È notizia di un paio di giorni fa che in un liceo di Mestre si è deciso di non dare più i voti agli studenti. Non è il primo, non sarà l’ultimo, il duca e il suo dominio montessoriano conquisteranno il mondo, dichiariamo la resa.
L’ Ansa scrive: «Troppe crisi d’ansia tra gli studenti dopo le interrogazioni o i compiti, troppi pianti dopo una chiamata alla lavagna da parte dell’insegnante finita magari con un impreparato. Così il liceo classico-scientifico Giordano Bruno di Mestre (Venezia) decide di sperimentare un quadrimestre di lezioni senza voti, sostituendoli con giudizi meno impietosi».
La prima cosa che mi viene in mente è: ma quelli bravi? Quelli bravi potrebbero pensare che essere bravi non serva a niente, potrebbero quindi decidere di smettere di esserlo e darsi, che ne so, alla microcriminalità o al teatro, o alla trap. Che gli adulti assecondino il culto della fragilità non mi stupisce perché si chiama «proiezione», e soprattutto non mi stupisce dopo aver visto gente che da mesi ancora parla di istruzione e merito, arrivando alla conclusione che il merito non esiste, ma a questo punto possiamo anche dirlo dell’istruzione.
Secondo quanto riportato dai giornali, ci sono alunni che non studiano e piangono se prendono un brutto voto: piuttosto che dirgli di studiare, che pare essere una nuova forma di violenza, si tolgono direttamente i voti. Nessuno vuole far male a nessuno, stiamo seriamente prendendo in considerazione l’ipotesi che sbattere il mignolo contro uno spigolo diventi malattia terminale.
La seconda cosa che mi viene in mente è: stiamo togliendo la possibilità agli adolescenti di diventare adulti, perché stiamo abolendo quello che ha reso il cinema il cinema e la letteratura la letteratura e i bambini degli adulti: il riscatto.
Il riscatto ha molto a che fare col merito: nessuno più sembra saper dire «adesso gliela faccio vedere io», nessuno sembra più interessato alla cosa. Abbiamo medicalizzato a tal punto il quotidiano che pensiamo che il disturbo d’ansia possa essere risolto dai presidi. La verità è che da quando abbiamo trasferito l’intero vocabolario medico, il DSM e i Freud che ci possiamo permettere nella vita di tutti i giorni, abbiamo reso accettabile farci le autodiagnosi, parlare di ansia, depressione, patologie varie senza nessuna cognizione di causa inventandoci l’attivismo.
Vi do una notizia: togliere i voti non fa sparire l’ansia. L’ansia è funzionale alla sopravvivenza, pensare di eliminarla forse si qualifica pure come tentata strage.
La terza cosa che mi viene in mente: quanto è diventato facile finire in cronaca? Ogni santo giorno che stiamo su questa terra a leggere i pezzi gratuiti dei quotidiani c’è un insegnante che non dà i compiti, ma invita gli studenti ad andare nella natura ad abbracciare gli alberi, un preside che si dà fuoco per le carriere alias, una mamma che urla che i compiti sono una violenza, un abuso, un reato.
Non avendo uno star system, lo star system è stato rimpiazzato dai nostri eroi quotidiani con il loro quarto d’ora di celebrità.
La quarta cosa che ho pensato è questa: ho detto a mio figlio di anni sei e mezzo che c’era una scuola che non dava i voti. Mi ha risposto: «Meno male, così non succede niente». Quindi ho pensato – oltre a: genio, maestro, luminare, insegnami la vita, Nobel – che questa cosa non riguarda la scuola, riguarda la casa.
Prendi un brutto voto e ti viene da piangere e l’ansia e la depressione perché lo devi dire a mamma e papà, e sai che potrebbe finire male, non troppo male, ma male. Ci siamo inventati che la scuola italiana sia competitiva, performativa, agonistica, ma forse più che la scuola lo è il nostro salotto.
È sempre stato così, è giusto che sia così, altrimenti togliamo la possibilità ai genitori di fare gli adulti; e infatti eccoci qua, in un posto dove hanno sovvertito la fisica rendendola sentimentale, dove a ogni azione corrisponde una reazione uguale, ma non contraria.
I possibili voti sulla pagella di mio figlio che frequenta la prima elementare sono: avanzato, intermedio, base, in via di acquisizione. I voti fanno riferimento alle competenze, non al bambino, e ci mancherebbe solo che qualcuno dicesse al mio bambino che è una persona «base». Forse bisognerebbe solo dire: hai preso un brutto voto, ma non sei un brutto voto a meno che tu non voglia esserlo.
La quinta cosa che ho pensato è che la fotografia di Maria Montessori a breve sostituirà quella di Sergio Mattarella. Perché il bambino è il maestro sì, però nessuno si è posto il problema se fosse buono o cattivo.