Ribellione cellulareIl cancro è una manifestazione aberrante della bellezza del nostro corpo

In “Match point” (La Nave di Teseo), Roberto Burioni spiega i meccanismi alla base delle neoplasie, a che punto è la ricerca per combatterle e cosa possiamo fare, ogni giorno, per contrastarle

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Se uno di noi vivesse da solo, in mezzo al nulla, con l’essere umano più vicino a trecento chilometri di distanza, potrebbe fare tutto quello che gli passa per la testa. Potrebbe costruire un luogo dove vivere del colore e della forma che più gli aggrada, guidare alla velocità che vuole nella parte sinistra o destra della strada, o anche al centro, passare con il semaforo rosso e fermarsi con il verde. Non essendoci nessuno in giro, non ci sarebbero pericoli e neanche lamentele.

Al contrario, chi vive con altre persone è parte di una società: non dorme in una tenda solitaria ma in un condominio e deve attenersi a regole e doveri concordati con gli individui con i quali condivide l’esistenza. Se non lo facesse andrebbe incontro a grossi guai, per se stesso e per gli altri. […]

Il corpo umano è formato da moltissime cellule assai diverse fra loro. Quelle che costituiscono i muscoli sono capaci di contrarsi, e ci permettono di correre, camminare o sollevare una valigia. Quelle che formano i polmoni sono in grado di far passare l’ossigeno dall’aria che ci circonda all’interno del nostro sangue, e grazie a loro respiriamo; quelle dell’occhio hanno invece imparato a reagire alla luce e a trasmettere segnali al nostro cervello, consentendoci di vedere. Ogni cellula, dunque, è un mattone fondamentale che costituisce la macchina, meravigliosa e strabiliante, che è il corpo umano.

In altre parole, ciascuno di questi mattoni, caratterizzato dal saper compiere uno specifico lavoro, si associa ad altri suoi simili, formando diverse comunità di cellule – i tessuti – che poi si organizzano in organi: i muscoli, i polmoni, gli occhi, strutture accomunate dalla capacità di svolgere un preciso compito e di seguire rigorosamente le regole e lavorare insieme per il bene dell’organismo a cui appartengono: come l’ingegnere deve progettare ponti e non trapiantare cuori, così la cellula del muscolo deve contrarsi e non farci respirare, compito al quale penseranno le cellule del polmone. Per prima cosa, dunque, il passare da un semplice essere unicellulare a un corpo complesso come il nostro richiede, da parte di ogni singola cellula, una rinuncia totale alla propria libertà in nome di un interesse superiore: il buon funzionamento dell’organismo.

Una delle libertà più importanti alle quali le cellule devono rinunciare è quella di potersi replicare a piacimento. Nell’organismo umano c’è un equilibrio perfetto che deve essere mantenuto: quasi sempre se una cellula muore un’altra deve nascere e, in generale, le cellule non devono moltiplicarsi né troppo poco né in modo eccessivo. Basta guardarsi allo specchio per capirlo: le nostre gambe sono esattamente della stessa lunghezza. Questa può sembrare una cosa scontata, ma se una fosse dieci centimetri più corta avremmo difficoltà a camminare e, mentre oggi questa sarebbe una disabilità con cui è possibile convivere, il nostro antenato del paleolitico non sarebbe riuscito né a cacciare né a sfuggire ai predatori. Insomma, si sarebbe estinto. Le due gambe (e le due braccia, e tante altre cose doppie nel nostro corpo) hanno esattamente la stessa lunghezza perché le cellule che le compongono si sono moltiplicate lo stesso numero di volte; non una di più, altrimenti una gamba sarebbe più lunga dell’altra, e non una di meno, perché sarebbe più corta.

Le cellule, insomma, devono obbedire a tanti ordini categorici, dei quali due sono molto importanti: il ruolo in cui specializzarsi e quanto moltiplicarsi. Tutto questo è scritto dettagliatamente nelle informazioni che portano al loro interno, custodite nel DNA, identico per ogni cellula del nostro corpo. […]

Ma come fanno le cellule a sapere esattamente ciò che devono diventare e ogni quanto devono moltiplicarsi per far funzionare il nostro corpo nel modo corretto? La meraviglia di questo processo, così complesso, misterioso e formidabile allo stesso tempo, è che sono le cellule stesse, in completa autonomia, a scegliere il proprio destino. Non c’è, come ci si potrebbe aspettare, un feroce dittatore a impartire ordini tassativi o anche solo un direttore d’orchestra che dirige l’attività cellulare. Sono le singole cellule, al contrario, a decidere – comunicando tra loro attraverso segnali biologici – quale parte leggere di quell’informazione comune che si portano all’interno e quando farlo, determinando quale sarà il loro ruolo per il resto dell’esistenza e di quale tessuto e poi organo dovranno fare parte.

