, in Italia Viva decidono tutto in tre, auto-nominati, col potere di incaricare i fedelissimi nei ruoli di coordinamento. Si è scelto così non comprendendo che quando un’organizzazione soffre di un estenuante dibattito interno, ciò non deriva dall’eccesso di democrazia, ma dall’indefinizione dell’identità. Questa scelta ha generato, in particolare sul piano locale, organizzazioni feudali incapaci di attrarre persone di valore.
Anche sul tema del modello organizzativo, si confrontano dunque due opzioni differenti, una padronale, l’altra partecipativa e anche in questo caso la sintesi si chiamerebbe pasticcio e si sarà dunque chiamati a scegliere.
Posizionamento e modello organizzativo sono, lo ripeto, i due temi cruciali con cui il nuovo partito dovrà fin da subito fare i conti. Su entrambi i temi, bisognerà saper pronunciare dei sì potenti e dei no coraggiosi. Se invece prevalesse la tentazione di tenere insieme tutte le opzioni, dando vita a un equivoco politico, sostenuto da un improbabile equilibrismo dialettico, allora il destino sarebbe ben triste, sarebbe sostanzialmente quello di dare vita a un Pd 2.0, più piccolo e più nevrotico.