Il bipolarismo italiano caratterizzato dalle egemonie moderate di Partito democratico e Forza Italia è ormai, bello o brutto che sia, solo un ricordo lontano. L’ondata populista ha determinato una polarizzazione agli estremi negli schieramenti tradizionali, con l’affermarsi di Movimento 5 stelle e Fratelli d’Italia che dettano l’agenda, rispettivamente, all’opposizione e al governo.
Lenta e insufficiente crescita economica, calo demografico costante, eccessiva burocrazia, giustizia macchinosa, tassazione del lavoro troppo elevata e sua maestà l’evasione fiscale restano i problemi del Paese. Talmente grandi e difficili da risolvere che richiederebbero una convergenza di intenti tra le forze politiche su alcune questioni centrali, una convergenza d’intenti simile a quella su cui si è fondato lo spirito repubblicano che ha permesso la nascita di un governo di larghe intese presieduto da Mario Draghi. In quel frangente l’Italia è tornata ad occupare una posizione di rilievo in ambito europeo e internazionale, godeva della fiducia dei mercati e sembravano prepararsi i presupposti per un progetto riformatore del Paese, volto a rilanciare l’impresa e il lavoro, incentivando la produttività.
All’Italia serve un’offerta politica liberale alternativa a populisti e sovranisti, capace di aggregare tutti coloro che si riconoscono nella promozione delle libertà economiche, di concorrenza e merito, dei diritti civili, nella necessità di incrementare i fattori produttivi, occupazione e salari.
Serve una proposta che spieghi chiaramente che l’economia di mercato, con regole chiare a tutela di libera iniziativa individuale e concorrenza, porta crescita e quindi risorse da redistribuire, accresce la produttività del lavoro, che è l’unica via per avere salari più alti.
L’Italia ha sempre meno lavoratori e sempre più pensionati, i contributi che pagano i lavoratori sono sempre meno rispetto alle pensioni da garantire e il divario tra retribuzione media e importo medio delle pensioni è in costante aumento.
Redistribuire a debito è la scelta populista, efficace in campagna elettorale e disastrosa per le casse dello Stato e le tasche dei contribuenti, niente di più lontano dallo Stato sociale.
L’Assegno Unico varato dal governo Draghi ha ridotto la povertà del 3,4 per cento a fronte di una spesa di sette miliardi di euro, mentre il Reddito di cittadinanza ha ridotto la povertà dell’1,4 per cento a fronte di una spesa di ventotto miliardi di euro.
Occorre rilanciare il mercato del lavoro creando le condizioni affinché fare impresa in Italia sia non solo facile e accessibile ma conveniente, intervenire con un taglio massiccio del cuneo fiscale per rendere tangibile e non solo teorico l’aumento del potere d’acquisto, rendere certi e più rapidi i tempi della giustizia e alleggerire il carico giudiziario, semplificare le procedure burocratiche per agevolare chi vuole fare impresa e creare lavoro.
Aumentare i salari per legge non è la soluzione, perché se le imprese non dispongono di maggiori risorse provenienti dall’incremento di produttività e competitività, non possono assumere né aumentare i salari, con la conseguenza di un maggior ricorso al lavoro nero.
L’offerta politica non può fermarsi al corporativismo di Giorgia Meloni e al massimalismo di Maurizio Landini, c’è un elettorato deluso, che non si riconosce nell’incapacità di queste ricette a rispondere ai bisogni dei cittadini. C’è uno spazio in cui le istanze delle persone che chiedono alla politica concretezza, capacità di capire e risolvere i problemi con pragmatismo e serietà, possono trovare una risposta convincente e risolutiva. Uno spazio centrale che deve essere occupato con intelligenza da un soggettività politica forte e radicata nel Paese, che sarà decisiva nel riequilibrio degli assetti europei e che in Italia determinerà finalmente la rottura del meccanismo bipopulistico, prima alle urne e poi con riforme istituzionali che incammineranno il Paese sulla via della crescita e dello sviluppo in tutti i settori.