La parola d’ordine è «gradualità». La riforma del Patto di Stabilità, presentata dalla Commissione europea, punta su un approccio pragmatico. Resta un solo dogma, la soglia del debito pubblico superiore al sessanta per cento del prodotto interno lordo (Pil) che divide gli Stati membri. Chi la supera – come l’Italia, che non è sola, ma in buona compagnia – dovrà sottoporre a Bruxelles un piano pluriennale di «medio termine», da quattro a sette anni, per ridurla a un ritmo pari allo 0,5 per cento all’anno.
Un altro criterio riguarda il disavanzo pubblico, chi sfora il tre per cento del Pil finisce tra i «cattivi». Come funziona? I Paesi che non saranno in regola con uno di questi due parametri – ripetiamoli, debito maggiore del 60 per cento del Pil, deficit al tre per cento del Pil, oppure entrambi – riceverà dalla Commissione una «traiettoria tecnica» da rispettare per rientrare. Cioè un obiettivo.
Rispetto al passato, l’austerità contraddistinta da «regole uguali per tutti» che non hanno funzionato visto che l’indebitamento dell’Ue è salito all’84 per cento medio dell’anno scorso, l’esecutivo comunitario intende ascoltare le specificità delle singole nazioni. Saranno i governi a mettere a punto la proposta per raggiungere il target: da questo punto di vista, gli Stati membri vengono responsabilizzati, perché è in capo a loro il progetto, bollinato ma non redatto da Bruxelles.
Il requisito è che il rapporto tra debito e Pil, alla fine del percorso, risulti più basso dell’inizio e, ogni anno, sarà richiesto un «aggiustamento minimo fiscale» dello 0,5 per cento finché il disavanzo pubblico non rientrerà sotto il tre per cento. «La nostra proposta è avere una riduzione dello 0,5 anche prima di dare avvio a una procedura di disavanzo eccessivo», ha sottolineato il commissario europeo agli Affari economici, Paolo Gentiloni.
Come è evidente dal grafico Eurostat qui sopra, anche se l’Italia è seconda solo alla Grecia per mole del proprio debito pubblico in rapporto al Pil, non è sola. In totale, sono tredici le nazioni a sfondare il tetto (tra queste nel 2022 anche Spagna e Germania). A occhio, il gruppetto coincide con i possibili «alleati» su cui Giorgia Meloni potrà contare nella prossima fase, negoziale, dopo che il ministro tedesco delle Finanze, il liberale Christian Lindner, ha reindossato il piumaggio da «falco» in un intervento sul Financial Times.
Un asse possibile contro i rigoristi, nonostante la maretta sui migranti, è quello con la Francia, sorella «latina» di indebitamento (al 113 per cento sul Pil), come ha fatto notare il Sole24Ore. Il vicepresidente della Commissione, il lettone Valdis Dombrovskis, ha parlato di «maggiore equilibrio», per «garantire la trasparenza e il pari trattamento» tra i Paesi. La nozione di «sostenibilità del debito» è complessa, ha riconosciuto durante la conferenza stampa, ma sarà basata sulle analisi della Commissione.
La nuova governance aspira anche a promuovere gli investimenti, in un mondo così diverso da quello sul quale era stato modellato il vecchio Patto di Stabilità, come hanno riconosciuto i due commissari. Al tempo stesso, la semplificazione dei parametri e il diretto coinvolgimento delle capitali, a cui è delegata la progettualità politica, vorrebbe rendere il tema più accessibile ai cittadini, smontare la demonizzazione cui è soggetto.
Transizione verde e digitale, Sicurezza e Difesa, sono priorità messe sulla stessa riga da Gentiloni. L’Europa che vorrebbe lasciarsi alle spalle la pandemia, il cui trauma portò alla sospensione delle regole di bilancio, vincola le estensioni – possibili – alle riforme. «Durante il piano, il livello di investimento pubblico dovrebbe essere più alto che in precedenza. Non è un auspicio, è un requisito per allungare la traiettoria di aggiustamento», ha spiegato l’ex presidente del Consiglio.
Le tempistiche sono allineate ai cicli elettorali ordinari. Dai quattro ai cinque anni, con la possibilità di spalmare l’«aggiustamento» fino a sette. Il nostro Paese ha una stupefacente capacità di gemmazione di rimpasti e coalizioni variabili: in generale, altri Stati membri (uno degli esempi più eclatanti è la Bulgaria) sono tornati ripetutamente alle urne. Il nuovo assetto, sostengono Dombrovskis e Gentiloni, permetterà di rispondere meglio ai cambi di segno nelle capitali.
I nuovi governi, chiarisce la Commissione in una nota, potranno chiedere di rivedere i piani stilati dai loro predecessori prima della scadenza. Pure in questo caso, come per quelli originari, servirà l’approvazione del Consiglio europeo ed è qui che eventuali «antipatie» politiche potrebbero pesare di più. Si possono rimodulare le priorità e gli investimenti, ricevendo una nuova «traiettoria tecnica» da Bruxelles, ma senza intaccare lo sforzo fiscale complessivo.
«Riusciremo a tenere in considerazione i cicli politici più di quanto potessimo fare prima», assicura Gentiloni. «Lavoreremo con gli Stati membri per trovare un ponte tra le diverse posizioni – conclude il commissario –, ma non saremmo qui senza una proposta della Commissione. Più di tre anni fa, nel pieno della pandemia, la nostra reazione a quello shock immenso è stata ambiziosa. Abbiamo avuto successo perché siamo stati uniti: in questo prossimo capitolo, mantenere l’unità sarà egualmente importante».
Il 2023 sarà parte della «transizione», ma la Commissione conta di incassare il placet del Consiglio entro la fine dell’anno.
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