Acque conteseIl preoccupante stress idrico tra il Nord Africa e il Medio Oriente

Il novanta per cento delle terre della regione sono aride o semi aride. La disponibilità di acqua dolce calerà del cinquanta per cento entro il 2050. Finora le soluzioni emergenziali hanno permesso di tamponare i danni più ingenti, ma è necessario un piano di lungo periodo

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Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul numero 58 di We – World Energy, il magazine di Eni

Nei più recenti appelli lanciati dalla FAO a Roma nella giornata mondiale dell’alimentazione del 16 ottobre, è emerso come «2,4 miliardi di persone vivano in paesi soggetti a stress idrico e altri seicento milioni di persone siano costrette a fare affidamento su sistemi alimentari acquatici compromessi dall’inquinamento, dal degrado degli ecosistemi e dagli effetti dei cambiamenti climatici». Un dato davvero inquietante, al quale si aggiunge il fatto che il forte stress idrico sta diventando causa di crescenti conflitti. 

Lo stress idrico interessa circa un quinto del territorio europeo e la gran parte dei paesi del Nord Africa. Secondo l’ultimo ranking del World Resources Institute, i livelli di stress idrico dei paesi dell’Europa del sud tendono a convergere e, in questo contesto, l’Italia si posiziona nel cluster di stress idrico “alto”. Nello stesso cluster sono inseriti anche molti paesi dell’area Nord Africa e del Medio Oriente (area MENA). Ma, soprattutto, sono in area MENA ben undici paesi su diciassette appartenenti al cluster rischio idrico estremo. 

Il novanta per cento delle terre della regione MENA corrisponde ad area arida, semi-arida e sub-umida secca; inoltre, secondo dati FAO, in questi paesi, la disponibilità di acqua dolce è diminuita di ben due terzi negli ultimi quaranta anni ed è prevista calare del cinquanta per cento entro il 2050. Questi paesi, d’altra parte, risentono più fortemente degli effetti del cambiamento climatico ovvero, aumento delle temperature, innalzamento del livello del mare, salinizzazione di fiumi e delle falde costiere. 

In questa regione le temperature elevate del mare alimentano piogge sempre più intense, alternate a periodi di siccità che contribuiscono all’impermeabilizzazione del suolo e portano ai rischi di inondazioni. Ma, come sconvolgere gli equilibri del territorio, hanno contribuito in molti paesi dell’area anche la politica delle grandi opere e dei mega-progetti che ha portato nel tempo a forti cambiamenti al paesaggio e ai quadri ambientali e sociali. 

Spesso è mancata anche un’adeguata strategia di coordinamento tra politiche territoriali, gestione infrastrutturale e azioni di mitigazione degli effetti del clima. La devastazione in Cirenaica, causata dai milioni di metri cubi d’acqua che nel settembre scorso hanno abbattuto ben due dighe, rappresenta un esempio emblematico di queste criticità e delle pesantissime conseguenze, pagate a caro prezzo dal territorio e dalla popolazione. 

Si sommano, inoltre, sui paesi della regione altri aspetti di natura endogena, che pesano sulla gestione delle risorse idriche. In campo agricolo, ad esempio, politiche di sussidi alle coltivazioni e prezzi molto bassi per l’acqua non hanno tenuto conto dei costi ambientali ed energetici a essi associati. Pensiamo che qui l’agricoltura utilizzi approssimativamente l’ottantacinque per cento della disponibilità totale di acqua dolce con un continuo prelievo di acqua da falde non rinnovabile, tecniche di irrigazione intensive, scarso riutilizzo delle acque reflue depurate e anche un uso massivo di fertilizzanti, che ha portato all’inquinamento di falde, salinizzazione, perdita di biodiversità e fertilità dei terreni, oltre che a servizi idrici inefficienti. 

La inadeguata gestione del settore idrico e agricolo in paesi che potrebbero avere buone produzioni, costringe quelli più popolosi, come Egitto e Algeria, a importare quantitativi di grano crescenti. La riduzione della produzione agricola comporta, inoltre, aumento di disoccupazione, insicurezza alimentare, esodo dalle aree rurali e ulteriore pressione all’urbanizzazione – in un circolo vizioso che impatta ulteriormente sulle scarsità. Gli eventi degli ultimi anni, poi, come la pandemia, sabotaggi alle infrastrutture idriche nei conflitti (pensiamo all’Iraq o alla Libia), terremoti, e naturalmente la guerra in Ucraina, hanno peggiorato di gran lunga la situazione. 

