Gli italiani sono allenatori della Nazionale durante i Mondiali, appassionati di musica leggera nei giorni di Sanremo e poi, di volta in volta, investigatori, alpinisti, climatologi a seconda del fatto di cronaca a cui sia posta di fronte l’opinione pubblica. Non si ricorda però un derby così acceso fra esperti di dati personali e fan dell’innovazione come quello che nell’ultimo mese ha tenuto impegnati coloro che si sono appassionati al provvedimento del Garante della Privacy che ha portato al blocco di Chat GPT nel nostro Paese.
Senza scendere nel dibattito, è certo che la task-force che sta raccogliendo le altre Authorities europee sono un tassello non secondario dell’insieme di iniziative che – dal Digital Services Act all’AI Act – stanno modificando il quadro dell’uso della Rete in Europa e definendo un ruolo centrale delle istituzioni nei confronti dei principali attori, americani e cinesi, presenti con i propri servizi nel continente.
In questo scenario risulta strategica, l’iniziativa legislativa del Parlamento Europeo che, con relatore Sandro Gozi (Renew Europe, Francia), sta introducendo maggiore trasparenza nella pubblicità digitale di tipo politico e che, dopo l’approvazione in sessione plenaria con 433 voti favorevoli, 61 contrari e 110 astensioni, inizierà le negoziazioni con i Paesi membri con il compito di contrastare le «troppe interferenze illecite nei nostri processi democratici».
Tutto iniziò nel 2018 quando lo scandalo di Cambridge Analytica portò alla luce le tecniche di micro-targeting usate da Donald Trump nella campagna del 2016, conosciuta come il “Progetto Alamo”: da allora, prima il Congresso americano e poi le istituzioni europee hanno introdotto provvedimenti volti a limitare le modalità con cui gli inserzionisti utilizzano i dati personali per servirsi di filtri pubblicitari come etnia, appartenenza sindacale, credo religioso e opinioni politiche.
In questo caso, la proposta del Parlamento europeo, presentata in vista delle elezioni del 2024, si pone l’obiettivo di rendere maggiormente trasparenti le azioni non solo delle piattaforme digitali, ma anche degli attori politici, degli inserzionisti e dei centri media. Essi dovranno fornire informazioni sugli investimenti sostenuti in campagne pubblicitarie digitali e sui criteri di profilazione adottati. Inoltre, sarà vietato l’uso di algoritmi di intelligenza artificiale per ridurre il controllo umano nelle scelte di targetizzazione.
Meta, sollecitata dopo l’audizione di Mark Zuckerberg al Congresso degli Stati Uniti nel 2018 e dal Digital Services Act europeo, ha reso disponibile la consultazione dei criteri di inserzione di ogni annuncio e ha fornito una piattaforma, la Libreria Inserzioni, grazie alla quale è possibile controllare le inserzioni attive da parte dei profili pubblicitari. Di recente, anche Google ha pubblicato una piattaforma equivalente.
Tuttavia, il cospicuo numero di profili pubblicitari presenti rende difficile avere un quadro completo degli investimenti pianificati e, a prescindere dall’impiego dei più recenti tool basati sulla AI, fra le funzionalità che Meta da anni mette a disposizione sono presenti strumenti che consentono tecniche di automazione e machine learning per creare campagne iper-personalizzate e specifiche avvalendosi dei dati demografici e personali, degli interessi desunti dal coinvolgimento espresso nei confronti di profili e contenuti, dei comportamenti tracciati dai login social e infine dei dati prodotti dal pixel di Facebook.
Da notare in ogni caso, nella proposta di riforma presentata da Sandro Gozi, il divieto alle organizzazioni che non hanno sede nell’Unione Europea di finanziare pubblicità politiche all’interno dell’UE. Infine, il testo introduce la possibilità di infliggere sanzioni periodiche in caso di violazione ripetuta e impone ai grandi fornitori di servizi di pubblicità di sospendere i loro servizi per 15 giorni.
Se l’annuncio della proposta, lo scorso autunno, era stato accolto con favore dai media tradizionali, soggetti in questo campo a una precisa regolamentazione, resta qualche interrogativo su che cosa verrà considerato “pubblicità politica” e rientrerà dunque in questi limiti: per quanto, ad esempio, rimanga per ogni partito, movimento o candidato la possibilità di comunicare con i propri followers, resta da capire se risulterà meno puntuale, per associazioni attive nella difesa di diritti o coinvolte in campagne di sensibilizzazione, l’attivazione di campagne pubblicitarie o iniziative di fund-raising sulle piattaforme digitali.
Nel frattempo, qualunque annuncio pubblicitario pubblicato su Meta o su Google, semplicemente cliccando in alto a destra, permette di verificare con quali filtri sia stato pianificato e offre a ciascun cittadino la facoltà di esercitare un certo controllo sulle tipologie di messaggi a cui è esposto e di segnalare eventuali messaggi che, a suo avviso, travalicano il rispetto della comunicazione elettorale. Anche questa forma di libertà ha dunque in sé un elemento di partecipazione.