La grande delusioneLa svista di chi credeva che Nordio fosse un liberale

Il ministro della Giustizia è un magistrato che ha avuto il coraggio di agire controcorrente ai tempi di Mani Pulite. Ma oggi, nell’esecutivo che insegue i titoli dei giornali, fa specie la distanza tra la sua scienza giuridica e l’applicazione della stessa

Lapresse

Abbiamo pazientato quindici mesi, ma ora basta, una domanda si impone: dove è il ministro “liberale” della Giustizia Carlo Nordio? Non è impazienza. È delusione, quella che non suscitava il suo predecessore Alfonso Bonafede, un giustizialista da un tanto al chilo, con l’aggravante dell’incompetenza. Ma a coloro che stimi, che hanno una vita professionale e culturale alle spalle di grande spessore, a quelli che non volevi andassero in pensione, non riesci a perdonare la grande Delusione, con la D maiuscola.

Solo una bella ribellione, ma bella bella, può ormai riscattarlo, altrimenti meglio appunto la pensione. I liberali sono dei rompiscatole e il dubbio che Carlo Nordio, ad andar bene, sarebbe stato una vittima della sindrome di Stoccolma, ce l’avevamo dal primo giorno, ma non era elegante dirlo, nel non radioso giorno della vittoria di Giorgia Meloni.

Da lei, siamo giusti, non ci aspettavamo niente di buono e, a oltre un anno di distanza, abbiamo infatti registrato solo qualche discreta e furbesca dissimulazione. In un’Italia distratta, ad esempio, la gente pensa che la premier sia una sincera europeista e noi abbiamo la debolezza di accontentarci, rinunciando a denunciare che il suo, proprio se vogliamo essere generosi, è un europeismo confederale, quello che consente di essere europei e sovranisti al tempo stesso: una bella amicizia con Orbán e un calcio negli stinchi a Macron. 

Sbagliamo a dire: meglio di niente, ma abbiamo talmente a cuore la causa che ci fa quasi piacere che questa destra si rimangi almeno formalmente quel «la pacchia è finita» rivolto ai burocrati dell’Unione europea. Per i distratti è europeista, e dunque meglio così, chissà che si attenuino le tristi e trite iracondie contro Bruxelles. Il peggio sono gli amici, quelli che le idee le hanno ma le lasciano nel cassetto, e Nordio è diventato uno di questi. È stato un magistrato con la schiena dritta, che ha agito controcorrente ai tempi di Mani Pulite. Che minacciarono di non lavorare attorno ai loro faldoni, rifiutandosi insomma di fare gli impiegati dello Stato, solo perché il Governo non gli piaceva!

Eravamo anche disposti a dare tempo, visto che contro i mulini a vento di via Arenula non è mai stato facile per nessuno usare la lancia. Vedi quel che hanno combinato i ministri tecnici. Tipo la Paola Severino che è riuscita a posteriori a mettere d’accordo destra e sinistra sulla pericolosa utilizzazione dell’abuso d’ufficio, tutta presa a inventare invece il traffico di influenze, chewingum di qualsiasi magistrato ambizioso, in mancanza della regolazione moderna della lobby, che ha solo annunciato. O tipo Marta Cartabia, accolta come la ragazza prodigio e autrice poi di una riforma che fa già acqua da tutte le parti e allo stato è una delle grandi finzioni del PNRR.

Per un po’ abbiamo anche aspettato a dire «Carlo, facci la riforma», deciditi a metter mano ai nodi che denunciavi quando scrivevi articoli e saggi. Ci siamo detti che ogni giorno ci sono problemi nuovi, lasciamolo lavorare sulle cose apparentemente minori. È stato un errore. Questo è il Governo che insegue i titoli di giornale e le priorità di Mario Giordano. C’è un rave? Subito un bel decreto, per festeggiare l’esordio di Nordio e pazienza se il Prefetto è più svelto a risolvere il problema. C’è la tragedia di Cutro? Forza, inseguiamo in tutto l’orbe terracqueo gli scafisti, e pazienza se sono spesso vittime più che carnefici. E via così, dagli incidenti stradali alla violenza sulle donne. Il governo Meloni-Nordio passerà alla storia per aver aggiunto mesi o anni a pene già esistenti. L’ultimo massacratore non sapeva che c’era l’ergastolo per un delitto premeditato? 

Fa specie la totale differenza tra la scienza giuridica mostrata da sempre da Carlo Nordio e l’applicazione della medesima, ora che ha l’occasione di metterla in atto. E il bello, o il triste, è che è già sull’elenco dei candidati del prossimo rimpasto. Ridacchia da qualche parte un altro liberale di Stoccolma: quel Marcello Pera cui saremo grati per sempre per aver introdotto nel buio italiano la luce di Karl Popper. Almeno lui, però, può dire – e lo dice infatti ad alta voce senza riguardi – che la riforma delle istituzioni l’avrebbe fatta molto meglio della Maria Elisabetta Casellati (un’altra uscita dai sacri lombi del liberalismo). Un genio incompreso, ma vuoi mettere una rentrée in Senato da cui gli ingrati di Forza Italia lo avevano rimosso, per accettare (o richiedere?) un seggio dal partito che – oggi cerca di farlo dimenticare – è nato da uno spin-off, rifiutando di andare avanti sulla strada moderata e “liberale” del Popolo della Libertà o di Forza Italia. Una ribellione nobile e meritevole per coerenza (è la principale dote di Giorgia) ritornando ad un passato ancora ben disegnato nel simbolo, con quella Fiamma.

Data l’eterna inconcludenza dei liberali, sbaglieremo anche questa volta, ma vien davvero da pensare che un liberale perde sicuro se punta le sue fiches sull’idea di mettere un briciolo di liberalismo dentro un corpaccione illiberale. È un’illusione. Non cambia sapore uno stracotto di balena cucinato con una sofisticata dose di rosmarino. Per gli intenditori si potrà forse parlare di retrogusto. Per i liberali semplici, è inevitabile il disgusto.

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