Parliamo, inoltre, di paesi con una crescita demografica sostenutissima, basti pensare che le previsioni dell’ONU stimano una crescita del quarantacinque per cento della popolazione MENA al 2050, che risentono di una forte pressione migratoria e di una crescente urbanizzazione. Queste tendenze porteranno conseguentemente a un ingente aumento della domanda di energia, di cibo e di acqua, con il rischio di compromettere ancor più l’uso sostenibile delle risorse e aumentare i conflitti.

Acque contese e ottimizzazione delle risorse
C’è poi il dato che non tutti i paesi dell’area possono contare su risorse idriche domestiche, in quanto in Medio Oriente e Nord Africa molte falde appartengono a stati diversi, fatto che amplifica insicurezze e rivalità, come avvenuto ad esempio tra Egitto ed Etiopia a seguito della costruzione della diga GERD, oppure al rapporto tra Israele, Giordania e Palestina. 

Il conflitto arabo-israeliano si intreccia con la questione idrica: Israele resta il paese idro-egemone del bacino e tiene l’accesso pressoché totale alle risorse idriche conquistate con la guerra dei sei giorni, mentre la striscia di Gaza, Cisgiordania e Giordania dipendono dalle infrastrutture israeliane per gli approvvigionamenti d’acqua, questione che ora, in tempo di crisi, diviene – come purtroppo abbiamo potuto constatare – ancora più drammatica. Israele, da parte sua, ha grossa carenza idrica, ma il risparmio d’acqua ha fatto parte dell’ethos volto a far “fiorire il deserto” fin dalle origini e oggi il Paese è leader mondiale nell’ottimizzazione delle risorse idriche. Qui la collaborazione tra realtà accademiche, poli di innovazione e strutture militari ha generato un ecosistema di innovazione molto efficace e fluido.

Nel tempo sono qui state adottate una pluralità di tecniche: un uso accorto dei terreni, metodi di concimazione e irrigazione d’avanguardia, pratiche naturali e circolari nell’uso di acqua, maggiore attenzione ai piccoli invasi. Sono stati sviluppati inoltre in campo civile nuove tecniche sperimentate per la prima volta nella guerra del Golfo, volte alla condensazione di nebbia e rugiada.

Anche le Monarchie del Golfo sono state in grado – nonostante la carenza idrica – di trasformarsi in upstreamer artificiali. Tecnologie innovative per sviluppare modelli di irrigazione più efficienti per produrre acqua non convenzionale o pratiche agricole idroponiche hanno infatti portato a un cambiamento notevole nelle fortune idriche e di produzione agricola. In questi paesi, desalinizzazione e riciclo delle acque reflue per usi non potabili sono un’alternativa già praticata al continuo prelievo di acque di falda non rinnovabile. Si tratta naturalmente di paesi che dispongono di maggiori risorse economiche e tecnologiche, recentemente rafforzate dalla collaborazione con Israele, che è il paese più avanzato in questi ambiti.

Tuttavia, l’ottimismo tecnologico non deve far perdere di vista i limiti di alcune soluzioni. Gli impianti di desalinizzazione ad alta intensità energetica, ad esempio, sono certamente proibitivi per la maggior parte dell’agricoltura. In secondo luogo, concentrarsi solo su impianti di desalinizzazione, senza un contesto più ampio di interventi, potrebbe rappresentare un altro volto del cosiddetto mega-progettivismo.

Un approccio più integrato ai temi idrici e ambientali, e più in linea con le crescenti sensibilità globali rispetto ai valori ecologici, viene inoltre dalle soluzioni basate sulla natura (nature-based solutions, NBS), che stanno iniziando a prendere piede – in Europa ed in Asia – come alternativa efficace alle tecniche tradizionali per costruire resilienza e a migliorare la gestione delle catastrofi. Una gestione sostenibile del suolo non solo giova alla sua salute, ma può anche aumentarne l’umidità e la ritenzione idrica, scongiurando così l’erosione, conservando la biodiversità e riducendo l’inquinamento agricolo.

