Da più parti la ricerca di visibilità dei leader politici su TikTok è stata giudicata, nella migliore delle ipotesi, affrettata e, nella peggiore, goffa, controproducente e soprattutto, come da linguaggio giovanile, cringe («imbarazzante»). Tuttavia, la corsa alle piattaforme social e, più in generale, a tutti i canali internet disponibili per la comunicazione politica è diventata, da qualche anno, un elemento imprescindibile per le strategie comunicative dei politici sia nei momenti immediatamente precedenti la campagna, sia nei periodi non elettorali.
Questa tendenza parte da un assunto di solito scarsamente verificato attraverso dati empirici, ovvero che internet e, più in generale, i social media siano progressivamente diventati lo strumento principale con il quale gli elettori, giovani e meno giovani, si informano di politica. Se a volte le forme dell’informazione (spesso spettacolarizzata) sui media tradizionali hanno assunto il ruolo di rituali ormai un po’ monotoni (ma ai quali, sia chiaro, nessun attore politico appare disposto a rinunciare!), la convinzione che molti paiono esprimere è che «sul web» vi sia un pubblico distinto, più libero dal punto di vista degli orientamenti politici e disponibile (o quasi) a essere mobilitato al voto. Ma è davvero così? E se i rapporti di forza tra media digitali e media tradizionali si stanno sbilanciando a favore dei primi, da quanto tempo siamo in questa situazione?
(…) I risultati delle nostre analisi rivelano almeno cinque elementi che, a nostro parere, possono aiutare a riflettere sugli ambienti in cui gli elettori si informano e maturano le scelte di voto. Innanzitutto, i cosiddetti «media tradizionali» (soprattutto la televisione), sono tutt’altro che morti, dato il numero rilevante, e tuttora prevalente, di elettori che li utilizzano come principale fonte informativa.
In secondo luogo, i «nuovi social media» come TikTok non sembrano essere per il momento particolarmente appetibili per ampie quote di un elettorato che invece, quando si affida ai social per ottenere informazioni politiche, si concentra sul «vecchio» Facebook. I nostri dati suggeriscono che, se esiste un’utilità nell’utilizzo di TikTok per partiti e leader, questa non consiste nella possibilità di raggiungere direttamente vaste fette dell’elettorato. Piuttosto, fare comunicazione politica su TikTok potrebbe avere consentito di catturare l’interesse dei giornalisti, solitamente attratti da questo tipo di innovazioni, in particolare quando abbinate a stili comunicativi informali e a contenuti ricchi di quello che nelle redazioni si definisce «colore».
Il terzo elemento di interesse è che, benché la televisione rimanga il punto di riferimento privilegiato per una fetta rilevante dell’elettorato, la sua prevalenza si è fortemente ridotta nel corso del tempo (soprattutto a confronto con gli anni ’90 del secolo scorso, quando era la fonte di informazione per eccellenza). Internet, sostanzialmente irrilevante fino al 2013, esplode con le elezioni del 2018 e con quelle del 2022.
Il quarto elemento, forse non particolarmente sorprendente, è che la gerarchia tra i diversi media cambia in funzione delle differenze generazionali tra gli elettori. Coloro che appartengono alle generazioni più anziane continuano a mantenere una forte consuetudine con la televisione, mentre i più giovani hanno abbandonato più rapidamente il mezzo televisivo per cercare (o incontrare casualmente) le informazioni politiche sui media digitali.
Il quinto elemento, infine, è legato alla relazione fra il voto e la fonte preferita di informazione: per i cinque lustri durante i quali abbiamo monitorato queste preferenze l’elettorato di centro-destra ha mantenuto livelli di attaccamento al mezzo televisivo molto più marcati rispetto agli elettorati di altri partiti e coalizioni.
(…) Benché nel sistema dei media ibridi i flussi informativi si intreccino attraverso più canali, la biforcazione dei consumi informativi fra l’elettorato della maggioranza e quello dell’opposizione potrebbe, alla lunga, portare a una divaricazione nell’informazione a cui i sostenitori dei due schieramenti sono esposti, potenzialmente accrescendone le differenze sul piano delle conoscenze, delle opinioni e dei comportamenti politici.
“Da “Svolta a destra? Cosa ci dice il voto del 2022”, di Itanes, Il Mulino, 280 pagine, 19 euro