Il cantante mascheratoLiberato contiene (ed esalta) tutte le moltitudini di Napoli

L’artista napoletano che non vuole rivelare la sua identità per quattro giorni ha fatto ballare la sua città. La sua unicità è data da un mix tra l’anonimato di Elena Ferrante, la lingua di Geolier, l’appartenenza di Sorrentino, la viralità di Gomorra e Mare Fuori

Courtesy of Bomba Dischi

Soltanto qualche anno fa neanche il suono della sirena che spesso e volentieri rimbomba nella disco music era passato inosservato: pure quello preso per un indizio della misteriosa, oscura, sconosciuta identità di Liberato. E allora quella poteva essere, perché no, la sirena di un carcere. E lui, il fenomeno musicale sbucato dal nulla, un ex galeotto, o meglio un ex recluso all’Istituto minorile di Nisida – forse perché faceva più scugnizzo, più guaglione e’miezz’a’via: se ne sono dette di tutti i colori. Il successo più immediato delle Quattro Giornate di Liberato a Napoli è stato arrivarci atteso più dall’entusiasmo di chi aveva comprato i biglietti, dai sold out in tre date consecutive – sabato 16, domenica 17, lunedì 18 settembre –  che dal chiacchiericcio sulla sua identità misteriosa. 

Il cantante mascherato ha portato in Piazza del Plebiscito un live potente, le sue canzoni fresche e ben confezionate, a volte paracule e un po’ tamarre, per una platea esaltata. Le giornate di LIBERATO sono diventate quattro quando ai tre live si è aggiunto quello di martedì mattina nel carcere di Poggioreale, un concerto per i detenuti tossicodipendenti. La richiesta dell’artista era stata una sola: esibirsi il giorno di San Gennaro. 

A Piazza del Plebiscito venticinquemila persone anche per la terza sera, l’ultima. Magliette del Napoli a profusione, qualcuno che agita all’aria una rosa – simbolo del cantante esploso all’improvviso nel febbraio del 2017 con 9 MAGGIO -, un fan club che distribuisce gratuitamente adesivi in edizione speciale. Comincia puntuale, un occhio di bue che si allarga, gli altri tre compari sul palco che salgono uno a uno anche loro tutti imbacuccati. Un climax campale, luci e colori esplosivi sul palco cinquanta metri per venticinque, tre schermi per trecento metri quadri, almeno otto bocche che sputano lingue di fuoco in aria. LIBERATO entra per ultimo, allucca subito: «Facimm o sfaccim r’o burdell!». È un cavaliere jedi napoletano incappucciato.

L’ultima volta dal vivo a Napoli aveva suonato allo Stadio Maradona solo al pianoforte a una delle diciottomila feste per lo Scudetto. Attacca con GUAGLIÒ. Ogni tanto mena un «kitem***rto», fa ululare la sirena a manovella giusto al lato alla sua postazione. «Ve piace o reggaeton o no?», dice e infuria il concerto con Nunneover e Oi Marì, intona O’ surdato ’nnammurato. 

Già dall’inizio si capisce la piega: saranno più le persone concentrate a postare che quelle a ballare – non una novità, ma a un concerto del genere: che spreco. Liberato fa il suo live, la platea di meno, catturata da una discreta idolatria e da una scenografia – la visual art e il light design sono di Quiet Ensemble e Martino Cerati con supervisione di Filippo Rossi – effettivamente imponente. Che freschezza Guagliuncella Napulitana, certi assoli di chitarra, Calcutta per la seconda sera sul palco per 9 maggio. Il live spicca il volo su Me Staje Appennenn’ Amò, ancora più in alto per una brillantissima e funky Nun Ce Penzà, resta sospeso per We Come From Napoli. Prima del finale è il momento della tammurriata, un medley ambizioso accompagnato da un corpo di ballo che sale sul palco, dieci ballerini coreografati da Marianna Moccia del collettivo Funa. Liberato chiede al pubblico di ballare: «Pusat sti sf***imm e cellular!». Si chiude con Tu T’e Scurdat ’e Me, il bis è O Core Nun Tene Padrone, l’ultimo pezzo pubblicato accompagnato da fuochi d’artificio, luci e colori, uno strapiombo di scorci napoletani sugli schermi. È quasi tutto qui in fondo.

