Due pesi, due misureL’invasione russa e la differenza tra antimperialismo di facciata e becero antiamericanismo

Dopo aver passato decenni a condannare i mali del colonialismo e gli abusi delle grandi potenze occidentali, i leader politici dell’America Latina e dell’Africa sono rimasti in silenzio di fronte all’aggressione imperialista di Mosca contro Kyjiv. Un atteggiamento tanto pragmatico quanto ipocrita

LaPresse

L’imperialismo di Vladimir Putin ha fatto cadere il velo dell’antimperialismo di facciata di molti leader di potenze regionali e paesi in via di sviluppo, rivelando tutta l’ipocrisia di chi nasconde dietro una visione del mondo progressista, nobile e ricca di valori universali quello che in realtà non è altro che il solito antioccidentalismo e antiamericanismo denso di ideologia e privo di coerenza. Dopo aver passato decenni a condannare i mali dell’imperialismo e del colonialismo, i leader politici di Africa e America Latina non hanno condannato la violente aggressione imperialista della Russia nei confronti dell’Ucraina, dimostrando una certa confusione nel riconoscere cosa stava succedendo e un ambivalente equilibrismo nel modo in cui rispondere.

Sia chiaro, la storia coloniale e imperiale delle potenze occidentali è costellata di orrori che hanno segnato il destino di popoli e nazioni, lasciando ferite che in molti casi non saranno mai del tutto rimarginate. Ma proprio perché l’imperialismo è un torto criminale, perché non condannarlo con altrettanta veemenza quando è la Russia ad applicarlo, qui e ora, in un modo così ideologico, guerrafondaio, e atroce da risultare quasi genocida?

L’atteggiamento dei leader africani e sudamericani in parte è una scelta giustificata dal pragmatismo, non schierarsi per non subire rappresaglie o ritorsioni da una potenza che per loro – a differenza dei paesi europei – rappresenta una minaccia molto più forte. In fondo, per loro questa guerra è un problema dell’Europa e degli Stati Uniti, uno guerra lontana che non li riguarda. In questo caso però il pragmatismo non viene premiato, poiché il Cremlino non lo riconosce come tale ma come un segno di debolezza. 

Mosca non rispetta la scelta di chi desidera restare neutrale per restarne fuori, il rifiuto di proseguire con l’accordo che garantiva il flusso delle esportazioni agroalimentari attraverso il Ma Nero è un attacco alla sicurezza alimentare globale, un modo per usare le forniture di grano e cereali come uno strumento coercitivo per conseguire obiettivi geopolitici colpendo proprio quei paesi che si erano sforzati di restare lontani dalla guerra.  

Con l’uscita della Russia dall’iniziativa del Mar Nero, l’invasione russa dell’Ucraina è diventata in modo evidente una guerra imperialista che riguarda tutti, anche i paesi del cosiddetto Sud globale. Tuttavia, nelle stesse ore in cui Putin gettava le basi per il suo attacco alla sicurezza alimentare del continente più affamato del mondo a Bruxelles erano in corso le riunioni del vertice tra i rappresentanti dell’Unione europea e della Comunità di Stati latinoamericani e dei Caraibi (Celac). 

Nel comunicato finale i paesi del Celac non hanno condannato la Russia, limitandosi a esprimere «preoccupazione per la guerra», con un’eccezione: il presidente cileno Gabriel Boric, socialista e progressista, che ha definito l’invasione russa dell’Ucraina «un’inaccettabile guerra di aggressione imperialista che viola il diritto internazionale», chiedendo (invano) ai partner latinoamericani di riconoscere pubblicamente questa realtà. 

Qualche settimana prima, durante la sua visita Roma lo stimato presidente del Brasile Luiz Iñacio Lula da Silva aveva detto in conferenza stampa che «bisogna smettere di sparare e iniziare a parlare». A vertice Celac-Ue di Bruxelles però Lula ha scelto di restare in silenzio, dimostrando che quelle frasi erano solo l’equilibrismo di chi parla vagamente di pace senza distinguere tra chi ha scelto la guerra, e chi è costretto ad affrontarla.

La strada quindi è ancora lunga, ma nonostante le risposte ambigue all’invasione, nonostante la propaganda russa in Africa e America Latina, nonostante le finzioni e la riluttanza nello schierarsi apertamente dalla parte dell’Ucraina, la maggior parte del mondo riconosce la realtà della guerra imperialista della Russia.

Al vertice Russia-Africa di San Pietroburgo della scorsa settimana si sono presentati solo diciassette capi di stato, un calo incredibile rispetto ai quarantatré leader dell’edizione precedente di quattro anni fa, e gran parte del vertice è stato occupato dalla questione delle forniture di grano con la richiesta africana di ripristinare l’accordo del Mar Nero e avviare colloqui di pace con l’Ucraina.  Le offerte di Putin di regalare qualche tonnellata di grano ai paesi più bisognosi, e di vendere grano e fertilizzanti a prezzi più bassi ai paesi che non aderiscono alle sanzioni, sono state viste per quello che sono: un vile ricatto. 

Secondo le dichiarazioni del Segretario di Stato americano Antony Blinken, ieri in un dibattito alle Nazioni Unite più di novanta paesi si sono unite agli Stati Uniti per firmare un comunicato che condanna l’uso del cibo come un’arma. Chissà se a quel punto anche gli antimperialisti di casa nostra riconosceranno la differenza tra una potenzia imperialista che aggredisce una nazione che non rappresentava nessuna minaccia, e un paese che è stato aggredito per il solo e unico motivo di non accettare i limiti imposti dal perimetro post-coloniale di un impero che non esiste più da almeno trent’anni.