Nella vita di ognuno di noi esiste un prima e un dopo: un punto di frizione, o di rottura, a volte invece un inizio, che, come fosse una bussola, ci orienta quando guardiamo al passato cercando di capire e di capirci. Per le due protagoniste di “L’estate verticale”di Chiara Sfregola (Fandango Libri) questo punto coincide con la fine di un’amicizia. Siamo nel 2001, sotto il sole bollente e il cielo azzurro di una villa che fronteggia il lago di Garda. Livia e Veronica hanno terminato la terza media, sempre tese sul filo di una competizione sotterranea, di un rapporto dove nulla appare sincero ma niente è lontano dall’autenticità, e ora cominciano a prendere coscienza di sé.
Le differenze di provenienza sociale o di scorci futuri, di interessi, talenti, forma fisica e carattere, sono rimaste rinchiuse sotto la pellicola di un’infanzia che è pronta a tramutarsi nelle inquietudini di due adolescenti. Dopo l’estate del 2001, tutto è destinato a stravolgersi: «Come se qualcuno a settembre avesse piantato un bastone di ferro bene a fondo nella sabbia per delimitare quello che c’era prima e quello che non ci sarebbe più stato». Figlia di un operaio emigrato in Germania e poi ritornato con una moglie e molti progetti, Livia si iscrive a ragioneria. Veronica si iscrive invece al classico, rispettando il destino che un padre primario e una madre professoressa di lettere le hanno consegnato. La distanza non è ancora arrivata al punto di trasformarsi in miccia, una scintilla da cui tutto esplode, e da cui il romanzo di Sfregola deraglia e sorprende.
Abbiamo fin qui assistito agli improvvisi distacchi e alle eterne riprese di un’amicizia morbosa, tanto da diventare asfittica, e al rapporto fra due ragazze così diverse nei punti di partenza da immaginarsi tali anche in quelli d’approdo. Da ora in poi, l’alternanza fra assenza e presenza che ha tracciato la parabola di Livia e Veronica si moltiplica in diversi punti di vista, nuovi personaggi, altre donne e ulteriori costellazioni attorno alle due.
Sette monologhi e sette voci femminili vanno a comporre un gioco drammaturgico in cui la vicenda dell’una si arricchisce o si rovescia nelle considerazioni dell’altra, non appena arriva il suo turno del flusso di coscienza e il suo modo di aver vissuto quello stesso rapporto, quella stessa notte di sesso, la gelosia, il tradimento, o la lacerazione di una ferita. Sullo sfondo, una Roma cinematografara beona, a tratti malmostosa, tossica, festaiola, dove si conoscono tutti e dove l’esordio alla regia di Irene coincide con la consacrazione di Livia come attrice magnetica e rivelazione dell’anno. Una Roma che lascia il posto a Procida, quando si svolgono le riprese del film e quando, oltre al girato, si consuma in scena un tradimento. Il disegno di voci che Sfregola compone, tratteggia incroci e crocicchi che investono ognuna di queste donne ma ognuna a modo suo.
E così, se guardiamo al tradimento attraverso gli occhi di chi è infedele e consuma l’amore per una donna che non è sua, almeno non ufficialmente, non ancora, ci sentiamo invischiati in un sentimento elettrico e in una dolcezza senza tempo. Subito dopo, però, quel tradimento si deforma nello sguardo di chi lo ha subìto, prima nell’incedere delle ipotesi e poi in una conferma dell’infedeltà che mette in chiaro le cose e oscura al contempo la ragione e la misura, arrivando a produrre delle tragiche conseguenze. Ogni nuovo tassello del mosaico permette all’autrice di far scorrere il tempo più in là, e dunque a moltiplicarsi non sono soltanto le voci, ma anche gli anni di queste donne che si sono incontrate e amate, tradite, detestate, e a volte riunite nella comprensione.
Livia e Veronica aprono e chiudono il cerchio dentro cui si muove, sfilacciandosi, la traiettoria dell’intero gruppo. L’estate del 2001 è ormai un lieve ricordo, quanto la dolcezza di un’infanzia serena che le due hanno vissuto inconsapevoli dei previlegi. Non solo un periodo dorato perché benedetto dai soldi e dalle possibilità che il denaro ha offerto loro, ma più avanti, in punta d’infanzia, ormai ragazze, e poi in seguito da adulte, il privilegio di vivere in una società sullo spartiacque d’un mutamento. Livia e Veronica godono della libertà di rinunciare ai modelli tradizionali e di vivere relazioni di qualsiasi tipo. È libero finalmente il sesso – anche se dichiararsi lesbica, per un’attrice, resta ancora un azzardo o addirittura un pericolo –, libero è l’amore, le aspirazioni professionali, il mondo che ci si costruisce attorno o lo spazio che si pensa per sé.
Osservando questo vento d’emancipazione dal di dentro, nelle intime pieghe della storia di ogni donna, la libertà va a coincidere con il loro viaggio: la strada accidentata che porta ciascuna a ricostruire qualcosa a partire da uno sbaglio. Sfregola, con una lingua ora colloquiale ora letteraria, fa consegnare il testimone dalla prima voce alla seconda, e così fino all’ultima, lì dove chiude il ritratto di un’unica grande vicenda durata anni, prismatica come le versioni contraddittorie delle sette donne, irriducibile come la vita di ognuna di loro.