La ribellione della Wagner è stata una sfida senza precedenti all’autorità di Vladimir Putin, la prima in quasi mezzo secolo di un potere. Martedì mattina il presidente russo ha provato a cambiare la lettura degli eventi per la seconda volta dopo il breve discorso in tv di lunedì sera, dipingendo l’accaduto come una vittoria, sua e del popolo russo. Putin ha parlato dalle scale del Palazzo del Cremlino, un luogo simbolico e blindato dove gli zar hanno pronunciato i discorsi più importanti della storia russa. Nel suo intervento si è rivolto ai duemilacinquecento presenti tra soldati, agenti di polizia, guardie russe e funzionari della sicurezza per ringraziarli di essere rimasti leali e aver difeso l’ordine costituzionale, la vita, la sicurezza e la libertà dei russi, contribuendo a fermare una guerra civile.
Infine, ha ricordato i militari caduti «durante la repressione della ribellione» chiedendo ai presenti di onorarne la memoria con un minuto di silenzio. Putin non ha fatto nessuna menzione dell’accordo tra il Cremlino ed Evgenij Prigozhin che lo assolve con un comodo esilio in Bielorussia, tuttavia, ha risposto indirettamente a una domanda che molti si erano posti fin dalle prime ore della marcia su Mosca: perché il convoglio della Wagner non è stato schiacciato subito, senza pietà, con un intervento delle forze armate? «Su mie istruzioni dirette, sono state prese misure per evitare molti spargimenti di sangue», ha detto Putin. «Ci è voluto tempo, anche per dare a chi stava commettendo un errore la possibilità di cambiare idea».
In questo modo Putin vuole riaffermare la sua autorità di uomo lucido e risoluto, spaventando la popolazione con l’idea che senza il suo pragmatismo ci sarebbe stata una guerra civile. Il sottotesto di tutto questo è: restate dalla mia parte, altrimenti, senza di me, le cose andranno molto peggio.
Putin deve far dimenticare la sensazione di vuoto di potere di quelle ore, dare il messaggio che il suo intervento ha risolto una situazione critica senza spargimenti di sangue, riscrivere la narrazione della ribellione della Wagner per farla diventare una crisi della Russia superata dal popolo e dalla fiducia nel suo leader, e farne il punto di partenza per riconsolidare il consenso.
L’immagine di Putin in cui l’intera popolazione sarebbe stata dietro di lui però è in netto contrasto con le immagini delle persone di Rostov che applaudivano i soldati della Wagner, e anche se tempestati da una propaganda pervasiva i russi si rendono conto che una rivolta armata in patria non è un certo un segno di stabilità. Aver coinvolto Alexander Lukashenko non fa che peggiorare le cose, visto che ieri il loquace dittatore della Bielorussia ha detto che è stato lui a convincere Putin a non uccidere Prigozhin con un attacco missilistico.
Se come detto da Putin lunedì sera, i leader della ribellione sono «traditori» e «criminali» che «hanno pugnalato alle spalle la Russia», se alcuni piloti dell’aeronautica russa sono stati uccisi dalla Wagner, perché Prigozhin non viene perseguito? Lunedì il quotidiano Nezavisimaya Gazeta scriveva che «compromessi del genere si fanno normalmente con gli oppositori politici, mai con criminali e terroristi, ciò significa che ora dobbiamo vedere Prigozhin come un politico?».
Dopo il discorso al Palazzo del Cremlino, in un incontro con gli ufficiali andato in onda sulle tv Putin si è scagliato contro Prigozhin per affarismo, sostenendo che lo stato russo ha finanziato ogni attività della Wagner, smentendo tutto ciò che Mosca ha sempre detto sul questo gruppo di mercenari i cui legami, e perfino la sua esistenza, prima della guerra in Ucraina venivano negati dal Cremlino per nascondere quelli che in alcuni casi sono crimini per procura e violazioni del diritto internazionale. Dove porterà l’aver scoperchiato questo Vaso di Pandora con ramificazioni in Africa e in Medio Oriente, e non solo, è tutto da vedere.
