Il nostro libro, “Tomb of Sand”, è la traduzione in inglese fatta da una di noi (Daisy) del romanzo scritto in hindi dall’altra (Geetanjali). Il romanzo originale, Ret Samadhi, ha richiesto otto anni di lavoro e la traduzione altri due anni e mezzo. Il romanzo parla dell’assurdità dei confini – tra le persone, tra i generi, tra i Paesi – ma anche tra le lingue. Con questo tema sullo sfondo, è logico che in una traduzione il confine tra la scrittrice e la traduttrice, tra l’hindi e l’inglese, sia, quantomeno, poroso. Dopo tutto, la prima regola della traduzione è che questi confini debbano dissolversi. Qualche mese fa, eravamo sul palco del Kolkata Literary Meet con il vincitore del Booker in lingua inglese del 2022, Shehan Karunatilaka. Il moderatore si è accidentalmente riferito a noi tre dicendo «tutti e due» e Geetanjali ha scherzato dicendo che era contenta che lui avesse capito che noi due eravamo una cosa sola. Quelle che seguono sono alcune meditazioni sul fatto che siamo due persone in una o, come ci piace dire per scherzare, che ciascuna di noi è «tutta e due».
Su quello che siamo come scrittrice e traduttrice
Geetanjali Shree Ogni scrittrice è necessariamente una traduttrice, in quanto articola – traduce in parole – quella pre-parola amorfa e incerta che si agita dentro di lei per essere espressa. La traduttrice, allo stesso modo, è anche una scrittrice. Durante la nostra collaborazione, io, la scrittrice, ho cercato di diventare l’altra – e cioè Daisy, la traduttrice. L’ho immaginata e, in quell’immaginarla, ho cercato di essere il processo che ha trasformato un testo nell’altro. Poi avrei potuto ricreare, o reimmaginare, il processo, imparando di più su entrambe. A volte le nostre due identità si fondevano in una sorta di erosione degli ego, ma non completamente – mai completamente! Siamo sempre riuscite tirar fuori un qualcosa di utile. La scrittrice una traduttrice e la traduttrice una scrittrice.
Ricordo uno scambio a cui ho assistito una volta, una miscela di lingue, sentimenti e linguaggio non verbale. Un uomo vide un suo amico a una certa distanza e lo chiamò con entusiasmo, alzando la mano in segno di saluto: «Come stai? Bene?». L’amico rispose, esprimendo il suo stato non troppo buono con un gesto infelice: «Così così, credo». È buffo ma profondo e illustra il nostro tentativo, in cui le parole nel loro significato letterale sono solo una parte dello spettacolo.
Daisy Rockwell Siamo abituati a pensare alla traduzione come se fosse una coppia di binari – un viaggio tra due testi, due lingue, due scrittori, due luoghi – ma in realtà si tratta di un continuum tra questi punti. La perdita è il risultato immediato, mentre la scoperta avviene sul lungo termine. Dove si ferma Geetanjali e dove inizio io? Siamo una sola autrice o siamo due?
Sull’atto del tradurre
DR La traduttrice è una ventriloqua che emette una voce, ma la voce non è la sua. La traduttrice è un tramite che riceve qualcosa da trasmettere, ma quel qualcosa proviene da un’altra persona. E la traduttrice deve diventare quella persona e scrivere come lei.
GS Ognuna di noi diventava l’altra, ma la definizione di “altro” è sempre sfuggente. E a volte ci divertivamo a giocare eludendoci deliberatamente l’un l’altra. Una divinità in un tempio è argilla inerte finché la devozione e la passione non le donano vita. Quando quella divinità si trasferisce in un altro tempio, viene nuovamente infusa di energia e diventa qualcos’altro, anche se la sua forma rimane la stessa.
DR Che cosa si perde dell’originale nella traduzione? Tutto. Completamente. La traduzione è quello che succede da quel momento in avanti. GS Sì, parlando da un punto di vista retorico o filosofico, si perde tutto. Ogni espressione è una nuova traduzione. E dove sono io in tutto questo? Ho costantemente bisogno di abitare le nuove forme che emergono nel testo, diventando costantemente un’altra voce e un altro essere, un altro personaggio del romanzo – il corvo, la porta, la strada! Io scrivo, e poi io e Daisy ci scriviamo l’un l’altra stando vis-à-vis, cercando di diventare l’altra, in modo da poterci tirare fuori l’una dall’altra, con rispetto, amore e ammirazione.
Sulla vita di un testo dopo che è andato in stampa
GS Una traduzione è sempre in fieri. È una conversazione. La scrittura è traduzione e viceversa. Entrambe siamo interessate non solo alle parole e ai loro significati, ma anche a cogliere il linguaggio non verbale e ad articolarlo. E siamo perennemente incomplete perché inseguiamo un originale che ci sfugge e nel frattempo ce ne allontaniamo costantemente. Io, come scrittrice, cerco sempre di mettere in forma di parole un mondo pluralistico, polifonico e disordinato che emerge dal magazzino che c’è dentro di me e intorno a me, pieno di cose che non posso elencare nella loro interezza – cose come la memoria, l’immaginazione, l’eredità culturale, storica e filosofica e altro ancora.
DR L’inchiostro si è asciugato, l’atto è compiuto, il libro vive nel mondo. Sembra la morte dell’autrice e della traduttrice, eppure il processo continua. Nel momento in cui ne abbiamo la possibilità, i nostri dibattiti continuano. Nel titolo la parola “tomb” ci sta bene? Come si può seppellire la complessità e la profondità della parola hindi “samadhi” all’interno del testo? E che cosa ne pensi di questo? E che cosa ne pensi di quello? La conversazione continua fuori dal libro già stampato, perché la traduzione è l’area grigia tra due testi e due persone.
© 2023 THE NEW YORK TIMES COMPANY, DAISY ROCKWELL AND GEETANJALI SHREE