La perfetta autonomia e versatilità che ogni cellula possiede è magnifica, ed è ciò che permette la nostra esistenza. Se questa versatilità non ci fosse non solo non potremmo essere generati da un singolo ovulo fecondato da uno spermatozoo, ma i nostri tessuti non avrebbero la possibilità fondamentale di autoripararsi e di autorigenerarsi. Avrete però intuito che, nell’interesse del funzionamento del nostro organismo, è indispensabile che l’accesso alla lettura e alla messa in pratica di queste informazioni comuni sia rigorosamente controllato. Quando immaginiamo una delle nostre cellule dobbiamo, infatti, pensare a qualcosa che ha come esclusiva finalità della propria esistenza la sopravvivenza del nostro corpo, obiettivo che può essere perseguito soltanto attraverso un’attività coordinata con tutte le altre. Vale a dire che proprio come le persone appartenenti a una società devono rispettare delle regole e cooperare affinché il gruppo sociale in cui vivono funzioni al meglio, allo stesso modo le cellule collaborano fra loro per perseguire un unico scopo: far vivere, in modo sano e funzionale, l’organismo del quale fanno parte. […]

Dobbiamo quindi immaginare la cellula sana come un cittadino onesto e coscienzioso, che rispetta le leggi, che si ferma al semaforo rosso, che non supera i limiti di velocità. Un cittadino, insomma, responsabile e assennato che grazie a questo suo comportamento contribuisce a far funzionare al meglio la società nella quale vive, consapevole che una società efficiente è un valore comune importantissimo e raggiungibile solo con l’impegno collettivo.

Purtroppo non solo la storia, ma anche l’esperienza quotidiana, ci insegnano che la realtà non sempre corrisponde a questo quadro idilliaco. Ci sono persone che se ne fregano del benessere comune e che pensano solo al proprio tornaconto: non pagano le tasse, costruiscono edifici abusivi, si allacciano illegalmente alla rete della corrente elettrica e si mettono pure a stampare banconote false per comprarsi quello che altrimenti non si potrebbero permettere. Ignorano le leggi e se incontrano una pattuglia della polizia, invece di essere contenti della presenza delle forze dell’ordine, si nascondono o provano a corrompere i poliziotti per renderli complici delle loro malefatte. Insomma, dei ribelli.

Come nella nostra società, anche nel corpo umano, in mezzo alle decine di migliaia di miliardi di cellule che si comportano come il cittadino modello, collaborando fra loro, rispettando le regole e vivendo all’interno dei loro limiti, ce ne può essere una ribelle. Una rinnegata che se ne frega del bene dell’organismo e si fa i fatti suoi, che smette di comunicare con le altre e non partecipa più alla vita controllata e coordinata dei vari organi: la cellula del cancro. Questa, a differenza delle altre che nel loro complesso hanno come finalità la sopravvivenza dell’essere umano e la riproduzione della specie, smette di lavorare per il benessere comune e ha un obiettivo diverso, iniziando a perseguire una singola, banale e poco lungimirante finalità: replicarsi il più possibile al di fuori di ogni controllo, anche se questo significa uccidere l’organismo al quale appartiene. E lo può fare: ha, infatti, tutti gli strumenti per avere successo perché possiede all’interno del suo DNA le istruzioni per mettere in pratica qualunque progetto: ricordiamoci che anche lei viene da quella prima cellula dalla quale origina tutto.

Però, invece di usare queste informazioni per perseguire un obiettivo di benessere comune, le sfrutta esclusivamente a proprio vantaggio. È il lato oscuro di quella perfetta autonomia e di quella versatilità che, se da un lato permettono la meraviglia della vita degli organismi complessi, dall’altro aprono la strada anche a chi di quella vita non importa nulla e ambisce solo a sfruttare meccanismi molto efficienti per fare i propri interessi. Interessi che, per la cellula ribelle, si traducono nella volontà di continuare a replicarsi il più possibile, dando vita a una dinastia di cellule figlie che si comportano esattamente come lei, anzi peggio di lei. La moltiplicazione di queste cellule dà origine a un vero e proprio nuovo organo supplementare e indesiderato, dannoso per il corpo umano, che ha una sola finalità: permettere la replicazione illimitata della cellula ribelle e delle sue discendenti. Questa entità si chiama cancro e uccide ogni anno dieci milioni di persone nel mondo.

Il cancro è dunque una malattia unica, estremamente complessa, che nasce da noi stessi: deriva dall’attività di una nostra cellula che, sfruttando malignamente la sua immensa potenzialità e le sue funzioni praticamente illimitate, indispensabili per mantenere l’ordine biologico dell’organismo sano e funzionante e per permettere la meraviglia della nostra esistenza, decide di insorgere contro tutte le altre, fregandosene delle regole comuni: una manifestazione aberrante della bellezza del nostro corpo. Il cancro, una parola che evoca morte e terrore, l’imperatore del male, «una delle espressioni di Satana sulla Terra», come diceva don Luigi Verzè, il fondatore dell’università dove insegno. Il cancro, questa piaga assassina. Causata semplicemente da una singola, solitaria, scellerata nostra cellula ribelle.

 

Da “Match point. Come la scienza sta sconfiggendo il cancro”, Roberto Burioni, La nave di Teseo, 240 pagine, 18,05 euro

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