Iniziativa popolareI sei progetti di legge dei Radicali italiani su economia, ambiente e diritti

La campagna «Falla fuori» ha l'obiettivo di avviare riforme significative in vari settori della società italiana, aprendo le porte del Parlamento ai cittadini che intendono divenire legislatori

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Riconsegnare la pianificazione energetica allo Stato; prevedere un reddito minimo di inserimento per chi è sotto la soglia di povertà assoluta; consentire la compensazione di crediti commerciali e debiti fiscali delle imprese nei confronti dello Stato; proteggere il suolo e disincentivarne il consumo per favorire il riutilizzo di aree edificate degradate; garantire l’accesso all’aborto senza ostacoli e regolamentare il lavoro sessuale per prevenire fenomeni di sfruttamento. Questi sono, in grande sintesi, i sei progetti di legge di iniziativa popolare, su cui Radicali Italiani ha lanciato la sua campagna d’estate, dopo mesi di lavoro su altrettanti tavoli di confronto, interno ed esterno al partito, per progettare riforme in grado di dare una scossa all’Italia.

La campagna «Falla fuori» vuole aprire le porte del Parlamento ai cittadini che intendono divenire legislatori. C’era chi voleva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, con fini puramente distruttivi ed è rimasto inscatolato nel sistema. C’è chi da sessant’anni cerca di costruire un legame tra eletti ed elettori, tra cittadini e istituzioni, utilizzando gli strumenti di democrazia e partecipazione diretta previsti dalla Carta Costituzionale. Il fine è ovviamente l’opposto: costruire riforme, costruire democrazia, costruire stato di diritto, costruire diritti e doveri.

Pannella “aveva visto arrivare” quelli che avrebbero usurpato la campagna antipartitocratica, per la piena costituzionalizzazione delle istituzioni e del sistema politico e ne avrebbero fatto l’alibi per il nichilismo antipolitico. Anche dopo il loro arrivo, fino alla sua morte, ha cercato di costruire occasioni e strumenti di mobilitazione popolare alternative a quel combinato disposto di demagogia, opportunismo, populismo e trasformismo, che è il segno caratteristico del sistema definito giustamente da Linkiesta “bipopulista”.

In questo quadro si inserisce anche questa campagna. Si può firmare per strada o molto più agevolmente on line, dove però ogni firma costa 1,5 euro. È uno scandalo italiano e la prova provata che la vittoria dell’antipolitica, di destra, di sinistra e bipartisan, è la sconfitta della democrazia, a partire da quella diretta.

Dal gennaio 2022 esiste l’obbligo legale di istituire una piattaforma pubblica e gratuita da utilizzare per raccogliere le firme dei cittadini sui referendum e sui progetti di legge di iniziativa popolare. Semplicemente non è stata istituita, quindi per consentire la firma con modalità telematica occorra pagare una piattaforma privata. Faremo, per questo motivo, una class action contro il Governo perché è inammissibile che a violare la legge e a pregiudicare l’esercizio di un diritto costituzionale sia proprio lo Stato.

Siamo consapevoli che lo strumento del progetto di legge di iniziativa popolare è un’arma il più delle volte puramente simbolica. Quante volte queste proposte sono rimaste lettera morta, abbandonate nei cassetti delle commissioni parlamentari? Quasi tutte. Eppure c’è una novità regolamentare che vogliamo utilizzare. Presenteremo al Senato le firme raccolte perché il regolamento di Palazzo Madama prevede l’obbligo di esaminare, in tempi certi e stabiliti, le proposte di legge presentate. I sei mesi di raccolta sono occasione d dialogo con i cittadini e con le altre forze politiche e sociali, in Senato si arriverà alla discussione e, in aggiunta, i progetti di legge di iniziativa popolare non “muoiono” con la fine della legislatura, ma rimangono validi anche nella legislatura successiva a quella nella quale sono stati presentati. Quindi ne vale la pena.

Si tratta di sei proposte che vogliono affrontare i temi dell’economia, dell’ambiente e dei diritti, tirando altrettanti fili di riforma, capaci di aprire uno spazio di dibattito, che non si limiti a inseguire il contingente, ma che abbia una ambizione strutturale.

Il dibattito sulle forme di sostegno alle fasce più deboli potrebbe trovare nel reddito minimo di inserimento un utile punto di convergenza di altre forze politiche, di opposizione o di governo, anche per uscire dallo sterile parapiglia sul reddito di cittadinanza e sul salario minimo.

Alla domanda su cosa fare per le imprese con problemi di credito e di liquidità, forniamo, come abbiamo recentemente proposto con la CGIA di Mestre, una risposta parziale, ma concretissima, prevedendo la possibilità di compensare in sede fiscale i crediti che vantano con lo Stato, circa 60 miliardi di euro. Non proprio bruscolini.

Un dibattito sugli effetti del cambiamento climatico, uscendo dallo scontro ideologico tra la disperazione di chi vede approssimarsi la fine del mondo e chiede di fare qualcosa e gli stupidi e anacronistici negazionismi del tipo «ha sempre fatto caldo», può trovare una ricaduta concreta in una legge sulla protezione del suolo, una risorsa non rinnovabile che stiamo depredando, in uno dei pochi Paesi europei che non ha alcuno strumento legislativo nazionale di tutela e salvaguardia.

Allo stesso modo, per favorire la transizione energetica e velocizzare la messa a terra di impianti di rinnovabili, proponiamo di riportare alla competenza esclusiva dello Stato le responsabilità in tema di pianificazione energetica, oggi condivise e contese con venti regioni e intrappolate da inefficienze burocratiche e resistenze localistiche.

Nel dibattito sui diritti proponiamo di garantire l’accesso all’aborto, liberandolo dall’ipoteca di una obiezione di coscienza che non è più uno strumento di dissociazione morale individuale, ma di procurato disservizio o di deliberato ostruzionismo all’esercizio di un diritto.

Infine, proponiamo una regolamentazione “in positivo” del lavoro sessuale, fuori dalle facili ipocrisie di chi pensa che sul tema sia meglio non parlare e non legiferare, visto che lo scudo della non punibilità per i sex workers non offre tutele né a loro, né ai loro clienti e rende tutti schiavi di un mercato sottoposto a una regolamentazione sostanzialmente criminale.

Certo, si dirà: «C’è ben altro! Perché non avete fatto una proposta su questo o su quest’altro?». Ma – ammettiamolo – questa è in genere la domanda di chi non crede che gli strumenti di partecipazione siano una risposta adeguata alla crisi della democrazia italiana. Noi, al contrario, ci crediamo e li pratichiamo da sempre.

Igor Boni è presidente di Radicali Italiani

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