Perdere la pace Il giorno in cui finì la grande guerra (e cominciò la successiva)

Un trattato annuncia la fine delle ostilità fra gli Stati, ma non la fine delle violenze o dei risentimenti. A Losanna il 24 luglio 1923 si disinnescarono alcuni conflitti, ma si innescarono nuove ostilità. Di fatto venne introdotta nel diritto internazionale una definizione di cittadinanza basata sulla religione

La delegazione turca al trattato di Lisbona
Foto Wikipedia

Il modo migliore per valutare le molteplici conseguenze del trattato di Losanna è rifarsi a uno degli slogan semplificatori di Lenin: Losanna fu un passo in avanti, e molti passi indietro. Un successo controverso, quindi, e dai molti lati oscuri. Il passo in avanti fu evidente, all’epoca: il trattato pose formalmente fine sia alla guerra scoppiata nel 1914 in Medio Oriente sia a quella greco-turca del 1919-1922.

Questo è ciò che la carta del trattato diceva, anche se si potrebbe aggiungere che Losanna segnò anche la conclusione dei conflitti scoppiati nel 1912, se non prima. Dal luglio del 1923 a oggi i confini fra i due Stati sono rimasti invariati. [….] E tuttavia, sotto almeno tre aspetti Losanna lasciò un’eredità negativa che avrebbe segnato da quel momento in avanti il mondo delle relazioni internazionali, imprimendo il sigillo della legalità alla cancellazione dalle carte geografiche dello Stato armeno stabilito dal trattato di Sèvres. […]

In secondo luogo, il trattato di Losanna si rivelò catastrofico per la Società delle Nazioni. Lo scambio forzato di popolazioni deciso il 30 gennaio 1923 – il cardine dell’intero trattato – evidenziò le macroscopiche debolezze della Società quale attore politico per la difesa delle minoranze. Come ha messo in luce Carole Fink, si trattava potenzialmente di una novità rivoluzionaria, ma un ruolo reale di questa nuova istituzione venne vanificato in ultima istanza dalle grandi potenze, che privarono il Consiglio della Società delle Nazioni della facoltà di imporre a uno Stato l’obbedienza alle sue raccomandazioni. […]

Carole Fink ci ha mostrato come, nell’approccio della Società delle Nazioni ai diritti delle minoranze, il pragmatismo si sostituì alla giustizia. È possibile che si sia trattato di un esito inevitabile: gli Stati fecero ciò che vollero coi diritti delle minoranze, e quando ritennero che rispettandoli non avrebbero ricavato nulla si limitarono a ignorarli […]. La Società delle Nazioni offriva dei suggerimenti, ma la decisione finale spettava agli Stati. […]

Losanna mise a nudo l’inconsistenza della Società delle Nazioni in quanto attore politico nell’ordine internazionale postbellico (in campo sociale ed economico, al contrario, l’organizzazione acquistò importanza). Losanna non era Ginevra: la sovranità assoluta degli Stati rimase il fondamento delle relazioni internazionali. L’atteggiamento italiano nel corso della crisi di Corfù fu un clamoroso schiaffo all’autorità della Società e le grandi potenze rimasero a guardare senza muovere un dito. […]

Nel 1914 un assassinio aveva condotto a un ultimatum impossibile da accettare e quindi respinto da una delle parti in causa, la Serbia. Nel 1923 la storia si ripeté, ma questa volta toccò alla Grecia rivestire il ruolo di infelice oggetto di pretese inaccettabili (che, peraltro, anch’essa respinse). Certo, la crisi dell’estate del 1923 fu in qualche modo gestita, o contenuta, ma le grandi potenze ritennero che negoziare direttamente con Mussolini senza ricorrere agli uffici della Società delle Nazioni fosse la via migliore da seguire per stemperare la crisi. […]

La guerra venne scongiurata, ma il danno inflitto fu considerevole, e con ogni probabilità irreparabile. Il 1923 segnò il debutto dell’appeasement sul palcoscenico mondiale, ben prima dell’ascesa al potere del nazionalsocialismo. Nei primi anni della sua attività la Società delle Nazioni ebbe modo di intervenire in maniera decisiva in occasione di dispute internazionali, e lo fece con determinazione, ma soltanto quando le grandi potenze lo ritennero utile al proprio tornaconto.

Questo primato dell’interesse sovrano rispetto alla sicurezza collettiva appare oggi piuttosto scontato. Eppure, la presenza della Società delle Nazioni in qualità di potenziale barriera contro aggressioni e conflitti a livello internazionale fu significativa, al pari di quanto accade oggi con le Nazioni Unite o con la Corte penale internazionale dell’Aia. […]

Una terza eredità di Losanna, negativa oltre ogni ragionevole dubbio, fu il modo in cui l’accordo sullo scambio forzato mise in luce e consolidò quel processo che io – assieme ad altri studiosi – ho chiamato il processo di civilianization della guerra. Forse, avvicinandoci alla conclusione, tornerà utile soffermarci ancora una volta su questa espressione, per renderla quanto più precisa possibile.

I conflitti precedenti erano stati caratterizzati da una tradizione onorata da tempo, che prevedeva lo scambio dei prigionieri di guerra come clausola automatica dei trattati di pace siglati al termine delle ostilità. Nel 1923 accadde invece qualcosa di nuovo e terrificante: la condizione per la cessazione delle ostilità fu uno scambio forzato di civili. Coloro che vennero sradicati dalle proprie abitazioni, in Grecia come in Turchia, erano non combattenti, identificati in base all’appartenenza religiosa e non alle idee politiche, all’identità linguistica, o culturale.

Il precedente stabilito a Losanna fu tossico. Certo, c’è una differenza fra il modo in cui a Losanna fu cancellato il diritto alla cittadinanza di comunità umane ritrovatesi in una zona di guerra, e le azioni che avrebbero compiuto in futuro i nazionalsocialisti. A Losanna si usò la religione e non la razza come requisito per determinare la cittadinanza. È una distinzione importante. Eppure, sancire nel diritto internazionale la definizione di nazionalità su base religiosa […] fu un primo passo in direzione di quel futuro oscuro. […]

Gli Stati che vinsero la guerra del 1914-1918 persero la pace. Come ha osservato Jörn Leonhard, essi furono travolti dalla violenza e dal caos scatenati dal conflitto. Losanna è parte della storia di quell’insuccesso nel dar vita a uno stabile ordine internazionale. La conferenza di pace svoltasi sulle sponde del lago di Ginevra indicò con precisione che l’assetto postbellico costruito dalle vittoriose potenze alleate poteva essere stravolto. Per farlo, un Paese scontento aveva bisogno da un lato di un esercito, e dall’altro della volontà di sondare la debolezza dei vincitori. […]

Il collasso della pace nel 1939 – l’equivalente nella vita reale del crollo del ponte di San Luis Rey – era ancora distante nel tempo, ma lo smantellamento dell’ordine internazionale creato per salvaguardarla aveva avuto inizio molto prima. I difensori di Losanna presentano il trattato come un successo, e in parte hanno ragione. Nulla aveva reso la guerra inevitabile nel 1914, e nulla la avrebbe resa inevitabile nel 1939. Eppure, il trattato del 1923 finì per creare almeno tanti problemi quanti furono quelli che risolse.

Da “Il giorno in cui finì la Grande Guerra” di Jay Winter, il Mulino, 334 pagine, 28 euro.

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