Che Liberato è il riassunto di Napoli in questi anni come una gatta è il riassunto di una leonessa. Città aperta e cool, ricca di contraddizioni, estremamente sensuale, anche volgare, a volte compiacente e permalosa, un ritrovato appeal internazionale e gadget a poco prezzo, friggitoria a cielo aperto e centro culturale. Liberato racchiude l’anonimato di Elena Ferrante, la lingua di Geolier, l’appartenenza di Sorrentino, la viralità di Gomorra e Mare Fuori, la contemporaneità verace della capitale dei TikToker, l’entusiasmo per la squadra campione d’Italia. 

Si sono sprecati i paragoni con l’iconico concerto che Pino Daniele tenne con la sua Superband nella stessa piazza nel settembre 1981. Di sicuro non esiste dietro nessun Neapolitan Power, si tratta di due città diversissime. Le critiche: per le troppe parti pre-registrate, la scaletta inalterata se non per le nuove uscite, le troppe male parole. A Piazza Plebiscito intanto c’è passata mezza Napoli, una platea trasversale tra età e classi sociali, sono arrivati pullman da altre città, bresciani che cantavano in napoletano. Un live a tratti affettato ma potentissimo, quasi come quello di Poggioreale.

Al carcere l’ha voluto l’associazione IV Piano che opera all’interno della casa circondariale. Per una proposta più moderna, un artista sensibile a certi temi: il live era per un centinaio di detenuti tossicodipendenti. A Poggioreale si sta dedicando un intero reparto alle tossicodipendenze, il padiglione Roma. Circa seicento persone, esperienze con ogni tipo di sostanza, età media dai trenta ai sessanta anni – in tutto il carcere sono recluse 2.051 persone su 1.639 posti regolamentari, dati del ministero della Giustizia aggiornati a giugno. Dicono che Liberato è stato subito disponibile, a titolo gratuito. Un’unica richiesta: esibirsi il giorno di San Gennaro. 

E dato che l’ultima ipotesi (e anche la più accreditata) è che dietro la maschera ci sia il producer Gennaro Nocerino, qualcuno fa qualche battuta sull’onomastico. E qualcun altro paragona altezza e fisico: i giornalisti non l’hanno mai avuto così vicino. E proprio mentre nel Duomo di Napoli si attende il miracolo della liquefazione del sangue, si riempie anche il cortile antistante alla Chiesa grande del carcere. Liberato in maglia viola, una rosa sulle spalle, cappuccio con visiera e pantaloni neri. Sale sul palchetto allestito sotto una torretta di controllo e allucca: «Poggioreale, chest è pe tte ammò, è sul pe tte!».

Quasi un’ora di musica, il regista sodale Francesco Lettieri a riprendere tutto, i detenuti che ci mettono neanche un pezzo ad alzarsi, gli agenti che li fanno sedere: questo concerto da seduti è una tortura. «Tutt’ a post guagliù, stann’abballann!», insiste Liberato. Si alzano anche il direttore e il provveditore, arriva il via libera e anche i detenuti possono muoversi almeno un po’, sul posto. «Libero, libero, libero!», urlano in coro. «Nisciun se scorda e vuje uagliù», dice più di una volta il cantante mascherato – magari fosse vero. 

Qualcuno si scatena per quanto possibile: non sono ammessi cellulari, l’unica è ballare. Un agente canta e i detenuti lo sfottono: «E saje tutte quante! Ti devono dare un’altra stella». Il sole mozzica e sudano tutti, dai detenuti al direttore. «Dovete volare!», allucca Liberato. È standing ovation alla fine, la band saluta con il pugno sinistro al cielo. «Ho pariato malamente», dice un detenuto. «Senti, ho perso la voce», un altro. Alle 10:03 dal Centro Storico era arrivato l’annuncio: il sangue di San Gennaro si è sciolto, a Napoli è segno di buon auspicio per la città e per tutti quanti.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter