Non basta una pescaLe conseguenze del divorzio sui figli non sono solo emotive, ma anche economiche

I giovani che vivono la rottura del nucleo familiare hanno più probabilità di avere risultati scolastici peggiori, di non iscriversi all'università e avranno più difficoltà a trovare lavori ben retribuiti. Questo fenomeno strutturale dipende in gran parte dalle politiche di welfare, di conciliazione e dal modo in cui viene gestita la separazione dai genitori

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Il concetto italiano di famiglia è sempre meno tradizionale. Sono più di un milione i nuclei monogenitoriali con figli minori nel nostro Paese. Nell’ottanta per cento dei casi il genitore di riferimento è la donna e il 57,6 per cento delle madri sole è separata o divorziata. Lo stesso vale per i padri, il 53,4 per cento di loro non condivide più il tetto con il proprio coniuge o ex coniuge. Più della metà, quindi, in entrambi i casi. Dati che si inseriscono in un quadro ben specifico: il rapporto Istat “Matrimoni, unioni civili, separazioni e divorzi” riferito al 2021 mostra un ritorno ai livelli pre-pandemici per quanto riguarda il numero delle separazioni che sono state 97.913, il 2,5 per cento in più rispetto all’anno precedente.

Anche i divorzi sono aumentati: nel 2021 sono stati 83.192 ovvero il 24,8 per cento in più rispetto al 2020. Il divorzio causa forti riduzioni del reddito familiare, soprattutto per le donne che finiscono per vivere con i figli e guadagnano meno, occupano meno posti di vertice e hanno una ricchezza inferiore a quella degli uomini. I nuclei monoparentali sono una delle tipologie a più alto rischio di povertà ed esclusione sociale e secondo il rapporto Istat 2022, l’11,7 per cento di questi sono in povertà assoluta. L’80,9 per cento delle famiglie monogenitoriali in questa condizione sono composto da madri sole. 

L’assenza di uno dei genitori e la perdita di risorse economiche possono produrre conseguenze negative per i figli in termini di risultati scolastici e quindi prospettive di reddito future. «Quello che sappiamo per certo sull’Italia – spiega a Linkiesta Raffaele Guetto, professore di Demografia presso il Dipartimento di Statistica, Informatica, Applicazioni “G. Parenti” dell’Università di Firenze – è che le disuguaglianze di reddito si costruiscono cumulativamente lungo il ciclo di vita e un adolescente che vive in famiglie monogenitoriali, è più probabile che faccia un istituto professionale rispetto a un liceo classico o scientifico. E questa scelta è associata alla probabilità di iscriversi all’Università che a sua volta è associata a trovare lavori migliori. Va da sé che questo avrà ripercussioni a livello economico da adulto». 

Per arrivare a questi risultati, il professor Guetto ha condotto, insieme a Nazareno Panichella, docente di Sociologia dei processi economici dell’Università degli Studi di Milano, uno studio nel 2019 per verificare l’esistenza di un’associazione tra tipologia familiare e scelte scolastiche all’interno di un campione di 123.045 adolescenti di età compresa tra i quindici e i sedici anni. I due studiosi hanno analizzato due esiti scolastici: la probabilità di essere iscritti a una scuola superiore di cinque anni, a prescindere dallo specifico indirizzo scelto e in questo caso hanno analizzato la probabilità di evitare situazioni di forte svantaggio, quali l’iscrizione a corsi professionali che non danno accesso diretto all’Università o addirittura la mancata frequenza negli anni dell’obbligo scolastico; la probabilità di essere iscritti al liceo classico o scientifico: in questo caso hanno analizzato la probabilità di aver scelto gli indirizzi più prestigiosi e a cui fa seguito, normalmente, l’iscrizione all’università. Lo standard di riferimento era rappresentato dai ragazzi che vivono con entrambi i genitori biologici sposati.

