Mirella Serri, columnist culturale de La Stampa, ha scritto un libro, Uomini contro (Longanesi), «spinta dal fatto – dice – che sia stata proprio la destra a eleggere la prima donna presidente del Consiglio», dimostrazione che anche in questo campo il mondo diviso in buoni e cattivi fa parte di una concezione astorica, da una parte la Destra colma di rigurgiti maschilisti e duceschi, dall’altra parte la Sinistra antifascista sempre impegnata nella lotta femminile. Tanto per dire, Benito Mussolini non voleva dare il voto alle donne, perché «non sono sintetiche, mi si deriderebbe», mentre gli antifascisti il voto lo dettero. Però all’atto pratico mandarono in parlamento una quantità di uomini: «Improvvisamente dimentichi di valori e dolori condivisi, operarono varie forme di ostruzionismo che limitarono la presenza femminile in politica e ne ritardarono l’ascesa sociale».
Nilde Iotti fu tra le prime a farne le spese. Appena Togliatti non fu più al suo fianco venne «lasciata sola». I dirigenti del Partito comunista italiano la ritenevano «umorale», adeguata a ruoli di responsabilità solo se «ben aiutata» e «aiutata in modo permanente», come specificò Giorgio Amendola; e a patto, incalzò Giancarlo Pajetta, che sapesse «correggere e superare i suoi difetti».
La realtà ci dice che la Sinistra, dagli anni Cinquanta in poi, si è trovata troppe volte a difendere una visione conservatrice del rapporto coniugale e del lavoro delle donne, anche perché la classe operaia e i contadini che guardavano alla falce e martello avevano una visione tradizionalista della famiglia e del ruolo femminile, e il Pci ne interpretava e cavalcava i sentimenti.
Solo negli anni settanta – osserva Mirella Serri – la Sinistra ha iniziato a rimuovere gli ostacoli all’ascesa delle donne, in un’altalena di conquiste e recessioni. L’aborto? Il divorzio? No, mai, disse inizialmente il Pci, salvo poi ripensarci, anche sotto la spinta dei movimenti femministi che andavano nascendo in quegli anni e che si collocavano spesso alla sinistra della sinistra.
Uomini contro racconta la difficoltà di essere coerenti con i propri principi, e dimostra come la lunga marcia dell’antifemminismo sia stata trasversale, abbia abbracciato l’intero arco dello schieramento politico, e ancora oggi non si sia fermata, perfino negli insulti spiccioli: dal leghista Marco Cè, che in aula interrompe la comunista Maura Cossutta: «Taci gallina!», al Comitato centrale del Pci nel quale la compagna Adriana Lodi, dopo aver letto un’articolata relazione politica, ottiene come unico commento una voce fuori campo: «Però, che sedere!».
Livia Turco, ex deputata Pci/Pds/Ds/Pd, rammenta un caso personale: «Per le politiche del 1987 quando non andammo oltre il ventisei per cento dissi: abbiamo perso ma le donne hanno vinto. E la replica di Giancarlo Pajetta fu: le disgrazie non vengono mai sole».
Contemporaneamente Mirella Serri sottolinea i limiti della Destra, la riscoperta del filosofo Julius Evola, cui si ispiravano Andrea Ghira e Angelo Izzo, i massacratori del Circeo. E chiarisce che «sono stati i padri e le madri costituenti antifascisti, i partiti progressisti, e perfino la Democrazia cristiana, a elaborare, pur tra molte resistenze, la più avanzata normativa sul mondo femminile». Ma che fatica!
Solo nel 1963 scompare dal codice penale lo ius corrigendi, cioè il potere spettante al marito capofamiglia di correggere il comportamento di moglie e figli con il mezzo da lui ritenuto adatto; solo nel 1981 vengono aboliti il delitto d’onore, in base al quale erano previste pene mitigate per il marito assassino, e il matrimonio riparatore, che rendeva impunibile lo stupratore quando chiedeva in moglie la vittima; e solo dal 1996 stupro e incesto non vengono più considerati delitti contro la morale, ma contro la vittima: in fondo la lunga marcia dell’antifemminismo ha anche subito qualche sconfitta.
E la Destra, si spera, nonostante gli Andrea Giambruno di turno, ha con Giorgia Meloni la possibilità di continuare a invertire la tendenza machista che spesso l’ha sciaguratamente caratterizzata. Forse è impensabile, oggi, un Teodoro Buontempo (Movimento sociale italiano) che affermava: «Prendiamo il cameriere di Forlani, Pier Ferdinando Casini, e stupriamolo in aula». E, forse, quel simpatico burlone di Francesco Storace, protagonista di epiche contumelie ai danni di Rosy Bindi, non telefonerebbe più alla rivale per scusarsi iniziando così la telefonata non gradita: «Ciao Rosy, sono quel maschione di Storace».