Nei secoli passati esisteva la cosiddetta “clausola degli spettri”, mediante la quale si poteva convenire tra le parti di un contratto di locazione che l’inquilino avesse facoltà di recedere prima della scadenza pattuita senza pagare più il canone ove la casa risultasse infestata dagli spiriti. Ritenuta valida e vincolante dai tribunali francesi quanto meno dal XVI secolo, di essa si occuparono giuristi di primo piano, anche di quelli che promossero il rinnovamento del diritto francese, da René Choppin a Bernard Automne, a Denis Godefroy, Claude de Ferrière, Jean Du Fresne, Louis Le Caron e tanti altri. La prima puntualizzazione del tema risale al 1540, quando il giurista Arnoul Le Ferron pubblicò e commentò il diritto consuetudinario della città di Bordeaux, esplorando tra l’altro la seguente fattispecie: si può lasciare una casa in affitto prima della fine del contratto se diventa “infestata da spiriti”?
Risposta positiva dette la corte reale di Tours, che dichiarò risolto l’affitto di una locanda infestata dal fantasma dell’ex proprietario, il quale, restio a lasciare i locali al nuovo gestore, si dedicava a molestare i clienti finché condusse l’azienda al fallimento. Ben presto i casi di infestazione divennero materia stabile di giurisdizione delle corti e si elaborarono teorie. In Italia si suppose perfino che l’infestazione degli spiriti fosse connessa al contagio della peste. Assai interessante – soprattutto per noi giudici – risulta la teoria di André de Nesmond (1553-1616), presidente del Parlamento di Bordeaux, il quale aggiunse i fantasmi alla giurisdizione della sua corte e spiegò in una sentenza del 1598 come ci fosse un parallelo tra lo status degli spiriti e quello dei giudici. La presenza e apparizione dei primi era garanzia di una stabile «conferenza e comunicazione tra Dio e gli uomini»: in quanto esseri spirituali, i fantasmi fungono da intermediari tra gli umani e Dio, proprio come “giudici”, intermediari posti tra il re e i sudditi, che fanno circolare le informazioni tra il cielo e la terra. Il fantasma rappresenta il doppio spirituale del giudice, allo stesso modo in cui il re è il doppio mondano di Dio. Vi sembreranno spiegazioni splendidamente vaghe, ma occorre contestualizzarle in un’epoca dominata dalla religione, sia sul piano spirituale che su quello mondano e giudiziario.
La Bibbia è gremita di miracoli e contatti con esseri disincarnati di vario genere, angeli e demoni; ma anche lo stesso Creatore in passato era molto più incline a palesarsi agli umani di quanto non faccia ai tempi nostri, così avari di epifanie celesti, salvo il privilegio accordato a certe pastorelle di vedere bellissime signore capaci di far sgorgare sorgenti meglio di qualsiasi rabdomante. E allora come potevano negarsi l’esistenza dei fantasmi, le visite dei defunti in forma spettrale, l’interazione con anime ed entità incorporee di vario genere? Di queste si fecero svariate classificazioni tassonomiche. La più stupefacente è quella di Martin Antoine Del Rio, gesuita fiammingo (1551-1608), il quale nelle sue Disquisizioni magiche così classifica la variegata congerie di entità demoniache minori, aduse a intromettersi nelle vicende dei vivi: gli ignei, gli aerei, i terrestri, i sotterranei, gli acquatici, i custodi di tesori, i lottatori, i lucifugi o notturni, i meridiani, i satiri, i fauni, le streghe, le lamie, i demoni in forma di animali e di mostri, gli incubi e i succubi, i folletti, i mammoni, le sfingi, et cetera. Il secolo dei lumi sollevò qualche dubbio e si espresse con maggiore prudenza. Ancora nel Settecento la questione della locazione di case infestate è affrontata con attenzione dall’insigne giurista Ginesio Grimaldi, attivo nel Regno di Napoli, nel commento alla prammatica De locato et conducto promulgata il 24 dicembre 1587 dal Viceré di Napoli, Conte de Miranda, contenuto nella Istoria delle leggi e magistrati del Regno di Napoli (vol. IX): «Se avvenga che nella casa locata l’inquilino, spinto da panico timore, creda di essere assalito dai maligni spiriti che a Napoli chiamonsi Monacielli, anche gli si permette di lasciarla, senza essere tenuto a pagamento di mercede».
E Grimaldi, buon conoscitore non solo del diritto ma anche del costume dei suoi concittadini, così metteva in guardia l’autorità giudiziaria: «Su di queste false illusioni attentamente avrebbe a procedere il Giudice, col non darvi orecchio, si perché se voga si desse a tali pretesti, bene spesso si sentirebbero ingombrati gli abitatori da simiglianti spaventi, che sovente possono essere di un’alterata fantasia, onde difficile, per non dire impossibile, ne sarebbe la prova quando ammetter si volessero: ed ecco fraudati i Padroni nel riscuotere la piggione loro dovuta». Più radicale, già nel titolo, fu il pensiero espresso dal giurista tedesco Christian Thomasius nella dissertazione De non rescindendo contractu conductionis ob metum spectrorum (1711). Paradossalmente, proprio nella seconda metà dell’Ottocento, col diffondersi del positivismo e dell’esaltazione del progresso scientifico, la questione degli spettri, lungi dall’essere dimenticata o relegata nel territorio delle superstizioni, riceve uno straordinario rilancio. E proprio gli scienziati cominceranno a interessarsi ai presunti fenomeni – nell’illusione di decifrarne l’origine e le circostanze – fenomeni che Charles Richet (premio Nobel per la ricerca medica) definirà per la prima volta “metapsichici”, nelle tre prospettive della dimensione ectoplasmatica, della criptestesia e della telecinesi.
L’astronomo Camille Flammarion proclamerà nel 1869 che «lo spiritismo non è una religione, ma una scienza». E Allan Kardec, a proposito della “sostanza” degli spiriti, si ingegnerà di elaborare il concetto – curioso e affascinante – di “perispirito”, distinto dal corpo e dall’anima, costituito da un involucro semimaterico (lo immagino come una specie di cellophane) che avvolge la sostanza eterea dell’essere, così che i viventi possano percepirlo anche con i sensi. Mancava soltanto che si inventasse un apparecchio radioelettrico per comunicare con i defunti senza l’ausilio di medium o altri ciarlatani. Vi stupirà sapere che Thomas Edison pretese di esservi riuscito, al pari degli olandesi G.J. Zaalberg van Zelst e J.L.W.P. Matla, con il loro “dinamistografo”. A proposito della frenesia spiritistica degli scienziati di fine Ottocento, Freud scriverà nel 1919 che «vogliono insegnarci come porsi in contatto con le anime dei defunti, ed è innegabile che parecchi dei cervelli più fini e dei pensatori più acuti fra gli uomini di scienza hanno ritenuto, specialmente verso la fine della loro esistenza terrena, che tale rapporto sia possibile. Poiché quasi tutti su questo argomento abbiamo ancora la stessa mentalità dei selvaggi, non c’è neppure da stupirsi se la paura primitiva nei confronti dei morti è ancora così forte in noi e pronta a estrinsecarsi non appena qualcosa la faccia affiorare». Ancor più della lucidità scientifica di Freud, mi piace l’intonazione filosofico-poetica di Mircea Eliade: «Non cessiamo mai di esplorare i mondi immaginari della morte e di inventarne interamente nuovi».
Da “Fantasmi in tribunale” di Massimo Sensale, Edizioni Le Lucerne, 208 pagine, 17 euro