Cannaregio, Venezia nord. Pochi minuti a piedi dal Ghetto, pochi da Strada Nova, una delle arterie più affollate della città; eppure in Fondamenta della Misericordia si respira un’aria diversa dalla Venezia più battuta: un’aria leggermente rarefatta, il frinire delle cicale d’estate, un senso di autenticità, di chiacchiere di paese. Non che manchino negozi, bar e ristoranti, ma sono frequentati perlopiù da veneziani, studenti o affezionati che arrivano qui apposta, qualche volta un turista sperduto.
Dal 2014 tra questi locali c’è Vino Vero, versione contemporanea e curata del tradizionalissimo bàcaro veneziano, dedicata ai vini naturali, meta di enofili, foodies, vignaioli e artisti: da qualche anno, un’enoteca gemella a Lisbona. Il locale è minuscolo e dinamico, e senza qualche tavolino all’aperto, a bordo rio, non avrebbe di fatto posti a sedere. Ma è un posto tranquillo: niente cocktail, niente musica fuori dal locale, chiusura programmata a mezzanotte. Niente movida, insomma, giusto per farvi tornare a mente gli estenuanti dibattiti di tre anni fa.
Sono bastati però due vicini molto tenaci e una minuziosa perizia acustica per stabilire che, per uno sforo di ben 2 decibel, Vino Vero dovesse modificare il suo orario di chiusura, spostandolo alle 23.
Il testo dell’ordinanza del giudice che lo decreta è rivelatorio: «Le attività antropiche [sic] connesse al locale “Vino Vero” superano la soglia di tollerabilità delle immissioni rumorose (…) già quando ci sono due avventori seduti al tavolo, mentre quando gli avventori del locale sono quattro le emissioni acustiche superano la soglia della normale tollerabilità».
Due persone sedute a un tavolo all’aperto tra le undici e mezzanotte. Quante volte vi è capitato? Una chiacchiera, una confessione, un penultimo e un ultimo bicchiere, un flirt, una sigaretta guardando il canale, un diverbio di calcio o di politica, un abbozzo di progetto. Davvero è intollerabile?
Vino Vero ha fatto ricorso (l’udienza è il 2 agosto, nel frattempo c’è una petizione online con più di 1.000 firme in due giorni) e non importa, qui, entrare nel merito di come è stata fatta la perizia, di che senso abbiano gli attuali limiti alle emissioni sonore, o raccontare la buona volontà mostrata dall’esercente nel non accettare più tavoli superiori alle sei persone, o nell’offrirsi di installare ombrelloni fonoassorbenti, eccetera eccetera. Importa, come sottolinea Mara Sartore, socia del locale e responsabile della comunicazione, «che cosa vogliamo fare di Venezia e dei centri storici italiani in generale», dal momento che, se confermata, una sentenza del genere costituirebbe un pericoloso precedente. Per chi pensiamo i nostri spazi? «Chiudere alle 23, che poi significa smettere di servire alle 22.30, vuol dire istituire una specie di coprifuoco: cena presto, tutti a casa dopo il cinema e città deserta», con buona pace delle chiacchiere sulla sicurezza. «Una città museo – continua Sartore – pensata per la grande massa dei turisti, che visita Venezia in giornata o che dorme fuori. Dopo le 21, la città torna dei residenti e di un numero relativamente piccolo di visitatori».
La questione ha certamente una sua componente lagunare, che si innesta in un dibattito annoso: era il 1993 quando i Pitura Freska, uno storico gruppo ska veneziano, se la prendevano con «na città che xe na casa de riposo»; da allora Venezia ha continuato a invecchiare, a spopolarsi (è da poco scesa sotto la “soglia psicologica” dei 50.000 residenti) ed è sempre più, per restare nella canzone, «in affitto» (o su Airbnb). Locali come Vino Vero sono baluardi di socialità, e la socialità, che fa girare idee, economia e progresso, è vista sempre più con sospetto.
La questione è però più ampia di Venezia: a Sessano del Molise, forse non il luogo più scatenato che vi venga in mente, il sindaco ha vietato per tutta l’estate 2023 «la musica» in qualsiasi spazio, pubblico e privato, dopo mezzanotte; a Lipari, nel 2022, erano stati proibiti «il karaoke e gli strumenti a percussione». Senza tornare all’ineffabile dibattito sui rave di fine 2022, la sensazione è che da un lato ci sia una classe politica che trae godimento (e legittimazione?) nel vietare, dall’altra una fetta di popolazione che vede l’altro come un problema, un intralcio, a maggior ragione se giovane.
Sono i nostalgici del lockdown – quelli che «Come si stava bene quando si stava in casa a fare la pizza e fuori c’era silenzio!» no, c’erano le ambulanze e la depressione -, ma sono anche quelli che concepiscono caffè, enoteche e ristoranti come un servizio alle proprie esigenze, e non come un’attività imprenditoriale con un’idea e un valore intrinseci. Sono quelli che «Ma come, non fate lo spritz? / Scusa, due patatine? / Ho 5 minuti, vorrei tre taglieri e sei panini / Ma come non servite lo zucchero?!», sono quelli che vogliono restare oltre l’orario di chiusura perché non importa se il lavoratore deve tornare a casa, e sono gli stessi che vogliono decidere quando un locale debba chiudere. Non importa che locale sia, cosa faccia o come lo faccia. Not in my backyard, ancora una volta.
Vino Vero
Fondamenta della Misericordia, Cannaregio 2497 – Venezia