Evgenij Prigozhin tre, Emmanuel Macron zero. Tre colpi di Stato a favore della Wagner in tre anni hanno espulso la Francia da tre paesi africani chiave: il Mali, Burkina Faso e Niger. A questi si aggiungono due golpe anti occidentali di cui ha approfittato fortemente la Wagner in Sudan e in Guinea, e il forte e determinante impianto delle armate di Prigozhin in Libia oltre che nella Repubblica Centraficana. Di fatto, il radicamento della Wagner nel Sahel e in Africa appare inarrestabile, sia sotto il profilo politico – tutti questi golpe guardano alla Russia come alleata – che militare, in una cintura dei golpe pro russi che va dal mar Rosso all’Oceano Atlantico. Si vedrà come si evolverà il golpe in Niger, circondato come è dalla fortissima pressione economica e militare a favore di Mohammed Bazoum, il presidente democratico deposto, da parte dei nove paesi confinanti del Cedeao, l’alleanza economico militare dell’Africa occidentale. Paesi che sono peraltro spalleggiati dalla Francia e dalla Unione europea nella loro azione contro il golpista nigeriano il generale capo della guardia presidenziale Abdourahman Tiani al quale hanno dato sette giorni per rimettere al potere il presidente deposto sotto minaccia di un loro intervento militare. Futuro incerto quindi: Mali e Burkina Faso hanno replicato che interverranno a favore dei golpisti del Niger se verranno attaccati dalla Cedeao, ma intanto si tratta, con discrezione. Una guerra interafricana non è comunque esclusa.
In attesa di sviluppi incerti si può però già ora prendere atto di un dato certo: il clamoroso e drammatico fallimento delle politiche africane innanzitutto della Francia, ma anche degli Stati Uniti. Fallimento politico sul quale è indispensabile avviare una riflessione proprio nel momento in cui, con forte pressione del governo Meloni, l’Unione europea ha deciso di avviare una nuova politica di intervento e di aiuti in Africa e non solo per fronteggiare le emergenze dei poderosi flussi migratori verso il vecchio continente.
Salta subito agli occhi un dato: la Francia, spalleggiata dagli Stati Uniti, nell’ultimo decennio ha fortemente investito in aiuti in Mali, Burkina Faso e in Niger, sia dal punto di vista militare con forti contingenti armati – millecinquecento soldati in Niger, affiancati da trecentocinquanta militari italiani e mille americani – per contrastare il terrorismo jihadista fortemente impiantato nella regione, sia dal punto di vista economico. Tra il 2017 e il 2021, Unione Europea, Banca Mondiale e Stati Uniti hanno versato 2,9 miliardi di aiuti ai paesi del Sahel occidentale dei quali ottocentodiciannove milioni destinati al Niger e settecentonovantadue destinati al Burkina Faso. A questi si aggiungono centinaia di milioni di dollari di aiuti da parte degli Stati Uniti, come ha ricordato Antony Blinken. Non solo, in tutti questi paesi, nei quali il francese è una delle lingue ufficiali, la moneta, il Cfa, viene battuta a Parigi ed è la Banca di Francia a garantirne in solido la convertibilità, quindi un intreccio economico e di mercato strettissimo. Dunque un consistente impegno economico. Che non ha creato alcun risultato è che men che meno ha consolidato rapporti solidali. È indicativo che mesi fa, nel corso di un grande sciopero generale, il sindacato del Niger abbia chiesto a gran voce il ritiro del contingente militare francese.
Peraltro, è escluso che queste giunte golpiste possano compensare la perdita di aiuti economici da Francia, Europa e Stati Uniti con finanziamenti dalla Russia in guerra, mentre è assodato e consolidato l’innovativo modello della loro alleanza con la Wagner: i costi dell’intervento militare vengono coperti da concessioni minerarie alla struttura di Prigozhin che ormai ha la potenza di un solido e facoltoso Stato di mercenari (il che spiega perché sia indispensabile a Vladimir Putin). Un meccanismo diabolico perché permette una moltiplicazione incontrollabile della corruzione a favore dei governi golpisti. Infatti in Niger il primo atto della giunta golpista è stato bloccare le esportazioni di uranio e petrolio verso la Francia, preludio probabile alla concessione dell’estrazione alla Wagner.
Torniamo dunque al punto: dove hanno fallito la Francia innanzitutto, ma anche gli Stati Uniti (che peraltro hanno formato non pochi tra i generali golpisti, incluso Tiani), nonostante il loro sostegno militare ed economico a nazioni che gli si sono rivoltate contro per preferirgli la Russia? L’unica risposta che viene alla mente è scabrosa: hanno fallito in pieno sotto il profilo politico e persino culturale, di atteggiamento, di relazioni, perché non hanno avviato nei decenni scorsi una politica di formazione delle èlites africane civili e militari, perché non hanno dismesso una mentalità neo coloniale e paternalista, perché – quante volte lo abbiamo sentito dire da dirigenti africani – «i francesi sono arroganti».
La Francia innanzitutto, quella di Charles De Gaulle, Georges Pompidou, François Mitterrand, Jacques Chirac, Nicolas Sarkozy, François Hollande e Macron, la Francia ex paese coloniale e ieri e oggi della Françafrique, non ha voluto e saputo formare èlites africane, politiche e militari, su un piede di parità, ha preferito giocare sui golpe (quattro in Niger, moltissimi nelle sue ex colonie) e soprattutto su una presenza militare imposta e su una arroganza economica che oggi, nonostante gli aiuti, le si rivolta contro. In qualche modo la Francia è sempre quella che ha progettato, con Sarkozy, di risolvere il rebus Libia con una operazione militare in Libia nel 2011 e con i suoi servizi segreti che hanno indicato ai ribelli il nascondiglio di Mu’ammar Gheddafi perché lo massacrassero, salvo poi fomentare la rivolta contro il governo di Tripoli di Khalifa Haftar, incurante che la testa di diamante delle sue truppe sia la Wagner. Guardiamo alla Libia e comprendiamo i risultati disastrosi della politica africana della Francia. Una visione francese miope, di corta durata, tutta incentrata, di prepotenza, sugli interessi nazionali francesi anche a scapito degli interessi nazionali dei paesi africani. Questo è il punto.
Riflettere dunque sulle ragioni, sulle radici del fallimento tutto politico e culturale della Francia in Africa è indispensabile oggi, nel momento in cui, con straordinario ritardo, l’Unione Europea, con Ursula von der Leyen, inizia a comprendere come l’impianto della Wagner in Africa strategicamente sia tutt’uno, sia complementare, con l’espansionismo militare russo in Ucraina. Giorgia Meloni, nel recente vertice di Roma con gli Stati africani ha parlato della necessità di nuovi rapporti, intese e collaborazioni «su un piano di parità» tra Europa e Africa. È indispensabile riempire di contenuti questo termine: parità. È indispensabile comprendere che la crisi africana non si può risolvere neanche con consistenti forme di aiuti economici.