La porta d’accesso del nuovo regno di Roy Caceres a Roma è quasi un sipario chiuso, che ci tiene nascosto lo spettacolo a cui stiamo per assistere finché non si apre su questo ex concessionario di auto che delle antiche vestigia conserva solo il parcheggio sottostante. Un “cubo” in via Boncompagni, in cui legno e pietra sono protagonisti, poco distante dall’Ambasciata americana, adiacente via Veneto, che si sviluppa su due livelli: al piano terra il ristorante con cucina a vista e tavolo conviviale, il lounge bar all’entrata e lo chef’s table; e sopra alla scala una terrazza dove gustare semplici piatti durante la pausa pranzo e drink la sera.
Una volta dentro, aperto il sipario, si entra in pieno nella rappresentazione che lo chef e la sua brigata hanno pensato per noi, in un continuo e costante cambio di scena che ci riporta immediatamente a una rappresentazione teatrale vivace ed effervescente, che si rinnova a ogni portata e diventa parte di questa degustazione che è prima di tutto esperienza. Ve lo dicono in tanti, che la loro proposta gastronomica fine dining è “esperienziale”. Ma quasi tutti mentono, e vi servono una sequenza più o meno lunga di piatti che sono parte di un menu e che si susseguono al vostro tavolo, e sono di solito molto raccontati. Le vere esperienze, in questo ambiente, sono poche e cambiano il punto di vista che avete sullo stare a tavola. Infatti, nei luoghi del gusto dove si fanno vere esperienze gastronomiche non si va per “mangiare” ma – appunto – per assistere a uno spettacolo che va in scena per voi, e che comprende anche il cibo, che è parte del tutto, spesso ne è il centro e il fulcro, ma non è il solo elemento che si farà ricordare in quel momento. In questo genere di ristoranti si viene con l’idea di dedicarsi una serata e di scoprire una storia, un racconto, il percorso di chi l’ha ideata e ci accompagna nella sua idea creativa. Il format ci riporta al Tickets di Barcellona, il locale più divertente del mondo, un vero “circo” del cibo dove cambiare tavolo, mangiare con le mani e vincere un piatto extra trovando una sorpresa nel menu era una novità assoluta. Peccato che quell’esperienza al momento non si possa più vivere, ma per chi l’ha provata rimane un must.
Il concetto è stato portato in Italia da Federico Zanasi, al Condividere di Torino, dove i passaggi di tavolo, le portate che non sono quello che sembrano, sono diventati nel tempo un grande classico della Torino che osa e sorprende. Ci ha provato Rottigni a Milano, con il suo dessert bar, che proponeva suoni, musiche e intrattenimento gastronomico per una serata che di sicuro era indimenticabile. E ci sta riprovando oggi, con la sua nuova storia salata, che strizza sempre più l’occhio alla perfomance teatrale.
Ma lo fanno anche i giovanissimi ragazzi di Trattoria Contemporanea a Lomazzo, che rendono il servizio fluido, piacevolissimo, mai scontato e sempre dinamico, per una serata che scorre veloce e piacevole, lontanissima da quelle impostazioni classiche dell’accoglienza d’antan, rompendo schemi prefissati e rendendo l’esperienza un gioco in cui il cibo è protagonista. Ci è riuscito per tanto tempo Samir, alla Canonica di Verona, proponendo nei suoi piatti divertimento ed estro, ma anche quiz gastronomici che ti permettevano – indovinando gli ingredienti – di vincere la tua cena da lui. Speriamo trovi presto una nuova casa dove ricominciare a sperimentare e a sedurci con le sue creazioni sempre fuori schema. Ci riescono con grande piacevolezza i brillanti proprietari di Azotea a Torino, fulcro della cucina Nikkei e grandi mattatori di serate con i cocktail che diventano comprimari rispetto a un menu degustazione che ci porta in un mondo gastronomico in bilico tra Giappone e Perù.
Di sicuro ci sta riuscendo, e bene, proprio il colombiano Caceres a Roma, che con questo nuovo modello di degustazione itinerante, parte da un salottino per l’aperitivo, prosegue al pass per vedere il movimento dei cuochi in cucina e assaporare bocconi gustosi spiegati direttamente da chi li produce davanti ai nostri occhi rimane esperienza memorabile. E va avanti quando si arriva al tavolo, dove le portate si susseguono e raccontano di prodotti stranieri naturalizzati italiani, esattamente come lo chef che li ha immaginati: una cucina libera, fatta di contaminazioni e senza frontiere, un’offerta gastronomica che mira a tracciare “nuove orme” nel palcoscenico culinario italiano.
Il design stesso della tavola, con le stoviglie meravigliose che si incastrano nell’orma incisa sul tavolo per accogliere i nostri bocconi, è l’antitesi del centrotavola, o forse il suo sviluppo, che diventa parte integrante di quella rappresentazione che si fa concreta al palato. È scoperta continua, è sapore che si svela, è stupore che solletica le papille gustative con intelligenza e con garbo, mentre l’occhio ruba le movenze e i gesti di camerieri accoglienti, professionali ma vivaci e cordiali, rappresentativi anch’essi dello stile dégagé del locale.
Il percorso è tracciato, la strada segnata: e dopo la meravigliosa Metamorfosi, che ha visto lo chef diventare via via un riferimento capitolino, questa nuova avventura promette di essere un passo significativo verso la sua consacrazione. Giocosa, irriverente, concreta e senza barriere: proprio come lui.