Nel Mediterraneo, le aree boscate composte da svariate specie vegetali e animali, svolgono una importantissima funzione per la difesa del territorio e per la regimazione della circolazione idrica ed eolica. Assicurare quindi anche adeguata tutela e salvaguardia ai boschi, garantisce non solo l’assorbimento di CO2, e la tutela della biodiversità, ma anche la conservazione delle risorse idriche e la protezione idrogeologica. Una gestione per compartimenti stagni ha ostacolato fino ad ora pratiche più integrate e più sostenibili. Sono molte, ad esempio, in questi paesi le colture ad alta intensità di acqua come riso e zucchero. Ma, pompaggio e drenaggio, distribuzione, utilizzo dell’acqua richiedono anche grande impiego di energia.

Maggiore efficienza e sostenibilità si potrebbero ottenere sia con tecniche di conservazione delle acque (preservandole da inquinamento per creare areali sani, umidi e fertili), sia con tecniche di raccolta di acqua piovana, e con l’utilizzo di energie rinnovabili, per rimpiazzare ad esempio pompe a diesel con pompe a energia solare. Allo stesso tempo, il ricorso a risorse idriche serve anche per produrre energia: l’acqua è necessaria, infatti, sia nelle fasi di lavorazione delle materie prime, che servono a costruire e mantenere impianti di produzione, sia in tutte le fasi della produzione vera e propria di energia, dall’estrazione dei combustibili fossili, al trasporto e alla lavorazione, serve nel downstream, e nel power, ed è necessaria anche come sorgente per elettrolisi di idrogeno.

In questo senso, un attento monitoraggio dei prelievi, del trattamento e del riciclo delle acque industriali è fondamentale, mentre per l’irrigazione delle colture per i biocarburanti, è cruciale identificare le aree, i suoli e i climi più adatti e modulare le colture tenendo conto sia delle risorse idriche disponibili, che dei potenziali impatti sugli ecosistemi e sulle comunità. In un approccio più integrato ed ecosistemico è cruciale guardare al nesso che lega le risorse e dare priorità a interventi volti a garantire allo stesso tempo una maggiore fertilità e biodiversità dei terreni, un ingente risparmio energetico e una maggiore sicurezza idrica anche a lungo termine. Data la forte interconnessione tra i settori acqua, energia e cibo, si parla più recentemente di water-energy-food&ecosystem nexus, un approccio metodologico che guarda agli ecosistemi in modo integrato.

Fondamentale anche l’interrelazione tra gli attori coinvolti sul territorio: società civile, governi, organizzazioni non governative, banche di sviluppo, entità internazionali e aziende private possono collaborare in alleanze intersettoriali. In particolare, i partenariati pubblico-privati consentono al settore privato di offrire accesso a finanziamenti e tecnologie, mentre il settore pubblico garantisce responsabilità sociale e consapevolezza ambientale. 

Ultimi ma cruciali passaggi sono quelli di creare consapevolezza, educare la società civile coinvolgere le comunità locali nella conservazione dell’acqua e degli ecosistemi. Questo è valido talvolta anche nel recupero di pratiche idriche e agricole legate alla storia e alle tradizioni del territorio, per poterle poi riproporre in modo efficiente e sostenibile anche con il supporto delle moderne tecnologie.

All’interno del dibattito sui temi ambientali, sta mutando il modo di guardare alle risorse ecologiche e oltre a parlare di diritto all’acqua si parla di diritti dell’acqua, dove quindi il diritto umano si pone in dialogo complesso con il diritto dell’ambiente naturale. Vi sono infatti paesi che hanno fatto un salto culturale e si sono impegnati a riconoscere a fiumi o altri corsi d’acqua lo status di persona giuridica.

 Si tratta della nascente dottrina giuridica della “personalità ambientale” che considera gli elementi naturali – come fiumi, parchi, laghi, ghiacciai – come delle entità giuridiche con diritti propri. Se come risposta a siccità, alluvioni, pandemie e conflitti le soluzioni emergenziali hanno permesso di tamponare i danni più ingenti, cresce anche la consapevolezza sociale della necessità di processi decisionali che incorporino una visione di lungo periodo e una più ampia riflessione sui temi della sostenibilità e dei valori ecologici declinati anche in connessione al benessere dei suoli, delle acque e della salute umana.

Daniela De Lorenzo è responsabile Analisi Politico Istituzionali Medio Oriente, Nord Africa e Asia Pacifico, Eni

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