Lo studio dimostra che i figli di genitori separati o divorziati sperimentano uno svantaggio rispetto ai figli di due genitori sposati, rispettivamente di tre punti percentuali nella probabilità di evitare un corso professionale breve e di altri tre punti percentuali di iscriversi a un liceo classico o scientifico. Lo svantaggio è doppio nel caso di genitori separati che vivono con un nuovo partner. Questo svantaggi medi nascondono interessanti differenze a seconda dell’origine sociale dei figli. «C’è un risultato sorprendente – prosegue il professor Guetto a proposito della propria ricerca -. Quando la separazione riguarda coppie istruite, per esempio due laureati, queste hanno molto più da dare in termini di supervisione e di supporto allo studio e sono i loro figli che hanno più da perdere quando il padre ad esempio va via di casa». Per questo motivo, secondo lo studio, gli effetti negativi delle famiglie “non tradizionali” nel caso dell’iscrizione al liceo classico o scientifico, sono concentrati ad alti livelli di istruzione dei genitori. 

Lo studio, quindi, sostiene che siano i figli di famiglie di bassa estrazione sociale a essere meno penalizzati dal divorzio: essendo le loro opportunità di raggiungere un’istruzione universitaria già molto basse, subire una separazione non peggiorerebbe di molto la loro situazione. «Se ho un padre disoccupato non fa una grossa differenza, dal punto di vista delle risorse disponibili alla famiglia, che ci sia o meno in casa» dice il professor Guetto. C’è poi un altro fattore che influisce sul rendimento scolastico e dipende dal modello italiano, in cui i bambini trascorrono poche ore a scuola. Il problema è che i genitori single hanno meno tempo da dedicare ai bambini per seguirli in attività come la lettura e lo studio. 

L’associazione negativa per cui figli di coppie separate hanno risultati scolastici peggiori, non vanno al liceo e hanno minore soddisfazione nelle relazioni familiari, con una serie di conseguenze anche a livello comportamentale, è strutturale, non cambia nel breve periodo, spiega il professor Guetto. Negli anni si sono consolidate una serie di dinamiche politico-istituzionali: «Il Welfare nel nostro Paese pensa alla famiglia tradizionale come unità da proteggere, mentre un genitore solo ha bisogno di un supporto specifico. Basti pensare all’esperienza dell’assegno unico universale che non ha lo stesso valore per i genitori soli. Sono situazioni che in Italia erano molto poco diffuse fino a venti anni fa, il policy maker non ha ancora pensato a interventi specifici per questi nuclei monoparentali. Mancano inoltre misure di conciliazione tra la cura dei figli e il lavoro per le donne» analizza l’esperto. 

Sulla stessa linea Gianluca Violante, professore di Economia all’Università di Princeton spiega a Linkiesta quello che manca nel nostro Paese: una presenza capillare di asili nido sul territorio che aiuterebbe molto le madri lavoratrici. «Ci sono tantissime ricerche scientifiche per cui quello che succede nei primi dieci anni di vita dei bambini è importantissimo per il futuro e questa misura permetterebbe loro di crescere in un ambiente positivo in cui c’è possibilità di svilupparsi sia dal punto di vista emozionale che educativo». L’Italia ha però una specificità rispetto ad altri Paesi europei: «esiste una forma di welfare familiare, molto pronunciato – continua il professor Violante – Spesso i nonni vivono vicino ai loro figli e quindi ai nipoti. C’è una figura in più nella famiglia che può aiutare a gestire la vita del genitore single». 

Per attenuare le conseguenze negative di una separazione, secondo il professor Guetto, sarebbe importante che il padre collabori equamente alla vita del figlio e aiuti nella sua supervisione. «Il divorzio è un diritto che ci siamo conquistati e deve essere vissuto, dopo, in maniera civile per il benessere dei figli. Il problema non è la separazione in quanto tale, ma tutti i meccanismi negativi che questa può comportare e che potrebbero essere migliorati con un adeguato intervento pubblico e con un approccio egualitario da parte di entrambi i genitori nel rapporto con i figli» conclude il professore.

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