«Vieni oltre»La rinascita culturale di Rimini passa da Fellini (ma anche da cibo, storia e festival)

La mecca italiana del turismo balneare ha ampliato la sua offerta creando un museo diffuso dedicato al grande regista e cambiando la narrazione della città con una nuova narrazione e una serie di festival. L’obiettivo è diventare la capitale italiana della cultura del 2026

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Quando si parla di Rimini il pensiero va immediatamente ai quindici chilometri di spiaggia bagnata dal mare Adriatico, colorata da ombrelloni perfettamente allineati e da cabine ritinteggiate in primavera per rimettere a nuovo quello che la salsedine ha sbiadito in inverno. Poi si pensa al divertimento, agli amori estivi, ai tanti locali, alle feste e alle discoteche non più così numerose come qualche anno fa. Tutte caratteristiche di una città che ha saputo creare un prodotto turistico unico e che ogni estate porta in una provincia che si estende sulla costa per poco più di quaranta chilometri quasi quattro milioni di visitatori.

Ma i trend turistici, si sa, sono in continua evoluzione e Rimini non è mai stata abituata a subire i cambiamenti. Anzi, molte volte le nuove tendenze partivano proprio dalla città romagnola. Qui sono stati aperti i primi stabilimenti balneari del nostro Paese. Qui sono nate le discoteche più grandi d’Italia e le feste sulla spiaggia. Sempre qui, però, ormai da diversi anni, si è iniziato a immaginare una città diversa. 

Lo spiega Jamil Sadegholvaad, sindaco dal 2021 ma già assessore nelle due precedenti giunte guidate da Andrea Gnassi: «Il cambiamento è stato preceduto da anni di elaborazione sulla ’maturità’ del modello turistico a trazione balneare, che a Rimini aveva già avuto un preludio tra fine anni Novanta e inizio nuovo Millennio nella decisione di realizzare le cosiddette ’infrastrutture della destagionalizzazione’. Quegli anni di elaborazione condussero all’approvazione del Piano strategico che è un po’ la bussola del percorso degli ultimi dodici anni. In questa programmazione si prendeva atto dei limiti di un modello vincente per almeno cinquant’anni ma che se non fosse stato revisionato, un vero e proprio upgrade, avrebbe perso quote di mercato e competitività». 

«Nulla si sa, tutto si immagina», diceva Federico Fellini, il riminese più illustre, condensando in una sola frase quello spirito visionario e onirico che non è mai mancato tra gli abitanti della sua città. E allora i riminesi hanno iniziato a immaginare una città più sostenibile, legata al turismo tradizionale e allo stesso tempo punto di riferimento per la comunità LGBTQ+ ma, soprattutto, una città che avesse l’ambizione di affiancare al mare un nuovo asset per attrarre le persone: la cultura nelle sue più varie sfaccettature. 

Partiamo dal presupposto che il patrimonio su cui lavorare c’è sempre stato. Rimini ha una lunga storia: era uno dei principali porti romani del nord Italia e per la città passavano le più importanti vie imperiali. I due simboli di Rimini sono ancora oggi l’arco di Augusto, il più antico arco romano conservato risalente al 27 a.C., e il ponte di Tiberio costruito nel 14 d.C. tuttora operativo. Ma anche la fortezza di Castel Sismondo, realizzata nel ’400 con la collaborazione, tra gli altri, di Filippo Brunelleschi. E poi ovviamente il riminese Fellini, uno dei più grandi registi della storia che a Rimini ha legato due film premi Oscar come I Vitelloni e Amarcord e che già negli anni sessanta aveva aperto al mondo le porte di una città ricca di contraddizioni, provinciale e attaccata alle proprie tradizioni ma al contempo giovane, aperta e viva. 

Insomma, le potenzialità ci sono sempre state ma bisognava avere il coraggio di cambiare il contesto intorno. Per farlo era necessario concentrare risorse economiche su un asset differente rispetto a quello che per anni ha trainato – e continua a trainare – l’economia locale. Quindi sono partiti gli investimenti nel centro storico, dalla riqualificazione del cinema Fulgor (protagonista della vita e delle opere di Fellini) alla creazione del Palazzo delle Arti, fino al recupero del Teatro Galli, il principale teatro della città devastato dai bombardamenti nella seconda guerra mondiale e rimesso in sesto negli ultimi anni. L’emblema di questo nuovo corso è però il Fellini museum, un museo “diffuso” che fa dialogare senza soluzione di continuità spazi interni ed esterni, sul modello del Guggenheim di Bilbao. Il museo si sviluppa attorno a Castel Sismondo e dove prima c’erano parcheggi ora sorgono giardini e spazi pubblici ma soprattutto due grandi piazze che con proiezioni, specchi d’acqua e installazioni tributano il regista riminese tutti i giorni dell’anno. 

