Da Londra a LagosEcco che cosa succede quando le ragazze nere osano sognare

Storia di una giovane inglese di origine nigeriana che nel Regno Unito degli anni 70 faticava a individuare dei role model al cinema e che proprio per questo ha contribuito a creare quell’onda di serie e di film che dall’Africa si diffondono in tutto il mondo

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I gusti del pubblico stanno cambiando. Abbiamo visto l’impatto globale della serie sudcoreana Squid Game, della serie francese Lupin e della serie nigeriana Blood Sisters, che è stata prodotta da EbonyLife tv ed è entrata nella top 10 globale di Netflix già nella sua prima settimana su quella piattaforma, raccogliendo 11 milioni di ore di visualizzazioni. La fame di contenuti provenienti dall’Asia, dall’Africa e dall’Europa sta riducendo il dominio di Hollywood e sta creando un campo di gioco in cui possono essere più competitivi anche produttori indipendenti di tutti i tipi. Oggi gli abbonamenti estesi a tutto il mondo e il consumo di dati dominano il mondo dei media e costringono anche i principali network a prenderci più sul serio.

Sono nata a Londra nel 1964, quasi quattro anni dopo che la Nigeria aveva ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito ed era iniziato anche il processo di decostruzione del dominio culturale dell’era coloniale. Quando sono arrivata a Lagos all’età di sette anni per conoscere la mia famiglia, in Nigeria era un momento di grande speranza e ottimismo. Purtroppo, alcune circostanze relative alla mia situazione familiare fecero sì che io dovessi ben presto tornare in Gran Bretagna.

In quanto giovane ragazza nera in Gran Bretagna, ho dovuto lottare per trovare dei role model. Non c’erano molti esempi positivi che io potessi individuare in televisione, nei film o nelle riviste. Gli anni Sessanta e Settanta sono stati un periodo in cui gli attori neri venivano perlopiù scelti per interpretare personaggi stereotipati: affiliati a gang, spacciatori e prostitute. Oppure, attingendo a ruoli sempreverdi, recitavano come camerieri, maggiordomi e schiavi. Se l’ambientazione era “da qualche parte in Africa”, i neri venivano allora relegati in secondo piano, come abitanti del villaggio o altri personaggi che raramente avevano una voce propria. Quando ero piccola, non c’era quasi nessuno in televisione con cui potessi identificarmi, a parte i famosi giornalisti neri britannici Barbara Blake Hannah e Sir Trevor McDonald.

Il primo programma per il quale mi sono entusiasmata è stato Saranno famosi, la lunga serie tv sugli studenti che cercano di diventare musicisti, attori e ballerini della famosa High School of Performing Arts di New York. Il cast era incredibilmente vario, con personaggi neri, ebrei, ispanici e bianchi che erano visti e giudicati per il loro talento e non per la loro etnia. Quando avevo diciotto anni, guardare ogni settimana in televisione questi fantastici ragazzi ha avuto su di me un effetto profondo, ispirandomi a diventare una ballerina – un’ambizione questa che è durata solo fino a quando mia madre, poco incline ai grilli per la testa, non l’ha scoperto.

Nel 1994 io e mio marito abbiamo deciso di tornare in Nigeria. Avevo trent’anni e lì la programmazione televisiva consisteva principalmente in prodotti importati dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti. Ma il cambiamento era nell’aria e i filmmaker locali stavano iniziando a creare contenuti in cui i nigeriani potessero immedesimarsi perché erano nelle loro lingue e tenevano conto del loro umorismo, delle loro abitudini e delle loro credenze. I film nigeriani, prima su vhs e poi in dvd, sono passati di mano in mano diffondendosi abbondantemente in quasi ogni angolo del mondo. Tuttavia, i progressi nella produzione televisiva e nella neonata industria cinematografica erano lenti. Quando l’ho lanciato nel 2006, Moments with Mo era il primo talk show panafricano ed è rimasto l’unico per tutto il decennio successivo.

Dal momento che percepivo un cambiamento culturale, ho iniziato a sognare un canale televisivo tutto mio. E ho deciso che avrei dato il mio contributo alla rivoluzione già in atto sfruttando il potere di cambiare la mentalità di cui i media sono provvisti. Dopo anni di lotte e di duro lavoro e grazie al contributo di moltissime persone che hanno creduto nella mia visione, nel 2013 EbonyLife tv ha iniziato a trasmettere in tutta l’Africa. E nel 2015 il film Fifty ha segnato la nascita di EbonyLife Films, che ha poi prodotto tre delle pellicole che hanno ottenuto i maggiori incassi di tutti i tempi in Nigeria.

