Roba dell’altro mondoDeserti, terre estreme e altre stranezze geologiche dell’Europa

In “Sentieri di sabbia e ghiaccio” (Mimesis) Nick Hunt esplora i territori più insoliti del Vecchio Continente, la tundra artica in Scozia, i canyon rocciosi in Spagna, il Sahara Olteniei in Romania. Zone che somigliano a delle exclavi dell’Africa, dell’Asia, dei poli o del Nord America

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L’Europa viene talvolta definita come l’unico continente al mondo privo di deserti (ai poli ci sono deserti ghiacciati), ma una ricerca ha rivelato alcuni esempi di luoghi desertici dove meno ci si aspetterebbe di trovarli. Nel sud della Romania – nel mio immaginario così verdeggiante – la desertificazione catalizzata dalla deforestazione dell’era comunista ha generato un’area comunemente nota come Sahara Olteniei, che si espande anno dopo anno. La Serbia ha le sue Sabbie di Deliblato, una regione di colline sabbiose che un tempo costituivano il letto di un mare; prima dei programmi di rimboschimento del XIX secolo, si dice che la sabbia venisse trasportata dai venti fino a Vienna. Nel cuore della Polonia si trova l’anomalia di Błędów, un altro semideserto che deve la sua esistenza all’avidità umana. Secoli di disboscamento hanno provocato l’erosione dello strato superficiale del suolo e l’esposizione di un letto di sabbia antica (anche se una leggenda locale dà la colpa al diavolo, che ha scaricato la sabbia per seppellire una vicina miniera d’argento). Durante la Seconda guerra mondiale, l’Afrikakorps tedesco vi si addestrò. La Polonia divenne un terreno di esercitazione in vista del Sahara.

Neanche in questo caso si tratta di deserti in senso strettamente scientifico – l’Europa continentale ha un solo vero deserto, che esploro in questo libro –, ma l’aver appreso dell’esistenza di queste stranezze geologiche ha ampliato gli orizzonti immaginativi del continente; di colpo mi è sembrato più grande, in qualche modo più antico e infinitamente più sconosciuto. Seguendo questo stravagante filo conduttore, ho scoperto che ci sono dei fiordi in Irlanda (tre, tutti a ovest); bizzarri solchi di erosione nel sud della Francia e dell’Italia, noti rispettivamente come calanques e calanchi; e l’unica steppa dell’Europa occidentale è intrappolata in Provenza. L’elemento che accomunava topografie così diverse era il fatto che ognuna di esse sembrava appartenere a un’altra parte del mondo, o addirittura a un’altra era storica o geologica. I fiordi dovrebbero essere scandinavi (o, al limite, cileni); le badlands sono associate alla frontiera nordamericana; le steppe sono propriamente situate nelle praterie della Mongolia, dell’Asia centrale e della Russia meridionale. Tutte queste aree sono exclavi, termine geopolitico che descrive una regione che appartiene a un altro Paese ma che non è collegata a esso via terra e si trova sola, circondata da un territorio estraneo.

Ho iniziato a pensare alle terre estreme europee – questi portali verso l’altrove – come exclavi non solo del luogo, ma anche del tempo profondo.

Di tutti i luoghi insoliti di cui sono venuto a conoscenza, quattro in particolare mi hanno attratto, trasformandosi nei capitoli di questo libro: un lembo di tundra artica in Scozia; le più grandi vestigia di foresta primaria del continente in Polonia e Bielorussia; l’unico vero deserto d’Europa in Spagna; le steppe erbose dell’Ungheria. Oltre alle loro connotazioni geologiche ed ecologiche superficiali, tutte queste regioni avevano legami culturali profondi, e spesso sorprendenti, con altre agli antipodi della Terra: l’Artico, la tundra siberiana, le badlands del Nord America, il Sahara, le steppe dell’Asia centrale. Penetrarvi, insieme all’alchimia del camminare, era un modo per essere trasportati senza mettere piede al di fuori di questo piccolo e apparentemente mansueto continente (che, soprattutto per un camminatore, non è né piccolo né mansueto). Questi viaggi attraverso tempeste di neve e sole cocente, montagne e deserti, foreste e pianure, erano anche passeggiate nel tempo. Non mi hanno solo condotto a ritroso nella storia preumana, nei paesaggi glaciali e nelle grandi migrazioni – attraverso l’arte rupestre del Paleolitico, i nomadi dediti all’allevamento delle renne e quelli del deserto, gli sciamani, le divinità slave della foresta, gli stambecchi, i bisonti europei, gli autori di western, eco-attivisti, arcieri a cavallo, l’Uomo Grigio del Ben Macdui e altri improbabili spiriti locali –, ma anche in avanti, verso un futuro la cui mappa iniziamo appena a intravedere.

Tratto da “Sentieri di sabbia e ghiaccio. Nelle terre estreme d’Europa” (Mimesis edizioni), di Nick Hunt, pp. 336, 19€

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