La ratifica dell’accordo sui migranti tra Italia e Albania, prevista per oggi nel Parlamento di Tirana, è stata congelata dalla Corte costituzionale albanese, che ha deciso di esaminare due ricorsi presentati dal Partito democratico — all’opposizione — e altri 29 deputati, compreso l’ex premier di centrodestra Sali Berisha. Entro tre mesi, dovrebbe arrivare la sentenza di merito.
Il via libera, dunque, slitta all’anno prossimo almeno dal lato albanese. Ieri pomeriggio la presidente della Corte, Holta Zaçaj, ha spiegato che «i ricorsi presentati rispettano i criteri richiesti e ha deciso di esaminarli in seduta plenaria». Saranno nove i componenti a entrare così nel merito dell’intesa che ha fatto molto discutere in entrambe le sponde dell’Adriatico.
L’appuntamento è fissato alle 10 del 18 gennaio e una decisione potrebbe arrivare entro la fine di febbraio anche se i giudici hanno tempo fino al 6 dicembre per pronunciarsi sul «protocollo» firmato tra il Consiglio dei ministri della Repubblica d’Albania e il governo della Repubblica italiana sul «Rafforzamento della cooperazione nel campo delle migrazioni».
L’opposizione esulta. Silenzio dal governo albanese. A novembre a Roma i due premier, Giorgia Meloni ed Edi Rama, hanno sottoscritto l’intesa che prevede la realizzazione di due centri per l’identificazione e l’accoglienza dei migranti salvati nel Mediterraneo. La prima struttura, quella di «registrazione», secondo l’accordo dovrebbe sorgere al porto di Shëngjin, nel nord dell’Albania, mentre nell’entroterra dovrebbe essere costruito un centro di permanenza a Gjadër. Tirana si è offerta di accogliere fino a tremila migranti in attesa di sapere se possono mettere piede nel territorio italiano o devono essere rimpatriati, il tutto a spese di Roma. Il protocollo ha una validità di cinque anni, prorogabili automaticamente di altri cinque in assenza di rilievi da parte italiana o albanese.
Holta Zaçaj, presidente della Corte costituzionale albanese, spiega al Corriere che i deputati contestano «sostanzialmente due aspetti. Il primo: il presunto mancato rispetto della procedura di negoziazione e firma. Secondo loro questo tipo di accordo ha bisogno dell’autorizzazione del presidente dal momento che tocca questioni di territorio. Insomma per loro non può essere un’intesa tra governi, ma tra Stati». E il secondo aspetto è che «il protocollo potrebbe portare alla violazione dei diritti umani».
Da qui scatta la sospensione automatica dell’iter parlamentare perché altrimenti, dopo la ratifica, la Corte — secondo le norme albanese — «non può più controllare la legittimità o meno dell’accordo. E il ricorso avanza dubbi sulla costituzionalità del protocollo».
Le due parti dovranno inviare la documentazione entro il 4 gennaio 2024. «E dal giorno del deposito del ricorso (6 dicembre 2023) abbiamo massimo tre mesi di tempo per pronunciarci. Nel caso specifico vuol dire che entro il 6 marzo 2024 la Corte deve dire se l’accordo è legittimo o no».