La città ha percepito il cambiamento accettandolo e gli effetti di questa nuova fase si sono riversati anche sulle manifestazioni estive. Agli eventi di livello già presenti come il festival del mondo antico, se ne sono affiancati altri in ambiti diversi. Dalle campagne di comunicazione curate da Maurizio Cattelan alle fotografie di Luigi Ghirri, fino ad Al Mèni, il format pensato da Massimo Bottura in cui grandi chef stellati riuniti sotto un tendone da circo “felliniano” (d’altronde il regista aveva «sempre sognato, da grande, di fare l’aggettivo») si trasformano in cuochi di strada. 

La naturale conseguenza di questo percorso è stata la candidatura, presentata pochi mesi fa, di Rimini a Capitale italiana della cultura 2026. Il claim della campagna è «vieni oltre», una sgrammaticatura derivante dal dialetto che racchiude in due parole il disordine creativo di una città che ha l’ambizione di volerti portare lontano.

Ma gli effetti dell’«upgrade», come lo chiama il Sindaco, sembrano aver varcato i confini comunali. «Non desideriamo una ’Grande Rimini’ ma una ’Rimini Grande’ -spiega Sadegholvaad – nel senso che tutto quello che è stato fatto e che si fa, vuole respirare della stessa armonia che respira tutto il territorio provinciale e oltre. Sostenibilità, cultura, accessibilità, innovazione sono i valori per ricercare e definire un destino comune. La provincia, nella sua interezza, è protagonista di questo orizzonte. La candidatura di Rimini a Capitale Italiana della Cultura per l’anno 2026 va letta in quest’ottica».

Una strategia che pare aver funzionato visto che Rimini è diventata il baricentro di un territorio vivace che vuole seguire il proprio capoluogo in questo cambiamento, dove anche le altre realtà della provincia si sentono protagoniste. Basti pensare a Santarcangelo, un borgo medievale – città natale di Tonino Guerra- situato a pochi chilometri da Rimini, che grazie alla valorizzazione del proprio patrimonio storico e agli investimenti nella cultura sta attirando molti turisti dalle località costiere. O ai festival che negli anni si sono affermati anche a livello internazionale come il MystFest di Cattolica, evoluzione della rassegna del giallo e del mistero deata cinquant’anni fa da Enzo Tortora che ha visto tra i protagonisti i più grandi scrittori italiani del genere da Carlo Lucarelli ad Andera G. Pinketts fino a Maurizio De Giovanni.

L’altro binario sul quale si sta sviluppando la città è la sostenibilità. Uno degli interventi più importanti in questo senso è stata la realizzazione del PSBO, un imponente piano di salvaguardia del mare attraverso interventi strutturali sul sistema fognario, che hanno reso la rete di smaltimento delle acque riminesi tra le più evolute in Italia e in Europa.

Poi c’è la nuova mobilità con la scelta di pedonalizzare gran parte del lungomare, diventato oggi una lunghissima palestra a cielo aperto, e con la realizzazione (ancora parziale) di una metropolitana elettrica di costa per collegare i principali punti di interesse della riviera. «Si trattava di cominciare, passando dai buoni propositi ai fatti e così avvenne – sottolinea il sindaco – L’idea di fondo era quella di una rigenerazione urbana attraverso un’immissione di qualità in ogni settore o comparto per abbattere anche la storica frattura tra città dei turisti e città dei residenti: e così il PSBO è stato accompagnato dallo stop alle varianti urbanistiche in espansione, dalla pedonalizzazione e rinaturalizzazione del waterfront».

Insomma, sembra che Rimini sia riuscita ancora una volta a cambiare pelle senza snaturarsi. L’accoglienza, l’ospitalità e le spiagge rimangono sempre il marchio di fabbrica di questa terra. Ora però la città può contare su un nuovo abito da indossare anche quando la salsedine invernale tornerà a sbiadire le cabine. Fino a dieci anni fa era difficile da prevedere. Ma questa è la città dove nulla si sa e tutto si immagina.

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