Cinque anni e sette film di successo dopo, eravamo pronti a reinventarci. Questa volta volevamo portare delle storie africane in un contesto globale rivolgendoci a un pubblico internazionale. Questo cambiamento è stato possibile grazie alla rapida crescita dello streaming ed è stato ulteriormente accelerato dalla pandemia, che ha spinto milioni di persone a scoprire contenuti di culture diverse che una volta avrebbero potuto passare inosservati. In questo nuovo approccio ai consumi culturali, il pubblico può divorare un’intera serie in un solo fine settimana di binge watching, invece di guardarla in tredici settimane secondo i ritmi della tv generalista

Nel 2021, abbiamo avviato delle collaborazioni con alcuni dei più grandi studios del mondo, tra cui Sony Pictures Television, amc, Lionsgate, bbc Studios, Will Packer Productions e Jada Pinkett-Smith e i Westbrook Studios di Will Smith. DalLa serie drammatica Queen Nzinga, che si svolge nel XVII secolo, fino al thriller futuristico Nigeria 2099 e passando per Reclaim, una miniserie ambientata nell’epoca contemporanea che parla di furti di opere d’arte, la portata di questi progetti non ha precedenti per una compagnia cinematografica indipendente africana.

Il panorama è cambiato. Prendiamo, per esempio, la storia delle guerriere del Dahomey, una banda di mille donne che facevano da guardie del corpo del re del Dahomey, nell’Africa occidentale del XVIII secolo. Ho iniziato a cercare di vendere questa storia nel 2014, perché sentivo che il mondo aveva bisogno di vederla sul grande schermo, ma non trovavo interlocutori interessati. Poi, nel 2018, Black Panther ha avuto un successo travolgente in tutto il mondo e ha fatto conoscere le Dora Milaje, delle donne che compongono un formidabile esercito femminile ispirato alle vere guerriere del Dahomey. E nel settembre 2022 The Woman King con Viola Davis ha esplorato un altro aspetto di questa storia straordinaria. Così, grazie alla collaborazione tra Sony Pictures Television e EbonyLife Studios, verrà presto alla luce anche The Dahomey Warriors, la nostra serie tv su queste donne leggendarie.

Questo cambiamento non si limita al cinema e alla televisione. Proprio come il K-pop, anche l’afrobeat nigeriano attraversa i confini. Grazie al brave new world dello streaming musicale, famosi artisti nigeriani come Wizkid, Davido e Burna Boy fanno il tutto esaurito su palchi importanti come la O2 Arena e la Royal Albert Hall di Londra o il Madison Square Garden di New York, proprio come fanno alla Landmark Beach di Lagos. La marea sta salendo e non c’è modo di fermarla: lo storytelling, su pellicola o in forma di canzone, è cambiato per sempre. Ma nonostante tutti i progressi che stiamo facendo, il tokenism è ancora una realtà: alcuni studios vogliono solo “spuntare la voce diversità” per dimostrare che stanno facendo uno sforzo per essere inclusivi. Per fortuna, altri si rendono invece conto di quanto sia importante soddisfare una crescente fame globale di storie ancora non raccontate, che parlino di persone meritevoli di essere conosciute e che abbiano, almeno in potenza, quella stessa capacità di infrangere i paradigmi che ha avuto Black Panther

Oggi, quando penso alle bambine nere che crescono lontano da casa e in ambienti che minacciano di soffocare la loro autostima, spero che questa ondata di cambiamento nutra il loro spirito e alimenti i loro sogni più di quanto io stessa abbia mai osato sperare. Voglio che queste ragazze si riflettano nelle storie che raccontiamo – per ciò che concerne le scelte da fare, le battaglie da combattere e, in sostanza, i sogni da realizzare. Io continuerò a bussare alle porte e ad abbattere le barriere finché non riusciremo a creare questa nuova realtà. Ed è il minimo che ogni ragazzina possa meritarsi.

© 2022 THE NEW YORK TIMES COMPANY AND MO ABUDU

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