Di fronte ai dubbi, lo smarrimento e a tutte queste crepe nella solidità del sistema di potere del Cremlino, la tv di stato russa cerca di riportare questa storia sui binari della propaganda il più rapidamente possibile. Secondo le corrispondenze di Steve Rosenberg della BBC e Max Seddon del Financial Times ieri le tv citavano i discorsi di Putin evidenziando il modo in cui ha ringraziato i russi per la loro «unità e patriottismo».
Margarita Simonyan, una delle propagandiste più guerrafondaie del sistema mediatico russo (e molto vicina alla cerchia più stretta del Cremlino), mentre i soldati della Wagner marciavano su Mosca era sparita dalle tv e dai social. Simonyan, grande sostenitrice di Prigozhin e dei suoi metodi, in seguito ha spiegato che in quelle ore era impegnata in una crociera nel Volga per un documentario sulle antiche chiese ortodosse, completamente inconsapevole di quanto stava accadendo tra Mosca e Voronetzh.
Ora è tornata, e nei talk show difende la scelta di Putin di ritirare le accuse contro Prigozhin e i suoi uomini nonostante solo poche ore prima avesse promesso di punirli. «Le leggi non sono i comandamenti di Cristo o le tavole di Mosè. Sono testi scritti da persone per proteggere lo stato di diritto e la stabilità nel Paese, in alcuni casi eccezionali, ci si può passare sopra».
Dmitry Kiselyov, un altro pezzo grosso della propaganda televisiva russa, nel suo programma ha spiegato che l’insurrezione ha dimostrato la forza e la maturità della società russa. «Perché è stato possibile porre fine a un tentativo di insurrezione senza spargimento di sangue? Perché la gente aveva la massima fiducia nel presidente». Questa volta però costruire verità alternative che entrino nei cuori e nelle menti dall’opinione pubblica sarà molto più difficile.
Come ha spiegato Sam Greene, politologo del King’s College esperto di Russia, dopo la ribellione della Wagner la più grande minaccia per Putin viene dal modo in cui gli eventi di sabato hanno fatto svanire il consenso e la convinzione dei russi – tra le persone normali e tra le élite – sull’idea che qualsiasi cosa accada non esiste nessuna alternativa alla presidenza di Putin.
«La maggior parte dei russi è alla finestra per osservare la situazione», ha spiegato Greene. «Anche tra le élite il sostegno a Putin non è ideologico, ma basato sulla convinzione che lui può, tra le altre cose, tenere insieme il sistema e tenerli al sicuro dalla gente. Se questa convinzione svanisce, anche loro inizieranno a cercare un leader più efficace».
Una delle azioni che tutti osserveranno con attenzione, e non solo in Russia, è cosa accadrà a Sergei Shoigu, ministro della Difesa, e Valery Gerasimov, capo di stato maggiore. I due erano da mesi gli obiettivi degli attacchi mediatici di Prigozhin, che li accusava di errori nel condurre la guerra in Ucraina e di mancato appoggio alla Wagner. Il progetto di uno scioglimento della Wagner sostenuto da Shoigu e Gerasimov è stato tra le cause della ribellione di Prigozhin, e la rimozione dai loro incarichi uno dei suoi obiettivi.
Per quasi un quarto di secolo Putin ha mantenuto il potere e l’ordine reprimendo i gruppi in lotta tra loro ed eliminando i suoi possibili rivali, ora qualcosa si è rotto. La rivolta della Wagner ha dimostrato che la guerra sta avendo effetti destabilizzanti anche sulla Russia, e che Putin affronta una lotta su due fronti per la sopravvivenza del suo regime: la guerra in Ucraina e la compattezza del suo clan, e il tempo non gioca in suo favore.